Un uomo siede in aula, il destino appeso a un verdetto. Sa cosa ha fatto, ma sa perché? Robert Sapolsky, neuroscienziato di Stanford, dice di no. Nel suo libro Determined, sostiene con ancor più forza (ce ne siamo occupati un po’ di tempo fa) che il libero arbitrio è un’illusione: ogni scelta è il frutto di biologia e ambiente, non di volontà. La corteccia prefrontale, che frena gli impulsi, può essere danneggiata, come nei casi di obesità o depressione. Ma se non siamo liberi, chi è responsabile? Sapolsky immagina una società più umana, dove la scienza ridisegna la giustizia. Eppure, qualcosa non torna: se nessuno sceglie, chi cambierà il mondo? Sono domande che mi scuotono di nuovo, mi fanno vacillare. E allora riprendo in mano la pratica.
Sapolsky e il crollo del libero arbitrio
Immagina le tessere di un domino che cadono una dopo l’altra, e non hanno scelta. Sapolsky, professore di Stanford e studioso di primati, sostiene che anche noi siamo così. Nel suo libro Determined smonta pezzo per pezzo il libero arbitrio con un’argomentazione affilata: ogni decisione è il risultato di biologia (geni, neurotrasmettitori, circuiti cerebrali) e ambiente (infanzia, cultura, stress). Non c’è spazio per un “io” che sceglie liberamente. È un’idea enorme, anche se a qualcuno non sembra. Se accettiamo questa tesi, il concetto di “colpa” come lo conosciamo crolla del tutto. E poi cosa succede?
La scienza dietro la tesi
La corteccia prefrontale, quel pezzo di cervello che ci rende “umani”, è al centro del discorso. Peter Ulric Tse, nel suo studio The Neural Basis of Free Will, spiega che la corteccia prefrontale regola gli impulsi, ma non crea scelte dal nulla. Sapolsky va oltre: un danno alla corteccia prefrontale, come in casi di traumi o malattie, rende impossibile frenare certi comportamenti, anche sapendo che sono sbagliati. Un esempio? L’obesità. Non è solo mancanza di volontà, ma è un disordine biologico, come un recettore leptinico malfunzionante che ignora i segnali di sazietà. Lo stesso vale per la depressione: la serotonina (fors’anche il microbiota intestinale), non la forza di volontà, modula il nostro umore. Sapolsky usa questi dati per dire: non siamo “noi” a scegliere: è la chimica del nostro cervello.
Un dato curioso? Studi sui gemelli monozigoti, come quelli citati da Sapolsky, mostrano che la schizofrenia ha una componente genetica (50% di probabilità che l’altro gemello la sviluppi), ma non è deterministica. Fattori come stress o infezioni prenatali fanno la differenza. Se anche i geni non bastano a spiegare tutto, figuriamoci la “libertà”.
Una società senza colpa?
Sapolsky non si limita a descrivere. Propone un cambiamento. Se il libero arbitrio è un’illusione, la giustizia penale va ripensata. Ha testimoniato in 13 processi capitali, spiegando ai giurati come traumi o danni cerebrali influenzino il comportamento. Risultato? 11 condanne su 13. La scienza convince, ma l’istinto umano vuole colpevoli. Certo, accettare il determinismo potrebbe rendere la società più empatica, concentrandosi sulla prevenzione piuttosto che sulla punizione. Ma serve un salto culturale. Non è facile.
Sapolsky, però, per me inciampa ancora
Niente. Ci provo sempre, ma arrivo sempre allo stesso punto morto. Per me Sapolsky inciampa su una questione cruciale: se nessuno è libero, chi decide di cambiare il sistema? La sua tesi, lucida e scientifica, sembra togliere il timone dalle nostre mani. Eppure, lui stesso è un attivista, testimonia in aula, scrive libri. Un po’ come un robot che predica l’upgrade del software pur sapendo di essere programmato.
Sapolsky ci sfida a essere migliori, pur negando la nostra libertà. È un paradosso umano, quasi comico. Se non scegliamo, perché ci proviamo?
Un pensiero per il futuro
La tesi di Sapolsky non è comoda. Toglie certezze, ma apre porte. Se il libero arbitrio è un’illusione, possiamo smettere di incolpare e iniziare a capire. La depressione, la criminalità, persino la fede religiosa: tutto diventa un puzzle biologico e sociale. Ma c’è un rischio: se accettiamo di essere macchine, chi programmerà un mondo migliore?
Forse, come dice Sapolsky, non serve essere liberi per fare la differenza. Basta volerlo. O meglio, basta che il tuo cervello lo voglia.
Temo che torneremo ancora sull’argomento.