Cinque milioni di polli abbattuti solo a gennaio 2025. Questo il bilancio devastante dell’epidemia di influenza aviaria che ha colpito la prefettura di Chiba, a est di Tokyo. Il virus H5N1 ad alta patogenicità non fa sconti: quando entra in un allevamento, la soluzione è una sola: lo sterminio totale. Ma cosa succederebbe se una tecnologia agricola potesse impedire al virus di entrare?
L’azienda giapponese NTT e-Drone Technology, consociata del colosso NTT, ha sviluppato una risposta piuttosto audace: stormi di droni equipaggiati con sistemi laser che pattugliano automaticamente gli allevamenti, allontanando uccelli selvatici infetti, cinghiali e altri animali portatori di malattie. La prefettura di Chiba sta valutando l’adozione su larga scala, con in mente un principio assoluto: se gli animali pericolosi non si avvicinano, il virus non entra. E se il virus non entra, i polli vivono. Cioè, muoiono comunque, e muoiono male, ma questa è un’altra storia.
Quando la biosicurezza diventa uno spettacolo di luci
Il sistema funziona in modo quasi elegante, se posso permettermi questa “licenza poetica”. Un quadricottero si alza dal suolo, equipaggiato con sensori ottici e algoritmi di visione artificiale: quando identifica un intruso (cinghiale, cervo, corvo, piccione, anatra selvatica) si dirige verso di lui e attiva un proiettore laser a griglia, rosso e verde. Un po’ come quelle decorazioni natalizie economiche, solo che qui non c’è niente di festivo. L’animale si ferma, disorientato da quella geometria luminosa che gli invade gli occhi. E se ne va. Nessun contatto fisico, nessun veleno, nessun danno. Solo deterrenza visiva.
Il team di sviluppo spiega che il sistema BB102 si basa proprio su questo: non distruggere, ma scoraggiare. Gli algoritmi tracciano le traiettorie degli animali, calcolano il punto ottimale di intersezione e attivano il laser solo quando necessario. Risparmio energetico, minima invasività, zero residui chimici. La tecnologia agricola giapponese ha fatto quello che sa fare meglio: prendere un problema complicato e risolverlo con precisione chirurgica.
L’epidemia che ha cambiato tutto
La prefettura di Chiba non ha scelto i droni laser per capriccio tecnologico. L’ha fatto perché il disastro era già avvenuto. Nei primi mesi del 2025, cinquantatré focolai di influenza aviaria H5N1 hanno devastato gli allevamenti della regione. Tra gennaio e marzo, 3,3 milioni di galline ovaiole sono state soppresse per contenere il virus. Così tante? Certo: sono gli allevamenti intensivi, baby. Anche in Italia, per dire, un singolo allevamento colpito a Verona ospitava ottocento mila capi.
Come detto, quando il virus entra, le autorità sanitarie non hanno alternative: abbattimento totale, disinfezione, quarantena. L’impatto economico è devastante. Quello alimentare, ancora di più.
Secondo i dati dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, dall’inizio del 2025 in Italia sono stati confermati venti focolai di influenza aviaria ad alta patogenicità. Le province più colpite sono Verona e Mantova, con allevamenti di tacchini, ovaiole e broiler coinvolti. Le indagini filogenetiche suggeriscono correlazioni tra i focolai, probabilmente dovute a movimenti di personale e veicoli tra diverse sedi. Non sono solo gli anatidi a diffondere il virus: anche ibis sacri e aironi guardabuoi, presenti massicciamente nei terreni agricoli, rappresentano vettori significativi.
Il problema non riguarda solo il Giappone. In Europa, l’EFSA ha pubblicato raccomandazioni urgenti sulla biosicurezza: evitare il contatto tra uccelli selvatici e pollame, ricoverare i volatili al coperto, tenere oche e anatre separate dal resto degli animali. Tutte misure sensate. Tutte difficili da applicare su larga scala. I sistemi tradizionali (reti, cani da guardia, repellenti chimici) funzionano fino a un certo punto. Poi arriva un cinghiale affamato o uno stormo di corvi e le difese crollano.
Tecnologia agricola che non uccide
Quello che rende interessante il sistema di NTT non è solo l’efficacia, ma l’approccio. Invece di eliminare gli animali selvatici (impossibile e controproducente), li dissuade. Invece di saturare l’ambiente con sostanze chimiche tossiche, usa la luce. Il risultato è una forma di tecnologia agricola che si inserisce nell’ecosistema senza devastarlo. Un cinghiale respinto da un drone laser non muore, non si intossica, non contamina la catena alimentare. Semplicemente va altrove.
Il caso dei cinghiali con carne blu in California, documentato l’anno scorso, mostra cosa succede quando i repellenti chimici entrano nel ciclo naturale. Il difacinone, un anticoagulante usato come deterrente agricolo, si accumula nei tessuti degli animali che lo ingeriscono. Poi quegli animali vengono cacciati. E la sostanza finisce nei piatti. I droni laser evitano completamente questo scenario.
Michael Garrett, coautore dello studio sul sistema NTT, sottolinea come questa ricerca offra intuizioni preziose anche per altri settori: protezione dello spettro radio, progettazione di futuri sistemi radar, difesa planetaria, monitoraggio dell’impatto tecnologico sull’ambiente spaziale. La tecnologia sviluppata per spaventare i cinghiali potrebbe avere applicazioni inaspettate.
Il problema delle specie ponte
Un aspetto spesso sottovalutato dell’influenza aviaria riguarda le cosiddette “specie ponte”: uccelli selvatici che non fanno parte della filiera produttiva ma si avvicinano regolarmente agli allevamenti. Uno studio pubblicato su Transboundary and Emerging Disease dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie evidenzia come queste specie rappresentino il vero canale di trasmissione tra la fauna selvatica infetta e il pollame domestico.
In Italia, soprattutto in Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna, la concentrazione di allevamenti intensivi coincide con le rotte migratorie di anatre e oche selvatiche. Il risultato è un rischio costante di epidemie, specialmente nei mesi invernali. Le misure di biosicurezza tradizionali (disinfezione, isolamento, limitazione degli accessi) sono necessarie ma non sufficienti. Servono sistemi che intercettino gli animali prima che entrino in contatto con gli allevamenti. Ed è qui che i droni laser trovano la loro applicazione ideale.
Scalabilità, costi, futuro di questa tecnologia agricola
Come vi dicevo, la prefettura di Chiba sta valutando l’adozione su larga scala dei droni laser. Se il progetto verrà approvato, i sussidi governativi aiuteranno gli agricoltori a implementare questa tecnologia agricola ovunque. Un singolo drone può coprire diverse aree in sequenza, operando in modalità semi-autonoma. I costi operativi sono contenuti: ricarica delle batterie, manutenzione minima, nessun consumabile chimico. Rispetto ai sistemi tradizionali, il risparmio economico potrebbe essere significativo.
Ma c’è un aspetto ancora più interessante: la scalabilità globale. Se il sistema funziona in Giappone, può funzionare ovunque. Gli allevamenti olandesi, tedeschi, francesi, italiani affrontano gli stessi problemi. La tecnologia agricola basata su droni laser potrebbe diventare uno standard europeo, sostituendo gradualmente i metodi chimici e meccanici più invasivi. Il ritorno economico deriverebbe dalla riduzione degli abbattimenti di massa e dalla continuità produttiva.
Certo, ci sono limiti. La formazione degli operatori, la gestione del traffico aereo (soprattutto nelle aree con alta densità di droni ricreativi), la manutenzione delle flotte. Niente di insormontabile, ma nemmeno banale. La tecnologia esiste. Funziona. Ora serve la volontà politica ed economica di implementarla.
Droni laser e il principio di precauzione
Quello che mi colpisce di questa storia non è solo l’ingegnosità tecnica. È l’approccio mentale. Invece di aspettare che il disastro si ripeta, Chiba ha deciso di investire in prevenzione attiva. Invece di rassegnarsi agli abbattimenti periodici, ha scelto di testare una soluzione che potrebbe cambiare le regole del gioco. Questo è esattamente il tipo di pensiero che serve quando parliamo di tecnologia agricola: non adattarsi ai problemi, ma anticiparli.
L’influenza aviaria non scomparirà. Le rotte migratorie degli uccelli non cambieranno. Gli allevamenti intensivi continueranno a esistere perché rappresentano l’unico modo per garantire produzioni alimentari su larga scala a costi accessibili. Quello che può cambiare è il modo in cui gestiamo il rischio. E forse, solo forse, un drone con un laser ridicolo può fare la differenza tra un’epidemia contenuta e cinque milioni di polli morti.
La tecnologia non risolve tutto. Ma quando è progettata bene, quando rispetta l’ecosistema invece di violentarlo, quando previene invece di reagire, può davvero migliorare le cose. I droni laser di Chiba non sono la soluzione definitiva all’influenza aviaria. Ma sono un passo nella direzione giusta. E in un mondo dove gli allevamenti continuano a essere decimati ogni inverno, ogni passo conta.