Camminano tra scuole e supermercati, confusi come turisti senza mappa. Gli orsi bruni giapponesi non cercano guerra: cercano casa. L’hanno persa tra i cantieri, le strade forestali e i frutteti che odorano di zucchero. Nessuno sa esattamente quanti siano, ma gli avvistamenti si moltiplicano ogni settimana. Da marzo, più di cento persone sono state attaccate. Dieci morti, forse dodici. Il resto feriti, spesso gravi. E nel nord del Paese la paura è diventata routine.
Ad Akita, dove le montagne si abbassano verso il mare del Giappone, i cittadini ormai si muovono come in stato d’allerta. Le scuole sospendono le uscite, i negozi chiudono prima del tramonto, i treni rallentano in ingresso alle stazioni più isolate. Il governatore Kenta Suzuki lo ha detto chiaramente: «Gli attacchi avvengono ogni giorno». E non è più un’emergenza stagionale, ma una crisi ecologica.
Una guerra senza nemici
In teoria dovrebbe occuparsene il Ministero dell’Ambiente. In pratica, è intervenuto anche quello della Difesa. Non per sparare, assicurano, ma per fornire uomini e mezzi ai cacciatori locali: camion, droni, trappole, logistica. Soldati che trasportano gabbie e carcasse invece di armi. È un’immagine surreale, eppure reale. Una “guerra agli orsi” combattuta senza proiettili.
La verità è che l’esercito non combatte gli animali, ma il disordine che abbiamo creato. Le città si sono allargate, i villaggi montani si sono svuotati e le foreste si sono chiuse su se stesse. Così gli orsi bruni scendono, trovano frutteti, cassonetti e campi di grano: tutto quello che serve per sopravvivere. Nessuno li ha avvertiti che quei territori ora sono “nostri”.
Quando il bosco arriva in città
Per secoli l’Ursus arctos yesoensis, la sottospecie locale, ha vissuto in equilibrio con l’uomo. Gli abitanti sapevano riconoscerne le tracce e rispettarne la distanza. Poi sono arrivati il cemento e le strade di montagna. Oggi l’habitat naturale degli orsi bruni è frammentato in isole di foresta circondate da infrastrutture. È un invito aperto: il bosco arriva fin sotto i portoni, e gli orsi lo seguono.
Il Japan Times parla di “collisione inevitabile” tra urbanizzazione e fauna selvatica. Gli orsi non temono più i rumori, né l’odore dell’uomo. La fame e la curiosità li spingono oltre il limite. In molti casi, dicono i ranger, sono giovani maschi che esplorano nuovi territori. E quando la paura incontra la fame, il risultato è prevedibile.
Orsi bruni e umani: chi invade chi
Gli attacchi, spesso casuali, rivelano un paradosso: non è la natura che invade la civiltà, ma la civiltà che si è insinuata nella natura. I campi di mele, i resort termali, le discariche aperte: tutto ciò che per noi è comfort, per un orso è un invito. È un problema di margini, non di ferocia.
Gli esperti dell’Università di Sapporo ricordano che gli orsi bruni non vedono l’uomo come preda. Gli attacchi mortali sono incidenti di prossimità: incontri imprevisti in spazi sempre più stretti. «Finché continuiamo a costruire nei corridoi ecologici», spiegano, «le collisioni aumenteranno». Una lezione che vale ovunque, Italia compresa, non solo in Giappone.
Il prezzo dell’equilibrio
La popolazione di orsi bruni era in forte declino fino agli anni ’80. Poi, grazie ai programmi di tutela, è risalita. Oggi la conservazione si scontra con la sicurezza pubblica. Da un lato c’è chi chiede abbattimenti, dall’altro chi difende il diritto alla sopravvivenza degli animali. Nel mezzo, il governo che cerca di evitare il panico e la propaganda.
È la stessa tensione che attraversa molti Paesi industrializzati: proteggere la natura finché resta lontana. Ma quando si avvicina troppo, scatta il riflesso della difesa. E allora arrivano i camion militari, le trappole, le ordinanze. È il modo più costoso di ammettere che non sappiamo convivere.
Orsi bruni, una guerra che non serve a vincere
Il ministero parla di “operazioni di contenimento”. Gli ambientalisti di “vergogna ecologica”. In realtà, entrambe le definizioni funzionano: il Giappone combatte un nemico che non sa di esserlo. Gli orsi bruni continueranno a muoversi, perché seguono il ritmo del cibo e delle stagioni, non i decreti. Noi, invece, sembriamo seguire solo la paura.
Alla fine, nessuno vince. Si spostano i confini, si riparano i danni, e tutto ricomincia. Gli orsi non sanno che la loro fame è diventata un caso politico. E noi facciamo finta di non sapere che il vero animale fuori posto, qui, siamo noi.