Il suo labrador si chiamava Lua. Tom Brady l’ha persa nel dicembre 2023, e l’ha sostituita con Junie. Stesso manto, stesse orecchie morbide, stesso sguardo. O quasi. Junie è un clone: costa tra i 50 e i 100mila dollari farlo nascere in un laboratorio texano, e l’ex giocatore di football americano ha ammesso pubblicamente di averlo fatto. Non è il primo. La cantante Barbra Streisand ha clonato due volte il suo barboncino Samantha. Simon Cowell (produttore discografico inglese) ha dichiarato che lo farà. Clonare animali domestici è diventata una moda tra celebrità e facoltosi, un mercato in crescita che vale decine di milioni. Ma dietro il fascino della genetica c’è un dato che pochi raccontano: funziona solo nel 16% dei casi. Il resto è un cimitero di tentativi falliti, madri surrogate stressate e cloni con problemi di salute.
La pecora Dolly aveva ragione a preoccuparsi
Quando nel 1997 la pecora Dolly diventò il primo mammifero clonato, la comunità scientifica applaudì. Poi Dolly sviluppò artrite precoce e morì prima del previsto. Un dettaglio che molte cliniche di clonazione preferiscono non menzionare nei loro depliant patinati. Secondo Jacqueline Boyd, docente di scienze animali all’Università di Nottingham Trent, il processo di clonazione animale ha ancora un tasso di fallimento dell’84%. Tradotto: su 100 embrioni impiantati, solo 16 diventano cuccioli vivi. Gli altri? Aborti spontanei, malformazioni, morte neonatale.
La tecnica usata si chiama trasferimento nucleare di cellule somatiche (SCNT). Un campione di tessuto viene prelevato dall’animale deceduto entro 5 giorni, le cellule vengono inserite in ovuli privati del nucleo, e gli embrioni risultanti vengono impiantati in madri surrogate.
Il processo richiede mesi: le madri surrogate vengono sottoposte a trattamenti ormonali invasivi. E quando funziona, il clone eredita tutte le predisposizioni genetiche dell’originale, comprese le malattie.
Il tuo gatto clonato avrà un mantello diverso
Kelly Anderson ha speso 22mila euro per clonare il suo gatto Chai. Il risultato si chiama Belle. Geneticamente identici, ma con personalità opposte. “Belle è esattamente come Chai”, ha dichiarato Anderson alla BBC, “tranne che nella personalità. È un gatto completamente diverso”. Il problema è che la personalità non si trova nel DNA. Dipende dall’ambiente, dalle esperienze, dai primi mesi di vita. Un clone è come un gemello identico nato vent’anni dopo: stessi geni, vita diversa.
E c’è di più. Nei gatti, il colore del mantello è determinato da fattori casuali legati ai cromosomi X. Giuseppe Novelli, genetista dell’Università di Roma Tor Vergata, spiega che “è difficile ottenere un esemplare con la stessa pezzatura del mantello”.
La prima gatta clonata, Copycat, era completamente diversa dall’originale: nel carattere, nel fisico, nel colore. Un po’ come ordinare una Ferrari rossa e ritrovarsi una Panda blu con lo stesso motore: beh, beh.
Quanto costa davvero (e perché non conviene) clonare animali domestici
Le aziende come ViaGen e Gemini Genetics offrono pacchetti da 45mila euro per gatti, 70mila per cani. Ma il prezzo nasconde costi invisibili. Secondo uno studio della Columbia University del 2018, i cloni sono più predisposti a tumori, polmonite e problemi muscolo-scheletrici. Snuppy, il primo cane clonato, è morto di tumore nel 2015. La pecora Dolly aveva sei anni quando è stata soppressa per problemi respiratori cronici. La media della sua specie? Undici anni.
E poi c’è la questione etica. Come sottolinea l’associazione Humane Society, milioni di cani e gatti vengono abbandonati ogni anno nei rifugi. Spendere 70mila euro per clonare un animale quando ne esistono migliaia in cerca di casa suona, nella migliore delle ipotesi, discutibile.
In Italia, per inciso, clonare animali domestici è vietato per legge dal 2021. Il Decreto Legislativo 15/2021 proibisce la clonazione a fini di allevamento e la commercializzazione di materiale genetico clonato.
Clonare animali, l’amore conta
Tom Brady può permettersi di spendere 100mila dollari per Junie. La maggior parte delle persone no. Ma anche se potessi clonare il mio golden retriever Buddy (che poverino, ha solo 11 mesi, e già gli stiamo a fare i conti in tasca), varrebbe la pena? Pagare una fortuna per un animale geneticamente identico ma comportamentalmente opposto, con maggiori rischi di salute e un’aspettativa di vita incerta. Serve davvero?
O forse dovremmo accettare che gli animali, come le persone, non sono replicabili. Che l’affetto non risiede nel DNA ma nei ricordi condivisi. E che quando se ne vanno, l’unica cosa sensata da fare è adottare un altro animale che aspetta, magari in un rifugio.
Non avrà lo stesso mantello, ma avrà bisogno di te esattamente come il primo. E questo nessun laboratorio può clonarlo.