Oltre seicento persone al giorno. Mettetevi comodi e fate due conti: ogni 24 ore, 605 lavoratori nel mondo scoprono che il loro posto è stato preso da un algoritmo. Non è uno scenario apocalittico da film, è il dato ufficiale della disoccupazione tecnologica: quello sui licenziamenti tech a livello globale. Circa 184.000 persone hanno già perso il lavoro quest’anno per fare spazio all’intelligenza artificiale. E al dato manca perfino l’ultimo trimestre.
La narrazione ufficiale è rassicurante: “L’IA creerà più lavori di quanti ne distrugge”. È una bugia educata che raccontano a chi sta per perdere tutto. Il problema non è quanti posti nasceranno (spoiler: tanti, non ne dubito), ma quando e per chi. Un impiegato di 45 anni licenziato oggi dalla sua azienda che ha automatizzato il reparto contabilità non diventerà un esperto di prompt engineering domani. Sarebbe come dirgli di trasformarsi in astronauta dopo una vita passata a lavorare in banca.
I numeri che nessuno vuole guardare
Secondo uno studio della Federal Reserve di St. Louis, negli USA le occupazioni con maggiore esposizione all’IA hanno registrato gli incrementi più alti di disoccupazione tecnologica tra il 2022 e il 2025. La correlazione è 0,47: abbastanza forte da non essere casuale. I lavori cognitivi o quelli da colletti bianchi, quelli che fino a ieri sembravano al sicuro perché “richiedono creatività e pensiero critico”, sono i primi a cadere.
Bloomberg ha fatto i calcoli: l’IA può sostituire il 53% delle attività di un analista di mercato e il 67% di quelle di un rappresentante commerciale. I ruoli manageriali? Pure hanno il 21% di rischio, ma il gioco sta diventando chiaro: chi decide resta, chi esegue sparisce.
Dati chiave (2025):
• 184.000 licenziamenti tech per IA (dato aggiornato a ottobre 2025)
• 605 persone al giorno perdono il lavoro per automazione
• Il 92% dei lavori IT subirà trasformazioni radicali
• Il 30% delle ore lavorate (negli USA) potrebbe essere automatizzato entro il 2030
• Solo il 2,5% dell’occupazione USA è a rischio immediato secondo Goldman Sachs (ma è una stima conservativa)
Disoccupazione tecnologica, microsoft licenzia chi sa scrivere codice (con il codice scritto dall’IA)
Il CEO di Microsoft, Satya Nadella, ha dichiarato che il 30% del codice aziendale è ora scritto dall’intelligenza artificiale. Perfetto, penserete. Meno lavoro per i programmatori, che possono concentrarsi su attività più creative. Peccato che il 40% dei licenziamenti recenti abbia colpito proprio gli ingegneri del software. Non è che l’IA li ha liberati dal lavoro noioso: li ha proprio sostituiti.
IBM ha licenziato 8.000 dipendenti dopo aver implementato un sistema IA per gestire le risorse umane. Il sistema si chiama AskHR e processa 11,5 milioni di interazioni all’anno con supervisione umana minima. Un dipartimento intero ridotto a un algoritmo che risponde ai ticket. Efficienza brutale.
Italia: 7 milioni di lavoratori a rischio (ma nessuno ne parla)
Secondo uno studio dell’Università di Trento, 7 milioni di lavoratori italiani sono a rischio di sostituzione tecnologica. Non è una stima sul “potenziale teorico”, è un’analisi sulle mansioni routinarie e ripetitive che l’automazione può già gestire oggi. Cassieri bancari (70% di automazione entro il 2030), impiegati amministrativi (81% sostituibile entro il 2028), operatori di call center (già morti e sepolti).
I dati ISTAT mostrano una disoccupazione giovanile (seppur scesa rispetto ai mesi precedenti) ancora al 19,8%. E con le aziende italiane che iniziano ad adottare suite di IA generativa per sostituire stagisti e impiegati junior, la situazione ha un’evoluzione incerta. Fastweb e Vodafone, per dirne una, hanno annunciato sistemi automatizzati per compiti che fino a ieri affidavano a neolaureati.
Disoccupazione tecnologica: il mito della riqualificazione veloce
La soluzione magica che propongono? “Riqualificatevi”. Come se cambiare carriera fosse come cambiare scarpe. Servono dai 2 ai 4 anni per riqualificarsi seriamente in un nuovo settore. Nel frattempo, la capacità computazionale globale cresce del 17% all’anno. Significa che quando finalmente completi il tuo corso di data science, l’IA avrà già automatizzato anche quella professione.
Il World Economic Forum stima che il 77% dei nuovi lavori legati all’IA richieda una laurea magistrale o un dottorato. Un operaio di 50 anni che perde il lavoro in fabbrica non tornerà all’università per sette anni. E anche se lo facesse, nel frattempo chi gli paga l’affitto, il cibo e le altre spese?
Facile dire “dattamento”: Le persone tra i 18 e i 24 anni sono 129% più preoccupate dei sessantacinquenni che l’IA renda obsoleto il loro lavoro. Paranoia o realismo? Il 49% della Gen Z crede che l’IA abbia già ridotto il valore della loro laurea.
Quello che succede davvero: la zona grigia
C’è uno spaventoso periodo intermedio che sta per aprirsi. Milioni di persone perderanno il lavoro nei prossimi 3-5 anni. Come avevamo già scritto nel 2022, il problema non è se l’automazione creerà nuovi posti (ve l’ho detto: probabilmente sì), ma cosa succede in questi “anni di mezzo”. Nessuno ha un piano per questa zona grigia.
L’economista Daron Acemoglu del MIT ha calcolato che oltre la metà del divario salariale degli ultimi 40 anni è attribuibile all’automazione. Non alla globalizzazione, non all’indebolimento dei sindacati. All’automazione. E ora siamo di fronte a un salto tecnologico che rende quello precedente un gioco da ragazzi.
Antropic, l’azienda che ha creato Claude, ha un CEO che si chiama Dario Amodei. Ha previsto che l’IA potrebbe eliminare la metà di tutti i lavori impiegatizi entry-level nei prossimi cinque anni.
Disoccupazione tecnologica, chi si salva (per ora)
Le professioni che richiedono intelligenza emotiva, giudizio estetico complesso o manipolazione fisica precisa sono ancora al sicuro. Infermieri (crescita prevista del 52% entro il 2033), elettricisti, idraulici, operai specializzati. Abbiamo già raccontato nel 2020 quali competenze l’IA faticherà a replicare per un bel pezzo: ospitalità avanzata, creatività genuina, gestione di situazioni ambigue.
Ma c’è un problema: questi lavori non si improvvisano. Non basta “riqualificarsi” in sei mesi. Per diventare un bravo cuoco serve un tirocinio di anni, un infermiere deve studiare e fare esperienza sul campo. E soprattutto: non ci sono abbastanza posti. Se domani 7 milioni di italiani decidessero di diventare idraulici, il mercato collasserebbe.
Quando e come ci cambierà la vita
La timeline non è “un giorno lontano nel futuro”. È adesso. Entro il 2027-2028, secondo McKinsey, potremmo vedere l’automazione di massa nei settori amministrativi e finanziari. Entro il 2030, il 30% delle ore di lavoro globali potrebbe essere automatizzato.
La vostra generazione vedrà il lavoro come lo conosciamo trasformarsi completamente. Come sopravviveremo alla transizione?
Approfondisci
Ti interessa capire come prepararti? Leggi anche le 6 competenze che l’IA non potrà mai replicare. Oppure scopri cosa significa un futuro con più robot che lavoratori umani.
Il problema è che stiamo trattando una trasformazione epocale come se fosse un aggiustamento di mercato. Seicento persone al giorno perdono il lavoro e noi continuiamo a raccontarci che “basta adattarsi”. Ma adattarsi a cosa? E con quali strumenti?
Quanti anni di caos sociale siamo disposti a tollerare prima di ammettere che servono politiche serie? Reddito universale, riqualificazione pubblica massiccia, riduzione dell’orario di lavoro. Cose di cui si parla da decenni ma che nessuno implementa davvero.
Perché è più facile dire “il mercato si aggiusterà da solo” e guardare altrove mentre mezzo milione di persone all’anno scopre che il mercato, in realtà, le ha lasciate indietro. E poi magari, fatemi fare il malpensante cattivo, convertire tutti questi esuberi in carne da macello buona per la prossima guerra mondiale.
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