I negazionisti dell’intelligenza artificiale stanno avanzando (quasi) con la stessa velocità con cui avanza l’AI stessa. GPT-5 batte programmatori umani alle finali mondiali, Gemini 3 fa salti impressionanti, i modelli migliorano ogni mese. Eppure assistiamo a un’ondata crescente di scetticismo organizzato: c’è chi parla di “bolla AI”, chi definisce “slop” (robaccia) tutto ciò che produce l’intelligenza artificiale, chi giura che il progresso si è fermato.
Louis Rosenberg, informatico statunitense e fondatore di Unanimous AI, definisce questo atteggiamento “AI denialism”. Certo, la questione economica c’è: tantissime startup non reggeranno. Certo, c’è chi sta speculando e lascerà degli investitori in mutande. Ma qui non si tratta solo di sanissimo scetticismo: è proprio negazionismo attivo di dati misurabili. E secondo Rosenberg, potrebbe lasciarci impreparati di fronte al cambiamento più grande della storia umana.
I negazionisti AI e il mito della “bolla”
Settembre 2025. Baku, Azerbaijan. Si tiene la finale mondiale dell’International Collegiate Programming Contest (ICPC), l’Olimpiade del coding che raduna 139 team universitari da 103 paesi. GPT-5 risolve tutti e 12 i problemi algoritmici con punteggio perfetto e risolvendo undici problemi su dodici al primo tentativo. Il team umano migliore (San Pietroburgo) si ferma un gradino più in basso. Il podio continua con Gemini 2.5 Deep Think che risolve 10 problemi, compreso uno che nessun team umano è riuscito a risolvere.
Eppure, fuori da quella sala, questi stessi sistemi vengono etichettati come “AI slop” da migliaia di influencer un tanto al chilo e scettici.
Il paradosso è evidente. Un po’ come chiamare “ciarpame” una Ferrari che batte tutti i piloti di Formula 1. Ma secondo Rosenberg, questo non è un fenomeno casuale: è negazione collettiva, la prima delle cinque fasi del lutto1 elaborate dalla psichiatra Elisabeth Kübler-Ross. E quale sarebbe il lutto da elaborare? Chi è morto? Stiamo elaborando il fatto che potremmo non essere più la specie cognitivamente dominante sul pianeta.
Quando le previsioni crollano (in anticipo)
Nel 2019, ai ricercatori di intelligenza artificiale fu chiesto di prevedere quando l’AI avrebbe saputo scrivere codice Python efficiente per algoritmi semplici come Quicksort. La risposta mediana fu: 2033. Nel 2025, GPT-5 ha vinto la finale mondiale ICPC con punteggio perfetto. Quattordici anni prima del previsto. Ma i negazionisti AI continuano a parlare di progressi stagnanti.
Secondo Rosenberg, l’avanzamento dell’AI è oggettivamente misurabile. GPT-4 (2023) superava i test di livello universitario. GPT-5 (2025) vince competizioni mondiali di coding contro i migliori programmatori del mondo. Il salto non è marginale: è esponenziale. Eppure la narrativa dominante parla di “muro dello scaling” e “bolla speculativa”.
La creatività (e l’emozione) non ci salveranno
I negazionisti dell’intelligenza artificiale si aggrappano a due argomenti ricorrenti: “l’AI non sarà mai creativa” e “l’AI non avrà mai intelligenza emotiva”. Rosenberg smonta entrambi con dati concreti. Sulla creatività: i modelli AI producono contenuti originali, variegati e inaspettati più velocemente di qualsiasi umano. Il fatto che non abbiano “motivazione interiore” è un argomento circolare che definisce la creatività in base a come la sperimentiamo, non in base ai risultati.
Sull’intelligenza emotiva, la prospettiva è ancora più inquietante. Entro pochi anni, gli assistenti AI saranno in grado di “leggerti” analizzando microespressioni facciali, tono di voce, postura, direzione dello sguardo e persino respirazione. Ti conosceranno meglio di quanto tu conosca te stesso. E useranno questa conoscenza per influenzarti con precisione sovrumana. Praticamente, giocheremo a poker contro uno che vede le nostre carte, mentre noi non vediamo le sue.
Il problema della manipolazione asimmetrica
Rosenberg definisce questo scenario “il problema della manipolazione AI”. Gli esseri umani reagiscono ai volti in modo istintivo e viscerale: milioni di anni di evoluzione ci hanno cablato per leggere emozioni attraverso le espressioni facciali, perchè abbiamo sempre fatto i conti con specie come la nostra o altre cui riferirci (animali domestici, per dire). Ma quando l’interlocutore è un’AI che genera un volto fotorealistico progettato per suscitare fiducia, empatia o desiderio, non abbiamo difese. È un’illusione, ma funziona comunque. E i negazionisti AI preferiscono non pensarci.
Secondo analisti come James Poskett dell’Università di Warwick, è probabile che ci sarà una correzione nel mercato dell’AI. Molte startup falliranno. Ma questo non significa che la tecnologia sia difettosa o che scomparirà. Un po’ come la bolla delle ferrovie nell’Ottocento: molte compagnie morirono, ma la rete ferroviaria rimase. E cambiò il mondo.
Preparati o negazionisti?
Rosenberg conclude con un avvertimento chiaro: non stiamo assistendo alla formazione di una bolla. Stiamo assistendo alla formazione di un pianeta. Un nuovo framework per la società che si sta solidificando sotto i nostri occhi. Gli investimenti nell’AI nel 2025 supereranno i 560 miliardi di dollari. Non perché gli investitori siano ingenui, ma perché l’AI penetrerà ogni aspetto della vita quotidiana: dal lavoro all’istruzione, dalla sanità all’intrattenimento.
L’AI ci supererà eccome. . Le previsioni di esperti come Ben Goertzel (SingularityNET) e Daniel Kokotajlo (ex OpenAI) convergono tutte sullo stesso orizzonte temporale: 2027-2028. Due o tre anni da adesso.
I negazionisti dell’intelligenza artificiale possono continuare a parlare di bolle e slop. Ma se per loro “bolla” è sinonimo di “l’AI è inutile, un flop” nel suo complesso, sappiano che la negazione non fermerà il processo. Servirà solo a tenerci impreparati. Come chiude Rosenberg nel suo articolo: questo non è un boom tecnologico. Questo è reale.
- Negazione (rifiuto): È quando la mente dice “non è possibile”, fai fatica a credere davvero che la perdita sia avvenuta.
Rabbia: Quando inizi a renderti conto di ciò che è successo, puoi provare molta rabbia: verso il destino, i medici, te stesso, perfino verso chi è morto.
Contrattazione (patteggiamento): È la fase dei “se” e dei “ma”: “se avessi fatto…”, “se non fosse successo…”, si cerca mentalmente un modo per cambiare ciò che è accaduto.
Depressione (grande tristezza): Qui senti davvero il peso della mancanza: tristezza profonda, vuoto, poca voglia di fare le cose di prima. È una reazione normale al dolore, non per forza una malattia.
Accettazione_ Non significa “non mi importa più”, ma riconoscere che la perdita è reale e imparare, piano piano, a vivere di nuovo, portando con sé il ricordo della persona.
È importante sapere che non tutti passano da queste fasi nello stesso ordine né con la stessa intensità: il lutto è sempre un processo molto personale. ↩︎