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Giardini atomici: quando gli USA coltivavano piante con l’energia nucleare

I giardini atomici? Semplici: pianti barre metalliche caricate a isotopi in mezzo al giardino, lo esponi a radiazioni e muti il DNA delle piante. Bello, eh?

Gianluca Riccio di Gianluca Riccio
4 Settembre 2019
in Il futuro di ieri
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La parola ‘nucleare’ ha una pessima reputazione, e per un giusto motivo. Se conoscete la storia, sapete bene che le bombe atomiche hanno ucciso centinaia di migliaia di persone anche a distanza di decenni dal loro utilizzo durante la Seconda Guerra Mondiale, o ricorderete la corsa agli armamenti nucleari tra USA e URSS, o ancora i disastri di Chernobyl e Fukushima.

Tra gli anni ’50 e ’60 però il Governo americano cercò di cambiare la reputazione dell’energia nucleare lanciando un programma chiamato “Atoms for Peace”, “Atomi per la Pace”. Una delle strategie di comunicazione basata su redazionali dal tono amichevole e positivo era il tema dei “giardini gamma”, o giardini atomici. Per farla breve, energia nucleare usata per far crescere piante mutanti più belle e rigogliose.

La speranza nasceva da un presupposto niente affatto certo: che le mutazioni fossero benefiche. Nell’ottimistica visione dell’epoca, grazie alle radiazioni le piante sarebbero cresciute più velocemente, senza temere freddo o parassiti. Avrebbero prodotto frutti più grandi e più colorati, e tutto sarebbe andato per il meglio.

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radiazioni
Questa brochure spiegava come le fattorie potevano usare energia atomica per verdure più rigogliose

Il meccanismo dei giardini atomici era semplice: le radiazioni provenivano da una barra metallica caricata con isotopi radioattivi. Piantando questa barra al centro del giardino ed esponendolo ai suoi raggi silenziosi, il DNA di tutte le piante sarebbe cambiato.

Se la cosa OGGI vi sembra abbastanza folle considerate che furono realizzati anche dei giardini atomici di prova. Alcuni grandi anche 2 ettari, tutti graziosamente irradiati.

Metti l’atomo nel tuo giardino!

Nel 1959, dall’altra parte dell’Atlantico nello UK, una donna chiamata Muriel Howorth diede vita alla Società di Giardinaggio Atomico, pubblicando un bel libro che spiegava a tutti come si potesse far crescere un bel giardino folto e verdeggiante grazie all’energia nucleare. Tra foto di piante mutanti e guide pratiche, i giardini atomici iniziavano a incontrare la massa.

Per gli apologi del fenomeno, il fascino del giardino atomico era di poter portare tanto cibo ad una società ancora in ripresa dopo la guerra. L’ossessione per questo sviluppo “verde” portò la Howorth a scrivere addirittura ad Albert Einstein per chiedergli di patrocinare la sua iniziativa, come riporta un paper pubblicato su British Journal for the History of Science.

E poi?

Disgraziatamente e a dispetto della signora Howorth, lentusiasmo per i giardini atomici non trovò grosse corrispondenze tra i coltivatori, che pur sforzandosi non ricavavano una percezione di salute e positività osservando le piante mutanti. La pratica non è tuttavia stata abbandonata: ancora oggi alcune piante, come questi fagioli neri o questa varietà di begonie sono ottenute irradiando vasi e terreni. In Giappone c’è perfino un istituto, l’Istituto Giapponese di coltivazione irradiata che adotta queste tecniche. Quando si dice avere la Sindrome di Stoccolma.

Il dibattito sugli effetti delle radiazioni sulle piante è piuttosto controverso, oggi più di ieri, ma è interessante rileggere queste notizie perchè ci insegna molto su come le attitudini cambiano con gli anni.

Tags: nuclearepianteradiazionivintage
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Gianluca Riccio

Gianluca Riccio

Gianluca Riccio, classe 1975, è direttore creativo di un'agenzia pubblicitaria, copywriter e giornalista. È affiliato ad Italian Institute for the Future, World Future Society e H+, Network dei Transumanisti Italiani. Dal 2006 dirige Futuroprossimo.it , la risorsa italiana di Futurologia.

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Gianluca Riccio, copywriter e giornalista - Classe 1975, è direttore creativo di un'agenzia pubblicitaria, è affiliato ad Italian Institute for the Future, World Future Society e H+, Network dei Transumanisti Italiani.

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