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Medicina

È confermato: gli agenti chimici delle creme solari penetrano nel sangue

Uno studio della FDA fornisce prove certe: le sostanze chimiche delle creme solari penetrano nel sangue. E non abbiamo idea di quanto facciano male.

22 Gennaio 2020
Gianluca RiccioGianluca Riccio
⚪ 4 minuti
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Una nuova ricerca della Food and Drug Administration (FDA), l'organismo di garanzia su cibi e farmaci degli USA, ha dato seguito ad uno studio pilota pubblicato lo scorso anno. E conferma: sei ingredienti attivi trovati nei prodotti per la protezione solare possono essere rilevati nel sangue degli utenti anche dopo una sola applicazione.

Diversi esperti interpellati sullo studio esortano comunque a continuare ad utilizzare le creme solari. I danni del sole sono già accertati, mentre non abbiamo ancora una misura dell'impatto sulla salute dei composti chimici presenti nei prodotti per la protezione dai raggi UV.

Lo studio pilota lasciava ancora dubbi

L'anno scorso la FDA ha pubblicato i risultati di un piccolo studio pilota. Questo studio ha scoperto che l'applicazione regolare di diverse formulazioni comuni di creme solari portava a concentrazioni rilevabili nel sangue di quattro sostanze chimiche: avobenzone, ossibenzone, octocrilene ed ecamsule. All'epoca lo studio è stato criticato per il campione troppo esiguo, nonché per i livelli eccessivi di prodotto testato.

Questo studio di follow-up ha ampliato le dimensioni del campione, testato un vasto assortimento di ingredienti attivi e studiato l'assorbimento del sangue anche a seguito di una sola applicazione di crema solare.

La nuova ricerca ha fugato tutti i dubbi

La nuova ricerca ha scoperto che 6 principali ingredienti chimici attivi nella protezione solare possono essere presenti in concentrazioni rilevabili nel sangue anche dopo una sola applicazione. Tutti e sei i prodotti chimici (avobenzone, ossibenzone, octocrylene, omosalato, ottisalato e ottinoxato) sono stati trovati in concentrazioni superiori a 0,5 ng / mL.

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La soglia di 0,5 ng / mL rilevata nello studio non è stabilita come intrinsecamente insicura, ma i ricercatori della FDA la considerano significativa, perché il rischio di cancro sotto questa soglia è inferiore ad 1 su 100.000.

In modo "ecumenico" e neutrale lo studio non indaga e non ipotizza effetti cancerogeni di tali sostanze nel sangue, ma farà in modo che le aziende si pongano il problema.

Creme solari: i filtri chimici fanno male?

Rob Chilcott, tossicologo dell'Università dell'Hertfordshire, afferma che i risultati dello studio erano prevedibili, in quanto è noto che la pelle non è una barriera solida e può assorbire sostanze chimiche anche da applicazioni superficiali.

"Questo non significa che i prodotti per la protezione solare non siano sicuri da usare, ma che i produttori debbano eseguire test di sicurezza adeguati", afferma Chilcott, che non ha lavorato a questo studio della FDA. "Va sottolineato che salvo approfondimenti i rischi per la salute dell'uso di filtri e creme solari non sono ben definiti. E quelli derivanti dall'eccessiva esposizione solare sono potenzialmente più dannosi".

In sintesi, ci sono prove definitive che le sostanze chimiche dei filtri solari applicati sulla pelle possono entrare in circolazione. Non sappiamo ancora quali siano i loro effetti sulla salute. Certo, viste singolarmente (e sono osservate da tempo) queste 6 sostanze bene non fanno, e non solo all'ambiente.

Ragion per cui io continuo ad usare protezioni senza esagerare. Magari supportandomi anche con indumenti protettivi senza ricorrere alla chimica e in generale senza abusare dell'esposizione solare. È la logica del danno minore, fino a nuovi sviluppi.

I medici devono continuare a raccomandare i filtri chimici e le creme solari?

È quanto si chiede un editoriale di accompagnamento allo studio, scritto da Kanade Shinkai, caporedattore della rivista JAMA Dermatology.

L'editoriale tratta le considerazioni di rischio-beneficio che i medici dovrebbero usare per valutare in che misura raccomandare la protezione solare ai pazienti.

"Nel prendere una decisione informata," si legge, "i medici devono determinare se l'entità del beneficio supera il rischio di potenziali danni per un individuo specifico. È importante sottolineare che questo equilibrio può essere diverso. Incidono le caratteristiche dell'utente della protezione solare (ad esempio, per le persone con tipi di pelle più scuri e per i bambini) e può dipendere dalla frequenza e dalla durata dell'applicazione (ad esempio, uso quotidiano vs intermittente; a partire dall'infanzia o più avanti nella vita)."

Volete approfondire la nuova ricerca pubblicata sulla rivista JAMA? La trovate qui.

Tags: cancroFDAsole

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