Una mattina del 2009 la ricercatrice Bonnie Waring saliva in bus su una montagna in Costa Rica. Andava alla stazione biologica La Selva, dove avrebbe studiato la risposta della foresta pluviale alla siccità.
Migliaia di ricercatori in tutto il mondo erano alle prese con le stesse domande, cercando di capire il destino delle foreste tropicali in un mondo in rapida evoluzione.
La nostra società chiede troppo a questi fragili ecosistemi, che controllano la disponibilità di acqua dolce per milioni di persone e ospitano i due terzi della biodiversità terrestre del pianeta.
Oggi, dopo aver creato il problema, stiamo chiedendo uno sforzo ulteriore a queste foreste.
Le piante assorbono CO2 dall'atmosfera, trasformandola in foglie, legno e radici.
È una cosa che ci sembra ovvia, ormai. Siamo capaci di trascurare anche i miracoli. Questo potere ha stimolato però negli scienziati una speranza. Quella che le piante, in particolare gli alberi tropicali a crescita rapida, possano agire come un freno naturale al cambiamento climatico catturando gran parte della CO2 emessa bruciando combustibili fossili.
Così, in tutto il mondo i governi, le aziende e le Onlus si sono impegnati a conservare o piantare un numero enorme di alberi.
Può funzionare?
No. Non ci sono abbastanza alberi per compensare le emissioni di carbonio umane. E non ci saranno mai.
Recentemente la Waring ha condotto uno studio della letteratura scientifica disponibile per valutare quanto le foreste potrebbero assorbire CO2. Se massimizzassimo la quantità di vegetazione che tutta la Terra potrebbe contenere, riusciremmo a sequestrare la CO2 sufficiente a compensare appena dieci anni di emissioni di gas serra ai tassi attuali.
A quel punto, non potremmo più compensare nulla.
Una terra piena di alberi rimanderebbe solo da quattro a dieci anni l'inevitabile.

Il destino della nostra specie è indissolubilmente legato alla sopravvivenza delle foreste e alla biodiversità che contengono.
Le piante convertono il gas CO2 in zuccheri semplici: è il processo noto come fotosintesi. Questi zuccheri vengono quindi utilizzati per costruire i corpi viventi delle piante. Se il carbonio catturato finisce nel legno, viene bloccato lontano dall'atmosfera per molti decenni. Quando le piante muoiono, i loro tessuti si decompongono e vengono incorporati nel terreno.
Una parte del carbonio vegetale può rimanere sottoterra per decenni o addirittura secoli. Insieme, le piante terrestri e il suolo contengono circa 2.500 gigatonnellate di carbonio, circa tre volte di più di quanto si trattiene nell'atmosfera.
Poiché le piante (in particolare gli alberi) sono dei depositi naturali così eccellenti per il carbonio, è logico che l'aumento dell'abbondanza di piante in tutto il mondo possa ridurre le concentrazioni di CO2 nell'atmosfera.
Una sfida titanica

Le piante hanno bisogno di quattro ingredienti fondamentali per crescere: luce, CO2, acqua e nutrimento (come azoto e fosforo, gli stessi elementi presenti nel fertilizzante delle piante).
Migliaia di scienziati in tutto il mondo studiano come la crescita delle piante varia in relazione a questi quattro ingredienti, per capire come la vegetazione risponderà ai cambiamenti climatici.
Una sfida davvero impegnativa, dato che noi esseri umani stiamo alterando simultaneamente tanti aspetti dell'ambiente naturale. Stiamo riscaldando il globo, modificando i modelli di pioggia, tagliando ampi tratti di foresta in minuscoli frammenti, introducendovi specie diverse.
Questo rende difficile rispondere alla domanda su quanto carbonio le piante possano assorbire dall'atmosfera.
Quale che sia tale quantità, però, i ricercatori concordano unanimemente sul fatto che gli ecosistemi terrestri non potranno mai farcela da soli.
La stima degli scienziati su quanta CO2 può essere catturata dagli alberi e dalle foreste nel mondo.

In riconoscimento di questi limiti, gli scienziati stimano che gli ecosistemi terrestri possono contenere una quantità di vegetazione aggiuntiva sufficiente ad assorbire tra 40 e 100 gigatonnellate di carbonio dall'atmosfera.
Una volta raggiunta questa crescita aggiuntiva (un processo che richiederebbe comunque alcuni decenni), non vi sarebbe alcuna capacità ulteriore per lo stoccaggio naturale di carbonio sulla terra.
È pochissimo. Non basta.
Gli esseri umani stanno attualmente riversando CO2 nell'atmosfera a una velocità di dieci gigatonnellate di carbonio all'anno. I processi naturali faranno fatica a tenere il passo con i gas serra generati dall'economia globale. Ci stiamo suicidando.
Un singolo passeggero su un volo di andata e ritorno da Melbourne a New York City emette il doppio di carbonio (1600 kg C) di quanto possa catturarne una quercia di mezzo metro di diametro (750 kg C).

La catastrofe e la speranza
Nonostante tutti questi vincoli fisici alla crescita delle piante, c'è un numero crescente di sforzi su larga scala per aumentare la copertura vegetale. La cosiddetta soluzione climatica "basata sulla natura".
La stragrande maggioranza di questi sforzi si concentra sulla protezione o sull'espansione delle foreste, poiché gli alberi contengono molte volte più biomassa degli arbusti o delle erbe e rappresentano quindi un maggiore potenziale di cattura del carbonio.
Tuttavia, se non si analizzano seriamente gli ecosistemi terrestri, un'attività del genere può ridurre la biodiversità é perfino causare l'effetto opposto.
Sembra un paradosso: piantare alberi può avere un impatto negativo sull'ambiente?
La risposta è sì. Per evitare danni ambientali dobbiamo evitare di piantare foreste in luoghi a cui naturalmente non appartengono. Non serve a nulla disboscare la foresta amazzonica per poi piantare nuovi alberi altrove, magari arbitrariamente in posti con diverse caratteristiche.
Prima di intraprendere qualsiasi espansione dell'habitat forestale, dobbiamo assicurarci che gli alberi siano piantati nel posto giusto perché non tutti gli ecosistemi sulla terra possono o dovrebbero sostenere gli alberi.
Piantare alberi in ecosistemi normalmente dominati da altri tipi di vegetazione non può provocare il sequestro del carbonio a lungo termine.
L'esempio delle torbiere scozzesi

Un esempio particolarmente illustrativo proviene dalle torbiere scozzesi: vaste aree di terra dove la vegetazione bassa (principalmente muschi ed erbe) cresce in un terreno costantemente umido.
Poiché la decomposizione è molto lenta nei terreni acidi e impregnati d'acqua, le piante morte si accumulano per periodi di tempo molto lunghi, creando torba. Le torbiere del Regno Unito contengono 20 volte più carbonio di quanto si trova nelle foreste della nazione.
Alla fine del XX secolo alcune paludi scozzesi furono prosciugate per la piantumazione di alberi. L'operazione ha permesso alle piantine degli alberi di stabilirsi, ma ha anche accelerato il decadimento della torba.
L'ecologa Nina Friggens e i suoi colleghi dell'Università di Exeter hanno stimato che la decomposizione della torba essiccata ha rilasciato più carbonio di quanto gli alberi piantati dopo potranno assorbire.
Le foreste non sono "macchine per catturare CO2"
Lo stesso discorso vale per le tundre artiche, dove la vegetazione autoctona è coperta dalla neve per tutto l'inverno, riflettendo la luce e il calore. Piantare alberi alti e dalle foglie scure in queste aree può aumentare l'assorbimento di energia termica e portare al riscaldamento locale.
Ma anche piantare alberi negli habitat forestali può portare a risultati ambientali negativi. Dal punto di vista sia del sequestro del carbonio che della biodiversità, le foreste non sono tutte uguali: quelle stabilite naturalmente contengono più specie di piante e animali rispetto alle foreste piantate dall'uomo. E spesso contengono anche più carbonio.
Le politiche volte a promuovere la piantumazione di alberi possono incentivare involontariamente la deforestazione di habitat naturali ben consolidati.
Altro esempio di foreste "sbagliate": Sembrando Vida

REUTERS / Jose Cabezas
Un altro esempio lampante: il programma Sembrando Vida del governo messicano, che fornisce pagamenti diretti ai proprietari terrieri per piantare alberi.
Il problema? Molti proprietari terrieri rurali abbattono foreste vecchie e ben consolidate per piantare nuove piantine. Questa decisione, sebbene sensata dal punto di vista economico, comporta in realtà la perdita di decine di migliaia di ettari di foresta matura.
Non funziona così
Molte organizzazioni ben intenzionate cercano di piantare alberi che crescono più velocemente, poiché questo teoricamente significa un tasso più elevato di "prelievo" di CO2 dall'atmosfera.
Tuttavia, dal punto di vista del clima, ciò che conta non è la velocità con cui un albero può crescere, ma quanto carbonio contiene quando è maturo, e per quanto tempo quel carbonio risiede nell'ecosistema.

Man mano che una foresta invecchia, raggiunge quello che gli ecologisti chiamano uno "stato stazionario". Uno stato in cui la quantità di carbonio assorbita dagli alberi ogni anno è perfettamente bilanciata dalla CO2 rilasciata attraverso la respirazione delle piante stesse e dai trilioni di microbi decompositori sotterranei.
Questo fenomeno ha portato alla errata percezione che le vecchie foreste non siano utili per la mitigazione del clima, perché non crescono più con rapidità, e non sequestrano ulteriore CO2.
La "soluzione" sbagliata al problema è dare la priorità alla piantumazione di alberi, e non la conservazione delle foreste già stabilite.
Gli esseri umani hanno bisogno di foreste sane
Il sostegno agli ecosistemi naturali è uno strumento importante nell'arsenale di strategie di cui avremo bisogno per combattere il cambiamento climatico. In ogni caso, però, come detto, gli ecosistemi terrestri non saranno mai in grado di assorbire la quantità di carbonio rilasciata dalla combustione di combustibili fossili.
Piuttosto che essere cullati nella falsa illusione che possiamo continuare a disboscare e torturare il pianeta, purché si piantino nuovi alberi altrove, dobbiamo tagliare le emissioni alla fonte e cercare strategie aggiuntive per rimuovere il carbonio accumulato nell'atmosfera.
Ciò significa che le attuali campagne per proteggere ed espandere la foresta sono una cattiva idea? Assolutamente no. La protezione e l'espansione dell'habitat naturale, in particolare delle foreste, è assolutamente vitale per garantire la salute del nostro pianeta.
Le foreste sono molto più che semplici depositi di carbonio. Sono le complesse reti verdi che legano insieme il destino di milioni di specie conosciute, con milioni di altre ancora in attesa di essere scoperte.