Ricercatori di LSU Health New Orleans negli USA e Karolinska Institutet in Svezia hanno scoperto che la somministrazione intranasale di mediatori lipidici specializzati pro-risoluzione ha impedito la perdita di memoria e il danno cerebrale (AD) in un modello sperimentale di Alzheimer.
Alzheimer e perdita di memoria
In modo molto rapido e brutale: il morbo di Alzheimer è caratterizzato da una neuroinfiammazione. I mediatori lipidici pro-risolutivi sono composti bioattivi formati da acidi grassi (come gli omega-3 o i loro derivati) che riducono l’infiammazione. La neuroprotectina D1 (NPD1), scoperta da Nicolas Bazan, MD, PhD, direttore del New Orleans Neuroscience, è uno di questi mediatori.
NPD1 è stato trovato benefico nell’ictus e nei danni alla retina in studi precedenti del laboratorio di Bazan, e scarseggia nel cervello dei malati di Alzheimer, sempre soggetti a perdita di memoria.
L’infiammazione è un processo complicato che coinvolge mediatori, sottotipi cellulari e vie di comunicazione. Le comunicazioni cellulari che dirigono l’attivazione di meccanismi protettivi e pro-sopravvivenza, così come l’attenuazione delle vie di segnalazione infiammatorie, fanno parte della risposta. Le molecole di segnalazione chiave nel meccanismo includono messaggeri lipidici specializzati pro-risolutivi come NPD1.
La ricerca
Nello studio pubblicato, che ha utilizzato un modello murino, gli autori concludono che la somministrazione non invasiva (per via intranasale) di lipidi messaggeri biologicamente attivi offre opportunità per la ricerca terapeutica nell’Alzheimer e in altre malattie neurodegenerative che comportano la perdita di memoria.
L’Alzheimer non ha attualmente prevenzione o cura. È devastante per i pazienti e le loro famiglie a causa del suo rapido progresso e degli eventi avversi catastrofici. È la causa più comune di demenza tra le persone anziane: milioni di persone ne soffrono nel mondo, e le cifre sono purtroppo destinate ad aumentare.
I risultati
Il trattamento ha arrestato la perdita di memoria nei topi, e non solo. Ha portato anche ad un ripristino dei deficit di oscillazione gamma, insieme a una drammatica diminuzione dell’attivazione microgliale.
I risultati, che aprono potenziali strade per l’esplorazione terapeutica e non invasiva dell’Alzheimer, sono appena stati pubblicati sulla rivista Nature, Communications Biology.