A New York, negli USA, c'è una piccola startup chiamata Hume AI che ha una nobile idea. Quale? Questa: i sistemi di intelligenza artificiale non possono limitarsi a comprendere linguaggio e informazioni, ma devono comprendere anche sentimenti, relazioni ed emozioni umane.
Troppo idealista? Sarà. Intanto, intorno a questa idea ha già raccolto fondi per quasi 13 milioni di dollari.
Se vogliono capire il mondo, devono capire anche noi
Il CEO di Hume AI, Alan Cowen, scienziato computazionale specializzato nello studio delle emozioni, sembra avere le idee piuttosto chiare. Sottolinea la necessità che le AI si focalizzino sulle emozioni umane piuttosto che sull'imitazione del pensiero critico.
Per questo, dice, la sua startup mira ad aiutare i sistemi automatizzati a capire meglio i sentimenti degli esseri umani, come la felicità o la frustrazione.
La tecnologia di intelligenza artificiale combinata con la capacità di rilevare le emozioni umane potrebbe migliorare l'efficacia dei sistemi basati sull'AI.

Tu chiamale, se vuoi, emozioni (umane)
Non solo luci, anzi. In tema di intelligenza artificiale, come per tutte le tecnologie appena esplose, ci sono molte ombre. Una su tutte: realizzare AI capaci di comprendere le emozioni umane aumenta il rischio di manipolarle, queste emozioni.
Cowen dice di aver predisposto misure di protezione nei suoi protocolli, e assicura che Hume AI chiederà ai propri clienti di rispettare una serie di paletti nell'uso della tecnologia.
Tra questi, proprio il divieto di utilizzo a scopo di sorveglianza o manipolazione, per evitare che le persone non vengano mai ingannate. Come? Facendo loro credere di conversare con un essere senziente, o addirittura con una persona in carne e ossa.
"L'intelligenza artificiale dovrebbe essere usata per migliorare la nostra felicità, non per spingere agli acquisti o generare click".
Lo spero bene.