Pensate a una moka, la leggendaria caffettiera che molti italiani usano ancora ogni mattina. Immaginate di riempirla d’acqua, metterci sopra la polvere di caffè, e poi chiuderla ermeticamente sul fuoco. Cosa succede? La pressione aumenta fino a quando l’acqua, trasformata in vapore, trova sfogo attraverso il filtro. I Campi Flegrei, l’immensa caldera vulcanica a ovest di Napoli, funzionano esattamente così. E il rischio sismico che da anni minaccia mezzo milione di persone (tra cui me) potrebbe avere una causa molto diversa da quella finora ipotizzata: non il magma in risalita, ma l’acqua piovana che si accumula in un sistema sigillato.
La conferma arriva da uno studio pubblicato su Science Advances che consolida una teoria già presentata in precedenza dalla dottoressa Tiziana Vanorio, ricercatrice di Stanford e originaria proprio di Pozzuoli. Non è la prima volta che la studiosa si espone su questo tema, ma oggi abbiamo dati scientifici pubblicati che supportano le sue tesi. E se avesse ragione, potremmo passare dal semplice monitoraggio a una gestione attiva del rischio sismico.
Lo dico senza mezzi termini: sarebbe una svolta epocale per chi, come me, segue con una certa apprensione le evoluzioni di questa situazione.
Un sistema chiuso che accumula pressione
Secondo la ricerca condotta alla Stanford University, ciò che rende i Campi Flegrei così pericolosi è un fenomeno sorprendentemente semplice: la pioggia. O meglio, l’acqua piovana che si infiltra nel terreno fino a raggiungere il serbatoio geotermico sotterraneo, sigillato da uno strato superficiale impermeabile (il cosiddetto “caprock”).
Questo caprock ha una caratteristica peculiare: è fibroso. In ingegneria, i materiali fibrosi vengono utilizzati proprio per il rinforzo strutturale, perché possono deformarsi senza rompersi immediatamente. Nel sistema vulcanico, questo significa che possono accumulare tensione per lungo tempo, fino a un eventuale rilascio improvviso attraverso un’eruzione di acqua surriscaldata, vapore e cenere vulcanica.
Nel laboratorio di fisica delle rocce della Vanorio, i ricercatori hanno dimostrato come le crepe nel caprock si sigillino attraverso interazioni tra i minerali della roccia e l’acqua idrotermale e il vapore. Per testare le caratteristiche del caprock, hanno condotto esperimenti utilizzando un recipiente idrotermale che funziona proprio come una moka: hanno riempito la camera inferiore con salamoia e quella superiore con cenere vulcanica e rocce frantumate tipiche dei Campi Flegrei, poi hanno riscaldato il recipiente alla temperatura del serbatoio geotermico. In meno di 24 ore, si sono formate fibre minerali e le fessure nello strato roccioso si sono rapidamente sigillate.

Rischio sismico, la verità è nei dati
L’analisi si è concentrata su due periodi di attività sismica recenti: quello del 1982-1984 e quello dal 2011 al 2024. In entrambi i casi, i terremoti sono iniziati all’interno del caprock, a una profondità relativamente bassa di circa 1,6 km. Come spiega il coautore Tianyang Guo, analizzando l’evoluzione temporale dei terremoti, si nota un modello molto chiaro: i terremoti diventano più profondi nel tempo.
Questo è fondamentale. Se fosse il magma o i suoi gas in risalita a causare l’instabilità, dovremmo osservare il contrario: terremoti che iniziano più vicino alla regione di fusione più profonda (circa 8 km sotto la superficie) e diventano progressivamente più superficiali. Inoltre, il magma in risalita senza un’eruzione non può spiegare l’abbassamento del suolo che segue i periodi di instabilità, aggiunge la Vanorio.
Mi sembra una spiegazione estremamente sensata per qualcosa che gli abitanti di Pozzuoli conoscono bene: la caldera “respira”, emettendo fumi e spostando il terreno, talvolta di metri in su o in giù in breve tempo. Dopo il bradisismo del 1982-1984, l’area si è abbassata di circa un metro. Perché ciò avvenga, deve esserci un rilascio di massa dal sottosuolo, che può includere magma, acqua, vapore e anidride carbonica.
L’importanza delle precipitazioni
I ricercatori hanno esaminato 24 anni di modelli di precipitazioni, le direzioni del flusso d’acqua sotterraneo e il processo di sigillatura del caprock per comprendere la ricarica del serbatoio geotermico e il conseguente accumulo di pressione.
Per affrontare il problema, possiamo gestire il deflusso superficiale e il flusso d’acqua, o addirittura ridurre la pressione prelevando fluidi dai pozzi.
Queste le parole della professoressa Vanorio, che (vi ricordo) non è solo una geofisica, ma anche una cittadina con un obiettivo: dimostrare che l’instabilità può essere gestita, non solo monitorata, aprendo la strada alla prevenzione.
Pensate all’impatto che potrebbe avere un approccio del genere. È come passare dalla cura alla prevenzione in medicina. Identificare i rischi prima che si manifestino.
Un nuovo modello di gestione del rischio sismico
Questo modello di Stanford, come detto, sfida una teoria ampiamente accettata: che il bradisismo sia guidato dal magma o dai suoi gas che risalgono a profondità più basse quando la fusione da una zona di fusione profonda si sposta verso l’alto nel sottosuolo sotto l’area vulcanica.
L’analisi della tomografia e della localizzazione e portata dei terremoti ha contribuito alla teoria dei ricercatori secondo cui le scosse ricorrenti potrebbero non essere guidate dal riempimento di magma o dall’emissione di gas dal sistema. Una spiegazione plausibile per l’abbassamento è la scarica osservata di acqua e vapore dopo la rottura del terreno dovuta all’attività sismica, che rilascia naturalmente la pressione all’interno del “serbatoio”.
I dati della ricerca di Stanford suffragati da quelli dell’Università di Napoli Federico II, forniscono un quadro convincente: non stiamo osservando un fenomeno imprevedibile, ma un sistema idraulico che potrebbe essere gestito con interventi mirati.
Campi Flegrei, il rischio sismico è gestibile
Le implicazioni di questa ricerca sono enormi. Invece di concentrarci esclusivamente su piani di evacuazione (che rimangono comunque necessari), potremmo iniziare a considerare misure preventive. Tre in particolare:
- Ripristinare i canali di drenaggio dell’acqua per ridurre l’infiltrazione nel serbatoio geotermico.
- Monitorare i livelli delle acque sotterranee con maggiore attenzione.
- Prelevare fluidi dai pozzi per ridurre attivamente la pressione nel serbatoio.
Parliamo di interventi che, se implementati correttamente, possono potenzialmente prevenire o ridurre significativamente l’intensità degli sciami sismici che hanno terrorizzato la popolazione negli ultimi anni. Senza contare il contenimento dei danni: solo negli ultimi tre anni, molti edifici sono stati lesionati dalle continue scosse, e diverse famiglie hanno perso la loro casa.
La tempesta perfetta della geologia
Mi piace molto come la Vanorio ha descritto la situazione nella conferenza stampa in cui anticipò i risultati di questo studio (ne ho parlato qui): “La chiamo la tempesta perfetta della geologia: hai tutti gli ingredienti per avere la tempesta: il bruciatore del sistema (il magma fuso), il carburante nel serbatoio geotermico e il coperchio.”
Non possiamo agire sul bruciatore, ma abbiamo il potere di gestire il carburante. Ripristinando i canali dell’acqua, monitorando le acque sotterranee e gestendo la pressione del serbatoio, possiamo spostare le scienze della Terra verso un approccio più proattivo (un po’ come l’assistenza sanitaria preventiva) per rilevare i rischi in anticipo e prevenire i problemi prima che si manifestino.
Immaginate il cambiamento di paradigma: da vittime impotenti di forze naturali imprevedibili a gestori attivi di un sistema che, per quanto complesso, può essere almeno in parte controllato. È così che la scienza serve la società.
Un nuovo capitolo per i Campi Flegrei
La caldera dei Campi Flegrei è un’area vulcanica di 13 km di larghezza, una vasta depressione formata da importanti eruzioni circa 39.000 e 15.000 anni fa, che causarono il collasso della superficie terrestre. Ma nonostante la sua storia esplosiva, potremmo essere in grado di conviverci in modo più sicuro.
Lo studio non suggerisce che il pericolo vulcanico sia scomparso (il magma è ancora lì, dopo tutto), ma offre una nuova prospettiva su come gestire il rischio sismico associato, che è spesso il precursore più immediato di potenziali disastri.
Per me, che seguo questi sviluppi da anni, sarebbe come vedere finalmente la luce in fondo al tunnel. Non è una soluzione magica, ma è un passo avanti significativo nella nostra comprensione di uno dei sistemi vulcanici più pericolosi del mondo.
Mentre le autorità continuano a discutere solo di protocolli di evacuazione, forse è il momento di iniziare a parlare anche di gestione attiva del rischio. Perché a volte, la migliore risposta a una minaccia non è fuggire, ma comprenderla abbastanza bene da poterla gestire.