Mentre leggete queste righe, in una contea della Virginia stanno scavando le fondamenta di quello che potrebbe essere il futuro dell’energia umana. Non è una centrale solare, non è un parco eolico. È qualcosa di molto più ambizioso: la prima centrale elettrica a fusione nucleare commerciale del mondo. Sì, avete capito bene. Stiamo parlando di imbrigliare l’energia delle stelle qui sulla Terra, e non in un futuro lontano, ma nel prossimo decennio.
La notizia ha fatto il giro del mondo quando Commonwealth Fusion Systems ha annunciato l’intenzione di costruire questa centrale nella contea di Chesterfield. Ma quello che rende tutto questo ancora più incredibile è che non si tratta di una promessa per il 2080: parliamo dei primi anni 2030.
Fusione nucleare commerciale, il momento che stavamo aspettando
Bob Mumgaard, CEO di Commonwealth Fusion Systems, non usa mezze misure quando descrive questo momento storico. “All’inizio degli anni 2030”, ha dichiarato durante l’annuncio, “tutti gli occhi saranno puntati sulla regione di Richmond come luogo di nascita dell’energia da fusione commerciale.” Non è retorica: dietro queste parole ci sono oltre 2 miliardi di dollari raccolti da investitori del calibro di Bill Gates, Jeff Bezos e George Soros.
Ma non sono soli in questa corsa contro il tempo. Dall’altra parte dell’oceano, Claudio Descalzi di Eni ha dichiarato che “nel 2025 ci sarà il primo pilota, e se funziona avremo il primo prodotto commerciale nel 2030.” Una tempistica che fa venire i brividi per l’audacia (e non mi convince affatto) considerando che stiamo parlando di replicare artificialmente il processo che alimenta il Sole.
La stessa Commonwealth sta completando la costruzione di SPARC, il reattore dimostrativo che dovrebbe produrre il primo plasma nel 2026. Se tutto andrà secondo i piani, SPARC aprirà la strada ad ARC, la prima centrale che dovrebbe immettere energia da fusione nella rete elettrica.

I soldi parlano, anzi: stanno urlando
Quando Phil Larochelle di Breakthrough Energy Ventures paragona la fusione “a un momento nella storia umana equiparabile alla scoperta del fuoco”, forse esagera. O forse no. I numeri parlano chiaro: il sostegno privato alle tecnologie di fusione ha superato i 7,3 miliardi di dollari a livello globale nel 2024, con un aumento di 1,1 miliardi rispetto all’anno precedente.
Per darvi un’idea della febbre che ha colpito Silicon Valley e non solo: Commonwealth Fusion Systems da sola ha raccolto più fondi di qualsiasi altra azienda di fusione, superando i 2 miliardi di dollari. Tra gli investitori, come detto, trovate una vera e propria lista di chi conta nel mondo della tecnologia: oltre ai già citati Gates, Bezos e Soros, ci sono Google, Salesforce ed Equinor, la compagnia energetica norvegese.
Come funziona la fusione nucleare commerciale?
Ma cosa stiamo cercando di costruire esattamente? La fusione nucleare commerciale è l’opposto della fissione che conosciamo dalle centrali attuali. Invece di spezzare atomi pesanti di uranio, uniamo nuclei leggerissimi (deuterio e trizio, isotopi dell’idrogeno) per formare elio. Il processo rilascia un’energia mostruosa: è quello che fa il Sole da 4,6 miliardi di anni.
Il trucco è farlo funzionare in una scatola sulla Terra. La tecnologia utilizza magneti superconduttori per confinare un plasma a 100 milioni di gradi Celsius in una camera a forma di ciambella chiamata tokamak. Questi magneti sono il vero salto tecnologico: Commonwealth ha testato con successo magneti HTS (High Temperature Superconductor) che permettono di costruire reattori più piccoli ed efficienti.
E quando dico “più piccoli”, parliamo comunque di una centrale da 400 megawatt, sufficiente ad alimentare circa 150.000 abitazioni. Non male per il primo tentativo di domare una stella.

Tre sfide che fanno tremare i polsi
Naturalmente, non è tutto oro quello che luccica. Il primo ostacolo ha un nome che suona innocuo ma nasconde un costo da capogiro: trizio. Questo isotopo dell’idrogeno può costare fino a 30.000 dollari al grammo, rendendo il carburante più caro dell’oro. La buona notizia è che bombardando il litio con neutroni si produce trizio, quindi le future centrali dovrebbero essere autosufficienti.
Il secondo problema è più terra terra: i soldi. Il progetto ITER, il colosso multinazionale in costruzione in Francia, ha subito ritardi e costi lievitati fino a 25 miliardi di dollari. Le prime operazioni con deuterio-trizio sono slittate al 2039, nove anni dopo le previsioni originali.
La terza sfida è puramente ingegneristica, ma non meno complessa: creare un plasma che produca più energia di quella necessaria per alimentare la reazione. Andrew Christlieb del Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti stima che serviranno almeno 20 anni per risolvere tutte le questioni ingegneristiche.
L’Italia non sta a guardare
Il nostro Paese ha deciso di giocare le sue carte in questa partita globale. All’ENEA di Frascati sta sorgendo il DTT (Divertor Tokamak Test facility), un investimento da mezzo miliardo di euro a venti chilometri dal Colosseo. Non male come indirizzo per il futuro dell’energia.
Ma la mossa più azzardata l’ha fatta Eni, che è diventata azionista di maggioranza di Commonwealth Fusion Systems, posizionando l’Italia al centro della corsa alla fusione commerciale. E non è finita: l’Autorità per l’Energia Atomica del Regno Unito ha annunciato una partnership con Eni per costruire il più grande impianto di ciclo del combustibile a tritio al mondo.
Quando potremo spegnere le centrali a carbone?
Le previsioni sono prudentemente ottimistiche. Esistono almeno 20 progetti di impianti a fusione in varie fasi di sviluppo con date di completamento che spaziano dal 2030 al 2055. I più audaci, come Commonwealth, puntano sui primi anni 2030. I più cauti parlano del 2050.
Come sottolineato qui, “l’energia della fusione accelera verso la commercializzazione. La questione non è più ‘se’, ma ‘quando’.” Dennis Whyte del MIT, co-fondatore di Commonwealth, non ha dubbi:
“Questo sarà un momento spartiacque per la fusione. L’ambizione è di costruire migliaia di queste centrali e cambiare il mondo.”
Fusione nucleare commerciale, il futuro che bussa alla porta
La sensazione è che stiamo vivendo il nostro momento SpaceX della fusione nucleare commerciale. Proprio come Elon Musk ha trasformato l’industria spaziale, ora abbiamo una nuova generazione di imprenditori che vuole trasformare l’energia. Un’industria che ha visto nascere oltre il 60% delle aziende private dal 2019 in poi.
La posta in gioco è altissima: una fonte di energia virtualmente illimitata, pulita e sicura, capace di sostituire i combustibili fossili. Se le promesse si avvereranno, tra una quindicina d’anni ci ritroveremo a raccontare ai nostri figli come facevamo prima, quando l’energia veniva dal carbone e dal petrolio.
Ma forse la cosa più incredibile è che tutto questo potrebbe accadere molto prima di quanto pensiamo. Il futuro dell’energia non è più una promessa lontana: sta nascendo in una contea della Virginia, a venti chilometri da Roma, e in decine di laboratori sparsi per il mondo. Per la prima volta nella storia dell’umanità, accendere una stella sulla Terra non suona più così remoto. Anzi.