Se doveste scommettere sul futuro dell’ambientalismo, su cosa puntereste? Su un movimento che gode dell’80% di consensi popolari o su uno che viene attaccato quotidianamente da politici di ogni colore? La risposta è tutt’altro che scontata. Un nuovo studio accademico ha messo in luce le contraddizioni profonde che stanno lacerando il movimento ambientalista dall’interno. Mentre tutti dicono di preoccuparsi per il clima, l’anti-ambientalismo conquista sempre più spazio politico. Come è possibile? La ricerca di un professore britannico svela i meccanismi perversi di questa guerra civile verde che rischia di far collassare tutto.
Il paradosso di Trump e degli ambientalisti involontari
Donald Trump rappresenta perfettamente l’assurdità della situazione. Mentre smantella metodicamente le protezioni ambientali americane e cancella persino la ricerca che osa menzionare la parola “clima”, si presenta davanti ai suoi sostenitori dichiarando: “Sono un ambientalista. Voglio aria pulita e acqua pulita. Davvero pulita.” Non è pazzo: è strategico.
Alastair Bonnett, professore di geografia sociale alla Newcastle University, ha dedicato mesi ad analizzare questo fenomeno apparentemente inspiegabile. Le sue conclusioni, pubblicate su The Conversation, demoliscono l’idea che esista una linea netta tra chi ama e chi odia l’ambiente. Il confine è sfumato, contradditorio, spesso ipocrita.
Bonnett distingue tra ambientalismo “freddo” e “caldo”. Il primo ama la natura come spettacolo: belle immagini di orsi polari e foreste incontaminate da guardare comodamente dal divano. Il secondo si sente coinvolto, ansioso, responsabile. “Molte persone, incluso Trump stesso, sostengono di essere ambientalisti anche quando le prove suggeriscono il contrario,” spiega il ricercatore.
L’anti-ambientalismo che tradisce il conservatorismo
Qui emergono le contraddizioni più stridente. I movimenti populisti che si definiscono “conservatori” (dai Repubblicani americani al partito Reform britannico, fino all’AfD tedesco) stanno di fatto tradendo l’essenza stessa del conservatorismo: la conservazione.
The Conservative Environment Network si sgola per ricordare che le più importanti protezioni ambientali, dai parchi nazionali americani ai controlli sull’inquinamento europei, sono state introdotte proprio da governi conservatori. Ma nessuno li ascolta più. Come abbiamo sottolineato parlando dell’evoluzione delle proteste ambientali, il populismo ha cambiato le regole del gioco.
La Rete Conservatrice per l’Ambiente britannica si presenta come “un forum indipendente per conservatori nel Regno Unito e nel mondo che sostengono l’azzeramento delle emissioni nette, il ripristino della natura e la sicurezza delle risorse.” Praticamente parlano al vento.
I numeri che non tornano
Ecco il dato che dovrebbe far riflettere tutti: l’80% dei britannici si preoccupa per il cambiamento climatico. Negli Stati Uniti, il sostegno pubblico per l’Agenzia per la Protezione Ambientale è schiacciante, persino tra gli elettori repubblicani. Eppure l’anti-ambientalismo cresce come un’erbaccia.
Perché questa disconnessione? Bonnett ha una teoria affascinante: la gente vive il danno ambientale sulla propria pelle ogni giorno. Clima imprevedibile, collasso delle popolazioni di animali e insetti, una serie di sfide che non sono solo sui telegiornali ma “fuori dalla finestra”. La realtà contradice la retorica anti-ambientalista, eppure quella retorica funziona.

L’ambientalismo diventa post-occidentale
C’è un’ironia che Bonnett sottolinea con precisione chirurgica: mentre l’Occidente sviluppa allergie sempre più acute verso le politiche ambientali, il resto del mondo si sta muovendo nella direzione opposta. L’ambientalismo sta diventando “post-occidentale”.
In Africa e Asia, dove gli effetti del cambiamento climatico sono devastanti, l’ambientalismo non è più questione di ideologia ma di sopravvivenza. La Cina, nonostante continui a bruciare combustibili fossili, sta costruendo una “civiltà ecologica” che la posiziona come leader ambientale globale.
I stereotipi che dipingono l’ambientalismo come preoccupazione principalmente occidentale stanno crollando. Questo rende la resistenza occidentale non solo contraddittoria, ma anche provinciale.
La guerra delle narrazioni
Richard Tice, ex leader di Reform UK, rappresenta alla perfezione la confusione intellettuale dell’anti-ambientalismo. Prima dichiarava: “Il cambiamento climatico avviene da milioni di anni. L’idea che si possa fermare il potere del sole o dei vulcani è semplicemente ridicola.” Poi, nello stesso anno, il suo successore Nigel Farage ammetteva alla BBC di non “contestare la scienza”.
Questa mobilità ideologica non è casuale: i movimenti populisti adottano posizioni fluide sull’ambiente, spostandosi tra negazione del cambiamento climatico, ammissione della sua esistenza ma negazione delle responsabilità umane, e infine riconoscimento del problema accompagnato da lamentele sui costi delle soluzioni.
Il futuro di un movimento in crisi
Le ricerche più recenti mostrano che il 2024 ha portato risultati ambientali contraddittori: da una parte accordi internazionali importanti, dall’altra un aumento delle emissioni globali che ci porta verso un riscaldamento catastrofico tra 2,6°C e 3,1°C. I dati del programma ambientale delle Nazioni Unite sono impietosi: anche con tutti gli sforzi attuali, non riusciamo a invertire la rotta.
L’ambientalismo si trova di fronte a una scelta cruciale: continuare a nutrire le proprie contraddizioni interne o trovare un modo per riconciliare il sostegno popolare con l’azione politica efficace. Perché una cosa è certa: se anche l’80% delle persone sostiene la protezione ambientale, ma i politici continuano a vincere le elezioni attaccando quelle stesse politiche, il problema non sono i sondaggi. È il sistema che li interpreta.
E in questo gioco di specchi rotti, dove tutti si dichiarano ambientalisti mentre l’ambiente continua a degradarsi, la vera domanda non è chi vincerà questa guerra. È se ci sarà ancora qualcosa da salvare quando la combattività smetterà di essere più importante della coerenza.