Vi siete mai soffermati a pensare quanto sia straordinario il semplice gesto di accarezzare un gatto? Il calore del pelo, la morbidezza, le vibrazioni mentre fa le fusa. Per chi ha perso l’uso degli arti a causa di lesioni spinali, queste sensazioni sono solo ricordi sbiaditi. Ora, anche grazie ai ricercatori dell’Università di Pittsburgh e dell’Università di Chicago, il senso del tatto artificiale sta facendo passi da gigante.
La loro ultima interfaccia cervello-computer presentata in uno studio su Nature Communications non si limita a ripristinare sensazioni generiche, ma addirittura permette ai pazienti di personalizzarle. Un cambiamento che potrebbe trasformare radicalmente la vita di chi convive con la tetraplegia, e avvicinarci a protesi che diventano davvero parte del corpo.
La personalizzazione come chiave di volta
Negli esperimenti precedenti, il senso del tatto artificiale si limitava a sensazioni indistinte di formicolio o ronzio, uniformi per qualsiasi oggetto. La vera innovazione di questo studio sta nell’approccio: i ricercatori hanno lasciato agli utenti il controllo sui dettagli della stimolazione elettrica, invece di prendere queste decisioni al posto loro.
Il risultato è sorprendente: i partecipanti hanno potuto creare sensazioni tattili che per loro avevano senso, che sembravano naturali. Un processo che mi ricorda un po’ quando regolate l’equalizzatore di un impianto stereo per ottenere il suono più adatto. Solo che qui stiamo parlando di riprogrammare il cervello per sentire di nuovo.
L’aspetto più affascinante? La varietà delle sensazioni. Per qualcuno, accarezzare un gatto virtuale si traduceva in una sensazione “calda e delicata”, per un altro era “liscia e setosa”. Esperienze soggettive, personali, proprio come quelle che dovrebbe trasmettere il senso del tatto.
Il tatto, linguaggio silenzioso dell’umanità
Il senso del tatto è una parte importante della comunicazione sociale non verbale; è una sensazione personale che porta con sé molti significati.

Queste parole della dottoressa Ceci Verbaarschot, autrice principale dello studio e assistente professoressa di neurochirurgia e ingegneria biomedica all’Università del Texas-Southwestern, centrano perfettamente il punto. Il senso del tatto non è solo qualcosa di “funzionale”: è profondamente legato alla nostra capacità di connetterci con gli altri e con il mondo.
Pensateci: una stretta di mano, un abbraccio, il semplice contatto con qualcuno che amiamo. Sono forme di comunicazione primitiva e potente, che spesso dicono più delle parole. Per chi ha perso questa capacità, il vuoto non è solo fisico ma anche emotivo e sociale.
La capacità di progettare sensazioni personali permette agli utilizzatori di questa interfaccia cervello-computer di rendere le interazioni con gli oggetti più realistiche e significative. Un passo fondamentale verso protesi neurali che risultino piacevoli e intuitive da usare.
Come funziona il processo per “ritrovare” il senso del tatto
Il processo utilizzato dai ricercatori per aiutare i partecipanti a trovare la “loro” sensazione di tatto assomiglia a un gioco di “acqua/fuoco” in una stanza buia di infinite possibilità tattili. Gli scienziati hanno chiesto ai partecipanti allo studio (tutti con lesioni al midollo spinale che avevano causato la perdita di sensibilità nelle mani) di trovare una combinazione di parametri di stimolazione che assomigliasse all’accarezzare un gatto o toccare una mela, una chiave, un asciugamano o un toast, mentre esploravano digitalmente l’oggetto mostrato sullo schermo.
La complessità del compito era enorme: si trattava di tradurre stimoli visivi in sensazioni tattili attraverso la stimolazione elettrica del cervello. Eppure, i risultati sono stati sorprendenti. Quando l’immagine veniva rimossa e i partecipanti dovevano affidarsi solo alla stimolazione, riuscivano a identificare correttamente uno dei cinque oggetti il 35% delle volte: meglio della probabilità casuale (anche se ancora lontano dalla perfezione).
Oltre l’orbita, verso la luna
Robert Gaunt, professore associato di medicina fisica e riabilitazione all’Università di Pittsburgh e autore senior dello studio, ha usato una metafora che trovo particolarmente azzeccata:
Abbiamo progettato questo studio per puntare alla luna e siamo arrivati in orbita.
Un modo elegante per dire che, sebbene non abbiano completamente raggiunto l’obiettivo finale, hanno fatto progressi significativi. I partecipanti, come detto, avevano un compito estremamente difficile: distinguere tra oggetti solo attraverso sensazioni tattili artificiali, e in fin dei conti ci sono riusciti già abbastanza bene.
Ancora più interessante, gli errori che facevano erano prevedibili e logici: è più difficile distinguere tra un gatto e un asciugamano poiché entrambi sono morbidi, ma era meno probabile che confondessero un gatto con una chiave.
Senso del tatto artificiale: il futuro ritrovato
Questo studio ci proietta verso la trasmissione di sensazioni tattili accurate sulla mano paralizzata di una persona, e verso la creazione di un arto artificiale che si integr perfettamente nel mondo sensoriale unico di ciascun individuo.
È facile immaginare le implicazioni: protesi che non solo si muovono come arti naturali, ma che permettono anche di sentire il mondo esterno. Una persona con una mano bionica potrebbe un giorno stringere la mano di un amico e sentire il calore, la pressione, la texture della pelle. Potrebbe raccogliere un bicchiere senza doverlo guardare, fidandosi solo del feedback tattile.
Non siamo ancora arrivati a questo punto, ma è chiaro che ci stiamo avvicinando. Il senso del tatto artificiale è sempre meno artificiale e sempre più… tatto.
Ogni volta che penso ai progressi in questo campo, mi viene in mente quanto siamo fortunati a poter sentire il mondo con le nostre mani. È un dono che diamo per scontato, fino a quando non rischiamo di perderlo. E forse il vero valore di ricerche come questa sta proprio qui: nel ricordarci quanto sia preziosa la nostra capacità di toccare e sentire il mondo che ci circonda.