Il 49.6% del traffico internet mondiale nel 2023 era generato da bot. Solo il 50.4% da esseri umani reali. Questi non sono numeri inventati, ma dati ufficiali dell’Imperva Bad Bot Report 2024 di Thales. E ora Google ha deciso di dare una spinta definitiva verso il dead internet con Veo 3, il suo nuovo generatore di video AI che produce contenuti talmente convincenti da sembrare girati da registi professionisti. Con audio sincronizzato, effetti sonori e dialoghi che farebbero invidia a Hollywood.
La domanda sorge spontanea: stiamo assistendo alla morte definitiva dell’internet autentico? Lo sapete: ci metto sempre un po’ a rispondere.
Veo 3: quando il dead internet diventa realtà
Presentato durante il Google I/O 2025, Veo 3 è un salto quantico nella generazione di video AI (e non vedo l’ora di metterci le mani per molte ore di fila, ma questo è un dato personale). A differenza dei predecessori che producevano clip mute o con audio aggiunto successivamente, questo sistema di Google DeepMind genera video con audio nativo: dialoghi sincronizzati, effetti ambientali, persino conversazioni tra personaggi che sembrano autentiche.
Il risultato è spaventoso nella sua perfezione. Video che mostrano persone mentre parlano, si muovono e interagiscono con un realismo tale da rendere quasi impossibile distinguere tra reale e artificiale. Disponibile attraverso il piano Google AI Ultra a 249,99 dollari al mese (ma non ancora in Europa, almeno non con i canali “regolari”), Veo 3 non è più un esperimento di laboratorio, ma una realtà commerciale che sta già inondando il web di contenuti sintetici.
La teoria del dead internet, quella che fino a poco tempo fa sembrava una paranoia da forum di nicchia, inizia a sembrare una diagnosi lucida della nostra epoca digitale. A proposito: sapete di cosa parlo, si?

Dead internet: da teoria a realtà documentata
La dead internet theory nacque nei forum online intorno al 2021: sosteneva che la maggior parte del traffico web fosse ormai dominata da bot e contenuti generati artificialmente. I suoi sostenitori affermavano che l’internet “autentico” fosse morto tra il 2016 e il 2017, sostituito da un ecosistema artificiale progettato per manipolare la percezione pubblica.
Per anni è stata liquidata come teoria del complotto. Poi sono arrivati i dati (che non confermano alcun complotto, ma che in qualche modo la avvalorano).
Il report 2025 di Imperva ha rivelato una verità ancora più inquietante: il traffico automatizzato ha superato quello umano per la prima volta in un decennio, costituendo il 51% di tutto il traffico web nel 2024. I bot “cattivi” da soli rappresentano il 37% del traffico totale, in crescita costante per il sesto anno consecutivo.
Timothy Shoup del Copenhagen Institute for Futures Studies aveva previsto nel 2022 che entro il 2025-2030 il 99% dei contenuti online potrebbe essere generato dall’AI. Le sue previsioni stanno diventando realtà molto più velocemente del previsto.
L’ecosistema artificiale che ci circonda
Quello che rende Veo 3 particolarmente inquietante non è solo la qualità tecnica, ma il modo in cui si inserisce in un ecosistema già compromesso. Come abbiamo evidenziato, l’evoluzione dell’AI video è stata vertiginosa: da esperimenti grotteschi a contenuti quasi indistinguibili dalla realtà in appena due anni. Avete presente quel meme video di Will Smith che mangia spaghetti? Ecco.


Meta ha annunciato l’introduzione di account AI autonomi su Facebook e Instagram, profili gestiti interamente da intelligenze artificiali che “esisteranno sulle nostre piattaforme, più o meno come gli account normali”, secondo Connor Hayes, vicepresidente per l’AI generativa di Meta. Avranno biografie, foto profilo e genereranno contenuti automaticamente.
E il fenomeno “Shrimp Jesus” (Gesù fatto di gamberetti)? Quelle immagini AI bizzarre che ottengono migliaia di like su Facebook? Uno tsunami. Anzi, solo la punta dell’iceberg di un ecosistema dove l’artificiale genera engagement attraverso l’assurdo.
Quando l’autentico diventa l’eccezione
Veo 3 accelera questo processo in modo esponenziale. I video generati dal sistema non sono semplici clip automatiche: sono narrazioni complete con trama, personaggi e dialoghi. Il rischio di disinformazione è evidente, ma il problema va oltre le fake news.
Stiamo assistendo alla nascita di un internet dove l’autentico diventa l’eccezione, non la regola. Ogni video che vediamo potrebbe essere artificiale. Ogni conversazione online potrebbe essere con un bot. Ogni contenuto che ci emoziona potrebbe essere progettato algoritmicamente per manipolare le nostre reazioni.
Gli studi dimostrano che già ora gli esseri umani riescono a distinguere i contenuti AI da quelli umani solo il 53% delle volte: appena meglio di un lancio di moneta. Quando anche i professionisti sanitari identificano correttamente gli abstract AI solo nel 43% dei casi, capiamo che il problema va oltre la competenza tecnica.
La crudele ironia dell’engagement artificiale
Nanhi Singh, General Manager di Application Security di Imperva, ha dichiarato che “i bot sono una delle minacce più pervasive e in crescita per ogni settore”. Ma il vero paradosso è che spesso sono proprio le piattaforme a incoraggiarli indirettamente.
L’algoritmo non distingue tra engagement autentico e artificiale: conta i click, i like, le visualizzazioni. Se un video generato da Veo 3 ottiene più interazioni di uno girato da un creatore umano, l’algoritmo lo promuoverà. Il risultato? Un circolo vizioso dove l’artificiale prospera perché più efficiente nel generare i segnali che le piattaforme interpretano come “successo”.
E presto, molto presto sarà totalmente travolta anche la base della piramide dei creator.
Dead internet e la fine della scoperta
Quello che rende la dead internet theory così disturbante non è solo la quantità di contenuti artificiali, ma come questi stanno cambiando la natura stessa dell’esperienza online. L’internet delle origini era un luogo di scoperta imprevedibile: potevi imbatterti in una pagina personale, un blog di nicchia, un video amatoriale che ti faceva vedere il mondo da una prospettiva nuova.
Veo 3 e i suoi simili stanno sostituendo questa imprevedibilità con una “versione ottimizzata”, diciamo così, dell’esperienza umana. Contenuti progettati per essere più coinvolgenti, più virali, “più perfetti” (passatemi il termine) di quelli che un essere umano potrebbe mai creare. Ma anche infinitamente più vuoti.
La resistenza umana
C’è speranza? Forse. Io dico, anzi: sicuramente. Thomas Sommerer ha definito il passaggio al contenuto artificiale “un evento inevitabile”, ma ha anche notato che la dead internet theory riflette più la percezione pubblica che una realtà scientifica assoluta.
Stanno nascendo spazi “resistenti”: newsletter private (a proposito, stiamo per far partire la nostra, abbiamo già 3000+ iscritti sulla fiducia, grazie), Discord chiusi, blog personali (si, l’eterno ritorno). Luoghi dove l’autenticità è più importante dell’engagement, dove la conversazione umana vale più dei click. È quello che alcuni chiamano il “dark social”: lo scambio di contenuti attraverso WhatsApp, email, messaggi diretti.
Anche le piattaforme stanno reagendo. Google ha introdotto SynthID, un sistema di watermarking per identificare i contenuti AI, anche se la sua efficacia rimane da dimostrare su larga scala.
Il futuro che abbiamo scelto
Veo 3 non è solo un prodotto tecnologico: è un simbolo. Rappresenta un internet dove l’efficienza algoritmica ha sostituito l’autenticità umana, dove la perfezione artificiale è preferita all’imperfezione reale.
Non è necessariamente un futuro apocalittico. Ma è certamente un futuro diverso da quello che avevamo immaginato quando Tim Berners-Lee progettò il Web come uno spazio “aperto e accessibile” per connettere l’umanità.
Oggi, mentre Veo 3 genera video indistinguibili dalla realtà e i bot dominano il traffico web, dobbiamo chiederci: cosa succede quando non riusciamo più a distinguere l’autentico dall’artificiale? Quando l’internet diventa un palcoscenico dove gli attori principali non sono più umani?
La dead internet theory aveva torto su una cosa: l’internet non è morto. Si è trasformato in qualcosa di completamente diverso. E forse, per la prima volta, dovremmo ammettere che non sappiamo più esattamente cosa sia diventato.