Le trincee, e dico subito: purtroppo, cambiano prima della politica. Mentre a Bruxelles si discute ancora di bilanci e strategie, nei laboratori europei si sta già combattendo la guerra del futuro. Le startup nella difesa del continente hanno attirato investimenti record nel 2024, superando persino il settore tech tradizionale. Un fenomeno che non è passato inosservato alla NATO, che ha messo sul piatto un miliardo di euro per finanziare le migliori innovazioni. Il risultato? Una generazione di imprenditori che sviluppa tecnologie dual-use, utilizzabili sia per scopi civili che militari, rivoluzionando un settore tradizionalmente dominato da multinazionali centenarie. È sempre brutto sapere che per vedere delle innovazioni dovremo prima passare per il loro impiego difensivo, o peggio offensivo, ma è la realtà, e abbiamo il compito a volte ingrato (ma necessario) di raccontare anche questo.
Il boom dei miliardi nella difesa europea
I numeri parlano chiaro: il settore europeo della difesa, sicurezza e resilienza ha raggiunto il massimo storico di 5,2 miliardi di dollari nel 2024, registrando un aumento del 30% negli ultimi due anni. Una crescita che contrasta nettamente con il crollo del 45% degli investimenti di venture capital tradizionale nello stesso periodo.
Il fenomeno non è casuale. L’Europa ha deciso che la dipendenza tecnologica dagli Stati Uniti rappresenta un rischio strategico inaccettabile (e questo è un bene)m stabilendo che la Russia è un “nemico di lungo periodo” (onestamente, mi assumo le responsabilità delle mie opinioni, una scelta economica e strategica pessima quella di operare una cesura con l’Eurasia, ma sono appunto opinioni. Sperando che questo approccio non ci porti in guerra, il che non sarebbe più un’opinione, ma una catastrofe oggettiva). La Commissione europea ha lanciato la prima strategia industriale della difesa con un budget di 1,5 miliardi di euro fino al 2027, mentre il NATO Innovation Fund investe direttamente in startup early stage specializzate in deep tech.
Le startup nella difesa, per essere sintetici, non nasceranno più nei “garage” californiani, ma nei laboratori di Berlino, Londra e Amsterdam. Un cambio di paradigma che potrebbe ridisegnare gli equilibri geopolitici globali.

Come nascono le nuove armi intelligenti
Prendiamo Helsing, la startup berlinese fondata nel 2021 che ha già raccolto circa 1,36 miliardi di euro. I suoi fondatori non vengono dall’industria bellica tradizionale, ma dal mondo dell’intelligenza artificiale. La loro filosofia è semplice: applicare gli algoritmi più avanzati ai sistemi di difesa, creando software che si integra con hardware nuovo ed esistente.
Il loro approccio software-first ribalta le logiche tradizionali. Invece di progettare prima l’arma e poi il sistema di controllo, partono dall’intelligenza artificiale per costruire soluzioni che possano adattarsi a qualsiasi piattaforma. Un po’ come se Netflix decidesse di entrare nel mercato degli elettrodomestici: non costruendo TV, ma creando il software che le rende intelligenti.
La differenza è che qui si parla di droni autonomi, veicoli sottomarini senza equipaggio e sistemi di sorveglianza che processano terabyte di dati in tempo reale. Tecnologie che, va detto, potrebbero facilmente trovare applicazione in ambiti civili come la logistica urbana o il monitoraggio ambientale.
Le startup nella difesa che cambiano le regole
Arondite, con sede a Londra, sviluppa l’infrastruttura software che permette ai sistemi autonomi di comunicare tra loro. Fondata nel 2023, ha già raccolto 10,5 milioni di euro per creare quello che definiscono “il sistema nervoso” delle future operazioni militari. La loro tecnologia permette a droni, robot terrestri e sistemi navali di coordinarsi autonomamente, mantenendo sempre l’uomo nel controllo finale delle decisioni.
Dall’Olanda arriva Avalor AI, specializzata in autonomia multi-dominio. Il loro sistema Nexus permette a veicoli senza equipaggio di operare simultaneamente in aria, terra e mare, pianificando ed eseguendo missioni complesse con intervento umano minimo. Pensate a uno sciame di droni che opera in coordinamento con robot terrestri e sottomarini autonomi: fantascienza fino a ieri, realtà operativa oggi.
Origin Robotics, dalla Lettonia, ha sviluppato BEAK, un sistema d’arma di precisione portatile con 15 chilometri di gittata e resistenza ai disturbi elettronici. Ma la vera innovazione è BLAZE, un intercettore autonomo alimentato da intelligenza artificiale progettato per neutralizzare altri droni. Costo contenuto, efficacia elevata: la democratizzazione della difesa aerea.
Startup difesa, un brutto trend: la militarizzazione delle tecnologie civili
Ciò che rende uniche queste startup nella difesa è l’approccio dual-use. NEXSTUN, dalla Francia, ha sviluppato l’E-Stunglove, un guanto elettrico non letale (ma inquietante, se volete la mia) per le forze dell’ordine. Una tecnologia che potrebbe tranquillamente essere usata per sicurezza privata, controllo folla o autodifesa personale.
Orasio, sempre da Parigi, utilizza intelligenza artificiale per analizzare flussi video in tempo reale, identificando comportamenti sospetti e minacce. Il loro sistema, completamente conforme al GDPR, può essere utilizzato tanto per sorveglianza urbana quanto per monitoraggio di confini o rilevamento incendi.
Questa convergenza tra civile e militare non è casuale. Come sottolineavo tempo fa, il vantaggio tradizionale delle tecnologie militari si sta riducendo. L’innovazione aperta del settore civile sta accelerando lo sviluppo di soluzioni che un tempo richiedevano anni di ricerca segreta.
I soldi veri dietro la corsa agli armamenti
Il NATO Innovation Fund non si limita a investimenti diretti. Ha anche finanziato fondi di venture capital specializzati come OTB Ventures, Vsquared Ventures e Alpine Space Ventures. Una strategia a due livelli che permette di coprire tutto lo spettro dell’innovazione, dalle idee più embrionali alle scale-up pronte al mercato.
L’Italia contribuisce con circa 80 milioni di euro al fondo NATO, una delle quote più rilevanti tra i 24 paesi aderenti. Significativo che Roberto Cingolani, ad di Leonardo, sieda nel consiglio di amministrazione del fondo: il segnale che anche i colossi tradizionali hanno capito che il futuro passa dalle startup.
Roark Aerospace, da Londra, gestisce una delle più grandi reti globali per rilevamento droni e imaging iperspettrale. Ha raccolto 57,6 milioni di euro per sviluppare il loro sistema Plexus AI, che combina scansione delle frequenze, decrittazione e analisi dello spostamento Doppler per tracciare anche i droni più evasivi.
Quando la guerra diventa un videogioco

L’aspetto più inquietante (e affascinante) è come queste startup nella difesa stiano gamificando la guerra. Comand AI, da Parigi, ha sviluppato Prevail, una piattaforma che trasforma dati di battaglia in simulazioni simili a videogiochi. Gli operatori possono generare piani di missione in minuti, analizzare situazioni tattiche complesse e adattare strategie al volo usando modelli di reinforcement learning.
Un approccio che ricorda molto i simulatori di volo civili, ma applicato a scenari di combattimento reale. La linea tra addestramento e operazioni effettive si assottiglia quando l’interfaccia è la stessa.
Unmanned Defense Systems, dalla Lituania, produce il drone FORECASTER per intelligence e sorveglianza e AVENGER 5 per missioni deep-strike. Il loro software SwarmC2 permette di coordinare sciami di droni, riassegnare obiettivi in tempo reale e integrarsi con sistemi di difesa esistenti. Tutto gestito da un’interfaccia intuitiva che maschera la complessità tecnologica sottostante.
Il futuro è già in trincea
Le tecnologie sviluppate da queste startup nella difesa non rimangono nei laboratori. Molte sono già state testate sul campo in Ucraina, fornendo feedback preziosi per miglioramenti e nuovi sviluppi.
La guerra ha accelerato cicli di innovazione che normalmente richiederebbero anni. I droni civili cinesi DJI militarizzati hanno dimostrato l’efficacia dell’approccio commerciale-to-military. Ora l’Europa vuole replicare questo successo con tecnologie proprietarie.
Il rischio, ovviamente, è che ogni innovazione per la difesa acceleri anche le capacità offensive. Ma questa è la natura intrinseca del progresso tecnologico in ambito militare: ogni scudo genera una nuova lancia, ogni protezione stimola lo sviluppo di una minaccia più sofisticata.
Startup nella difesa: un ecosistema che cresce nonostante tutto
Nonostante le implicazioni etiche, il settore delle startup nella difesa europea sta dimostrando una vitalità impressionante. Monaco è emersa come principale hub di venture capital europeo per questo segmento nel 2024, mentre la Germania guida con 36 aziende nella top 100 delle startup tecnologiche europee più promettenti.
L’Europa ha finalmente trovato la sua via all’autonomia strategica. Non attraverso protezionismo o sussidi ai campioni nazionali, ma creando un ecosistema di innovazione che attrae i migliori talenti e i capitali più pazienti. Spero tanto di essere smentito, perchè in fondo non ci credo davvero, ma finché esistono esseri umani, esisteranno conflitti. E finché esisteranno conflitti, qualcuno svilupperà tecnologie per gestirli meglio.
Almeno questa volta, se proprio vogliamo trovare un aspetto positivo, l’Europa ha deciso di non fare da spettatrice.