Ah, il fascino intramontabile del capro espiatorio. Per anni, la carne rossa non processata è finita sul banco degli imputati per l’epidemia di obesità che affligge una percentuale di adulti da far accapponare la pelle: un bel 40%. Quattro su dieci, capito? Un esercito. E con l’obesità, arrivano a braccetto diabete, problemi al cuore, pressione alle stelle. Naturale cercare un colpevole, no? E la carne, quella succosa, quella che fa tanto ‘barbecue’ e ‘domenica in famiglia’, beh, era un candidato perfetto. Facile da additare, spesso demonizzata. Eppure un recente studio, uscito sulla rispettabile rivista Obesity e condotto dai cervelloni della Texas Tech University, dice l’esatto contrario. Dice, cioè, che il consumo di carne rossa non ha mostrato effetti significativi sull’aumento di peso, sull’obesità o sulle condizioni metaboliche collegate. È come scoprire che il colpevole non era il maggiordomo: un bel colpo di scena per chi si aspettava la solita tiritera. Ma è davvero una novità o solo l’ennesimo capitolo di una storia complicata?
E quindi la carne rossa è assolta?
Mettiamo un po’ di ordine nel piatto. La ricerca di cui parliamo arriva dalla Texas Tech University e, come detto, ha trovato casa sulla rivista Obesity. Il fulcro del loro lavoro? Capire se la carne rossa non lavorata ha davvero un legame così forte con l’aumento di peso, l’obesità e quelle fastidiose condizioni metaboliche che spesso si portano dietro. Parliamo di cose misurabili, mica chiacchiere: indice di massa corporea (BMI), percentuale di grasso corporeo, colesterolo (quello buono, l’HDL, e quello cattivo, l’LDL), trigliceridi. Parametri che i medici guardano con una certa attenzione.
E il risultato? Tenetevi forte: nessun effetto significativo del consumo di carne rossa non processata su nessuno di questi parametri negli adulti. Nessuno. Zero. Nada. Il dottor Nikhil V. Dhurandhar, uno dei pezzi grossi del Dipartimento di Scienze Nutrizionali della Texas Tech, l’ha messa giù chiara: “Il nostro studio è il primo a esaminare completamente la totalità dell’evidenza causale, che non mostra alcun effetto protettivo o avverso dell’assunzione di carne rossa non processata sull’obesità“.
Ora, voi direte: ma come? Ce l’hanno sempre dipinta come il male assoluto, o quasi. E qui arriva il bello (e il brutto) della scienza e della comunicazione.

Il problema dei fantasmi nel piatto
Gran parte delle raccomandazioni alimentari sul consumo di carne rossa si basano, o si sono basate, su studi osservazionali. Cosa significa? Significa che si chiede alle persone cosa mangiano, si guarda come sta la loro salute, e si cercano correlazioni. Se quelli che mangiano più bistecche tendono anche ad essere più grassi o malati, si ipotizza un legame. Sembra logico, no?
Il dottor Dhurandhar spiega bene il limite di questo approccio: spesso si basa su dati auto-riferiti, che sono come chiedere a voi di ricordare esattamente cosa avete mangiato negli ultimi sei mesi, con grammi e porzioni precise. Impossibile. E poi ci sono mille altri fattori in gioco: chi mangia molta carne magari fuma, fa meno sport, mangia meno verdura, ha uno stile di vita generale meno sano. Dare la colpa solo alla bistecca diventa un po’ troppo semplicistico.
Lo studio della Texas Tech University, invece, si è concentrato su studi di intervento controllato. Hanno selezionato ricerche dove ai partecipanti veniva data direttamente la carne rossa da mangiare, monitorando gli effetti in condizioni più controllate. È un po’ come confrontare un interrogatorio dove il sospettato può mentire (studio osservazionale) con un filmato di sorveglianza che mostra esattamente cosa è successo (studio controllato). Questo approccio, guidato da linee guida rigorose (le PRISMA), riduce i potenziali pregiudizi e va a valutare direttamente l’effetto di quell’alimento specifico. E secondo loro, è l’analisi più completa finora sull’argomento.
La carne rossa nel tritacarne delle evidenze
Attenzione, però. Questo non significa che potete ingurgitare costine e fiorentine dalla mattina alla sera senza pensieri. Primo, perché si parla di carne rossa non processata. E qui casca l’asino per molti allarmismi passati. Le carni processate (salumi, würstel, hamburger industriali, ecc.) sono un’altra storia. Lì le evidenze sui rischi per la salute, in particolare per alcuni tipi di tumore, sembrano molto più solide. Organismi come l’AIRC lo sottolineano da tempo e danno indicazioni precise (qui trovate le loro linee guida: https://www.airc.it/cancro/informazioni-tumori/corretta-informazione/le-carni-rosse-fanno-male-alla-salute). La Fondazione Veronesi ha anche simulato gli effetti benefici sulla salute pubblica di una riduzione del consumo di carne lavorata (https://www.fondazioneveronesi.it/magazine/articoli/alimentazione/meno-carne-lavorata-qual-e-leffetto-sulla-salute). E perfino il rischio di demenza è stato collegato al consumo eccessivo di carne rossa processata, come emerso in uno studio presentato all’AAIC 2024 di cui vi ha parlato NeuroInfo (https://neuroinfo.it/congresso/aaic/2024/un-consumo-eccessivo-di-carne-rossa-processata-potrebbe-aumentare-il-rischio-di-demenza/).
Vedete la differenza? Carne rossa non processata (il taglio fresco, per intenderci) versus carne processata (quella con additivi, conservanti, lavorazioni varie). Lo studio della Texas Tech parla solo della prima categoria e si concentra su obesità e parametri metabolici. Altre ricerche, come la meta-analisi pubblicata su Nature Medicine dalla University of Washington (https://www.nature.com/articles/s41591-022-01968-z), hanno esaminato una gamma più ampia di esiti di salute (malattie cardiovascolari, diabete di tipo 2, ictus, mortalità), giungendo a conclusioni che, pur suggerendo piccoli benefici da una riduzione, le definiscono basate su evidenze di bassa certezza. Un quadro complesso, dicevamo.
C’è anche un altro aspetto, cui deciderete voi che peso dare: Questa ricerca è stata finanziata dalla National Cattlemen’s Beef Association (NCBA), un contraente del Beef Checkoff e del Texas Beef Council (TBC). Né la NCBA né il TBC sono stati coinvolti nella progettazione dello studio, nella raccolta e analisi dei dati o nella pubblicazione dei risultati certo. Ma hanno comunque messo i soldi. Non voglio pensar male, e sarebbe sbagliato farlo. Però l’informazione dovevo darvela.
Un peso sulla coscienza… o solo sulla bilancia?
C’è anche l’aspetto umano. La gente la carne rossa la mangia, e spesso la apprezza. È una fonte di proteine di qualità e altri nutrienti essenziali. E, cosa non da poco, cibi ricchi di proteine come la carne possono aumentare il senso di sazietà. Vi sentirete più pieni, per capirci. E sentirsi più pieni può aiutare a controllare quanto si mangia, supportando diete e stili di vita utili per perdere peso o mantenerlo.
Dhurandhar tocca un punto interessante: lo stigma che si è creato attorno alla carne rossa potrebbe addirittura impedire ad alcune persone di consumarla, facendogli perdere i potenziali benefici della sazietà che potrebbero invece aiutarli nella gestione del peso. È un paradosso: demonizzi un alimento che, per come funziona il nostro corpo, potrebbe darti una mano a non mangiare troppo, almeno in certe circostanze.
La speranza, dice Dhurandhar, è che questo studio fornisca “una visione completa della ricerca”, in modo che “clinici e consumatori possano prendere decisioni informate sul ruolo del manzo non processato in stili di vita sani”. Decisioni informate, non basate sulla paura o su generalizzazioni imprecise.
Navigando nel mare delle diete
Allora, cosa impariamo da questa ennesima puntata della saga “Cibo: amico o nemico”? Impariamo che la scienza della nutrizione è maledettamente complicata. Che non esiste l’alimento singolo che da solo vi farà ingrassare o dimagrire, ammalare o guarire. Che le diete sono un ecosistema complesso di cibi, abitudini, stili di vita, genetica e, diciamocelo, anche un po’ di fortuna.
Impariamo anche che le raccomandazioni cambiano, si affinano, a volte si ribaltano (o sembrano farlo) man mano che emergono studi con metodologie più rigorose o prospettive diverse. Vi sentite persi? Siete in buona compagnia. Un giorno un alimento è il bene, quello dopo il male.
Questo studio sulla carne rossa non lavorata non è la parola fine. È un pezzo che si aggiunge al puzzle. Un pezzo importante, perché sfida un’idea piuttosto radicata e ci costringe a guardare i dati con occhio più critico, distinguendo bene tra i vari tipi di carne e i vari tipi di studi. E mentre la scienza cerca di districare questa matassa complessa, noi comuni mortali rimaniamo lì, con la nostra forchetta in mano. Che facciamo? Ascoltiamo la Texas Tech e addentiamo quella bistecca con meno sensi di colpa? O teniamo fede alle vecchie linee guida, per prudenza?
La risposta facile non c’è. Forse l’unica cosa sensata è ricordare che l’equilibrio è spesso la chiave, che la varietà nel piatto aiuta, e che nessun singolo alimento è il solo responsabile della vostra salute o del vostro girovita.
Magari un giorno mangeremo carne coltivata in laboratorio, risolvendo i dubbi etici e ambientali (come vi scrivevo in questo approfondimento su Futuro Prossimo), ma per ora, la questione della carne rossa non processata e del suo impatto sull’obesità resta lì, appesa a un filo di studi e interpretazioni. Il capro espiatorio si è difeso bene questa volta. Ma chissà, magari il prossimo colpevole è già dietro l’angolo, pronto a finire sul banco degli imputati, mentre noi cerchiamo ancora di capire cosa mettere nel piatto senza sentirci in colpa o a rischio.