La coscienza quantistica ha sempre diviso la comunità scientifica tra sostenitori e scettici. Da una parte Roger Penrose e Stuart Hameroff con la loro teoria dei microtubuli, dall’altra neuroscienziati convinti che il cervello fosse troppo “caldo e sporco” per fenomeni quantistici.
Ora un nuovo studio pubblicato su Physical Review E potrebbe aver trovato il punto di equilibrio: la mielina, quella guaina grassa che riveste i neuroni, funziona come una cavità quantistica capace di generare fotoni entangled. Non nei microtubuli, ma nelle strutture che li proteggono.
Mielina, la centrale della coscienza quantistica
Il team guidato da Zefei Liu e Yong-Cong Chen dell’Università di Shanghai ha sviluppato modelli matematici sofisticati per simulare come i fotoni infrarossi interagiscono con la mielina. I risultati sono sorprendenti: la guaina mielinica si comporta come una cavità cilindrica perfetta per immagazzinare e amplificare radiazioni elettromagnetiche. Quando i fotoni collidono con questa struttura, si verifica qualcosa di straordinario.
“La coscienza nel cervello dipende dalle attività sincronizzate di milioni di neuroni, ma il meccanismo responsabile di tale sincronizzazione rimane sfuggente”, spiegano i ricercatori. La loro scoperta indica che la cavità cilindrica formata dalla guaina mielinica può facilitare l’emissione spontanea di fotoni e generare un numero significativo di coppie di fotoni entangled.
Quando un cervello è attivo, milioni di neuroni si attivano simultaneamente. Se il potere dell’evoluzione stava cercando un’azione pratica a distanza, l’entanglement quantistico sarebbe un candidato ideale per questo ruolo.
Come funziona l’entanglement nelle fibre nervose
Il meccanismo scoperto dai ricercatori cinesi si basa sui legami carbonio-idrogeno presenti nelle molecole lipidiche della mielina. Quando fotoni infrarossi impattano questi legami, l’energia viene trasferita alle vibrazioni molecolari, innescando una cascata di emissioni. Il risultato? Coppie di fotoni quantisticamente entangled che mantengono una correlazione istantanea.
L’abbondanza di unità vibrazionali dei legami C-H nei neuroni può quindi servire come fonte di risorse di entanglement quantistico per il sistema nervoso. Questi risultati potrebbero offrire intuizioni sulla capacità del cervello di sfruttare queste risorse per il trasferimento quantistico di informazioni.
La velocità è il fattore cruciale. I segnali elettrici nei neuroni viaggiano a velocità inferiori a quella del suono, troppo lenti per spiegare la sincronizzazione istantanea di milioni di cellule cerebrali. L’entanglement quantistico, invece, permette correlazioni istantanee indipendentemente dalla distanza.

Dalla teoria di Penrose alle prove sperimentali
La scoperta non arriva dal nulla. Negli anni Novanta, il fisico teorico Roger Penrose e l’anestesista Stuart Hameroff avevano proposto la teoria Orch-OR (Orchestrated Objective Reduction), secondo cui la coscienza emergerebbe da processi quantistici nei microtubuli dei neuroni. La comunità scientifica aveva accolto la teoria con scetticismo, ritenendo il cervello inadatto ai fenomeni quantistici.
Lo studio di Shanghai ribalta questa prospettiva concentrandosi sulla mielina anziché sui microtubuli. Non è la prima volta che la ricerca quantistica sorprende: dalla fotosintesi al senso dell’olfatto, diversi processi biologici sfruttano meccanismi quantistici. Il cervello potrebbe essere solo l’ultimo della lista.
Bo Song dell’Università di Shanghai per la Scienza e la Tecnologia e Yousheng Shu dell’Università di Fudan hanno commentato che il risultato “offre una potenziale fonte di generazione continua di entanglement quantistico nel sistema nervoso centrale strettamente correlata alla nostra cognizione”. Tuttavia, come ho sottolineato in questo articolo, aggiungono cautela: incorporare l’entanglement quantistico nella scienza del cervello “è piuttosto speculativo per natura”.
Le implicazioni per la comprensione della coscienza quantistica
Se confermata, questa ricerca potrebbe rivoluzionare la neuroscienza. L’idea che la coscienza emerga da processi quantistici non è più confinata alla speculazione filosofica. I fotoni entangled nella mielina potrebbero trasformarsi in entanglement lungo i canali ionici del neurone, creando una rete di comunicazione quantistica nel cervello.
La sfida ora è dimostrarlo sperimentalmente. Rilevare fotoni entangled in un sistema biologico vivente è estremamente complesso. Chen e i suoi colleghi si concentreranno sui modelli teorici per studiare come l’entanglement quantistico possa influenzare le funzioni cerebrali oltre la sincronizzazione.
Il dibattito sulla coscienza quantistica è tutt’altro che concluso. Ma una cosa è certa: la frontiera tra fisica quantistica e neuroscienze si sta assottigliando sempre di più. E forse, tra qualche anno, scopriremo che la nostra mente funziona davvero come un computer quantistico biologico, dove i pensieri nascono dall’abbraccio invisibile di particelle di luce.