C’è una luce che nessuno ha mai visto, eppure esiste da sempre. Esce dal vostro cranio, anche in questo momento, mentre leggete queste righe. È un milione di volte più debole di quella che riescono a percepire i vostri occhi, ma è reale quanto il battito del vostro cuore.
Un team di scienziati canadesi sono riusciti per la prima volta a fotografarla e hanno scoperto che questa luce cambia a seconda di quello che pensate, vedete o sentite. Il vostro cervello, letteralmente, brilla. E questa scoperta potrebbe consentire ai medici di “vedere” malattie neurologiche semplicemente guardando come risplende la vostra mente.
Come la luce dal cranio attraversa le ossa
Il team guidato da Hayley Casey dell’Università di Algoma ha dimostrato qualcosa che sembrava impossibile: il cervello umano emette fotoni che attraversano cranio, cuoio capelluto e raggiungere sensori esterni. Lo studio, pubblicato su iScience, ha coinvolto 20 volontari posizionati in una stanza completamente buia mentre fotomoltiplicatori ultrasensibili registravano ogni traccia di luce.
Queste emissioni di fotoni ultradeboli (UPE) non sono fantascienza. Derivano dal metabolismo cellulare: quando gli elettroni perdono energia durante le reazioni biochimiche, rilasciano fotoni. Nel cervello, organo che consuma il 20% dell’energia corporea totale, questa “firma luminosa” è particolarmente intensa. Come spiega la ricercatrice Nirosha Murugan: “La prima scoperta in assoluto è che i fotoni escono dalla testa, punto e basta. È indipendente, non è spurio, non è casuale”.
La scoperta ha radici profonde nella ricerca sui biofotoni cerebrali che da anni affascina neuroscienziati e fisici. Un recente studio cinese aveva già ipotizzato che le fibre nervose generino fotoni entangled, aprendo scenari quantistici nella comprensione del cervello.

La luce dal cranio reagisce ai pensieri
L’aspetto più sorprendente è che questa luce dal cranio non è costante. Durante l’esperimento, i volontari hanno attraversato cinque fasi diverse: occhi aperti, occhi chiusi, ascolto di stimoli sonori, nuovamente occhi chiusi e di nuovo aperti. Ogni cambiamento di stato mentale modificava il pattern delle emissioni fotoniche registrate.
I fotoni cerebrali mostrano caratteristiche uniche: frequenze sotto 1 Hz che oscillano ogni 1-10 secondi, entropia più elevata rispetto alla luce ambientale, e correlazioni moderate con i ritmi cerebrali alfa. È come se il cervello “parlasse” attraverso impulsi luminosi, usando un linguaggio ottico parallelo a quello elettrico già noto.
Poiché gli UPE sono correlati al metabolismo ossidativo, le applicazioni più immediatamente rilevanti potrebbero includere l’individuazione di tumori cerebrali in fase di sviluppo, lesioni eccitotossiche, lievi lesioni traumatiche e danni da neurotossine
La ricerca canadese conferma intuizioni precedenti. Già ricercatori italiani dell’Università Politecnica delle Marche avevano teorizzato che nel cervello viaggiano informazioni luminose, identificando nei nodi di Ranvier dei veri “sistemi di nanoantenne” capaci di emettere onde elettromagnetiche.
Verso la fotoencefalografia del futuro
Se confermate, queste scoperte potrebbero introdurre la fotoencefalografia: una tecnica di neuroimaging passiva, non invasiva e ad alta risoluzione. Invece di elettrodi EEG o potenti magneti per risonanza, basterebbero sensori ottici per monitorare l’attività cerebrale.
Le applicazioni cliniche sono promettenti ma richiedono ovviamente cautela. I ricercatori sottolineano che servono sensori più precisi, campioni più ampi e tecniche di localizzazione migliori. L’obiettivo è sviluppare dispositivi capaci di distinguere segnali specifici per diverse patologie neurologiche.
Un dettaglio affascinante: gli UPE cerebrali potrebbero essere rilevabili fino a 200 anni luce di distanza con tecnologie simili ai nostri radiotelescopi. Se esistessero civiltà aliene con strumenti adeguati, potrebbero già aver “visto” la luce dei nostri cervelli propagarsi nello spazio.
La strada verso applicazioni pratiche è ancora lunga. Come ammettono gli stessi autori: “La mera esistenza di fotoni nel cervello non prova che essi guidino la sincronia di milioni di neuroni”. Ma per la prima volta abbiamo la conferma che il cervello umano è letteralmente un organo luminoso, capace di comunicare attraverso la luce.
Forse, in futuro, i medici potranno diagnosticare Alzheimer, Parkinson o tumori cerebrali semplicemente osservando come brillano i nostri pensieri. Una prospettiva che trasforma la neurologia da scienza dell’elettricità cerebrale a scienza della luce della mente.