Il cervello è una macchina incredibile, ma anche una scatola nera piena di misteri. Uno dei più ostinati riguarda l’Alzheimer e le proteine che sembrano farla da padrone nel suo sviluppo. In cima alla lista c’è spesso la proteina tau. L’abbiamo vista come la “cattiva”, la proteina mal ripiegata che crea scompiglio. Ma la scienza, ogni tanto, ti dice: “guarda meglio”.
E guardando meglio, nei cervelli dei neonati, si scopre che la proteina tau c’è, ed in quantità industriali, e non sta distruggendo proprio niente. Anzi. È come se avessimo trovato l’antidoto nel luogo dove pensavamo nascesse il veleno. Una prospettiva quantomeno… disorientante.
La proteina tau nei neonati: un mistero in culla
Per anni, come detto abbiamo avuto un “cattivo” da combattere. La proteina tau (o meglio, la sua forma modificata, la p-tau) e l’amiloide sono i soliti sospetti quando si parla di Alzheimer. Si accumulano, formano grumi (i famigerati ‘grovigli’) e via, parte la cascata che porta alla demenza che devasta tante, troppe vite. È una narrazione consolidata, quella del danno progressivo causato da queste “proteine tossiche”.
Ma poi arrivano scienziati come Rahul Sidhu, un dottorando in neuroscienze all’Università di Sheffield, e i suoi colleghi, e in questo nuovo studio ci mostrano qualcosa che non quadra. Prendete un neonato sano. Niente accumulo di amiloide, cervello in piena e meravigliosa costruzione. Eppure? I livelli di una forma specifica di proteina tau, la p-tau217, sono altissimi, ben oltre quelli che vediamo in un paziente con Alzheimer conclamato.
Avete capito bene? La proteina che associamo al disastro neurodegenerativo è presente in quantità enormi nel cervello che sta funzionando meglio, quello di un neonato. E non sta facendo danni. Anzi, deve per forza fare qualcosa di utile. Questa scoperta, la scoperta di questi livelli ‘altissimi’ nei neonati sani, mette in discussione l’idea che l’amiloide sia sempre il grilletto che fa impazzire la proteina tau. Suggerisce che queste proteine possano agire in modo indipendente, almeno in certe fasi della vita, e che altri processi biologici regolino la proteina tau costantemente.

La proteina tau: quando il difensore diventa nemico
Questa non è una scoperta isolata, nata per caso. Si allinea a studi precedenti su modelli animali (tipo i topi, poveretti, sempre in prima linea per la scienza) e neuroni fetali. Queste ricerche avevano già notato che i livelli di proteina tau tendono a raggiungere un picco durante le prime fasi dello sviluppo per poi diminuire drasticamente. Un andamento che, a quanto pare, si riflette negli esseri umani.
Allora, se la p-tau217 è così importante e, presumibilmente, utile per il normale sviluppo cerebrale all’inizio della vita, cosa succede dopo? Cosa cambia? Cosa fa scattare l’interruttore che trasforma una potenziale alleata in una nemica dichiarata? Questo è il vero enigma. Capire questo passaggio (dal ruolo protettivo a quello distruttivo) potrebbe aprire strade completamente nuove. Non solo per curare l’Alzheimer quando si manifesta, ma magari, con un po’ di fortuna e molta ricerca, per impedire che l’interruttore scatti.
La ricerca sull’Alzheimer si è concentrata per decenni sul danno causato dalle proteine quando si comportano male. Questo studio, invece, ribalta un po’ la prospettiva. Mostra che una di queste “proteine tossiche” potrebbe avere un ruolo vitale e sano all’inizio del nostro percorso. Come uno studio ha rivelato un ruolo protettivo inedito. In pratica abbiamo studiato una macchina solo quando è rotta, senza mai chiederci come funzionasse perfettamente da nuova.
La speranza in culla
Imparare i segreti di come il cervello di un neonato gestisce la proteina tau tenendola sotto controllo nonostante i livelli elevati potrebbe essere la chiave per preservare le funzioni cognitive anche da vecchi. È un po’ come cercare il manuale di istruzioni perfetto nel suo stato originale, anziché cercare di riparare il manuale strappato e macchiato. Comprendere se la proteina tau sia nemica o alleata è diventato cruciale. E forse, comprendere la p-tau217 nei neonati potrebbe davvero bloccare la malattia negli adulti.
Cambierebbe radicalmente il nostro approccio a quella che, diciamocelo, è una delle sfide mediche più scoraggianti. Abbiamo passato anni a cercare di pulire il pasticcio fatto dalle proteine accumulate, a sciogliere i grovigli, a tamponare il danno. E se la soluzione fosse capire come impedire che il pasticcio inizi? E se quella conoscenza fosse già lì, silenziosa, nei primi mesi di vita? Come vi scrivevo in questo approfondimento, a volte le soluzioni più sorprendenti si nascondono nei posti meno attesi.
Forse la risposta a uno dei peggiori incubi dell’età adulta non è in qualche laboratorio ipertecnologico, o in farmaci miracolosi ancora da inventare, ma è scritta fin dalla nascita, nella testa di chi il mondo lo sta appena scoprendo. Una lezione di umiltà dalla culla. Chissà se saremo capaci di leggerla, quella lezione. O se continueremo a cercare la chiave sotto il lampione sbagliato.