Pensate al vostro tragitto casa-lavoro. Ogni mattina percorrete la stessa strada, vedete gli stessi edifici, sentite gli stessi odori. Eppure, secondo un nuovo studio di Northwestern University, il vostro cervello rappresenta quel percorso con neuroni diversi ogni volta. Una scoperta che ribalta decenni di convinzioni sulla memoria spaziale e apre scenari inediti sulla natura dinamica dei ricordi.
La memoria spaziale non è un archivio fisso
I ricordi dei luoghi che frequentiamo non rimangono mai negli stessi neuroni. Questo il risultato sorprendente di uno studio pubblicato su Nature dal team di Daniel Dombeck, professore di neurobiologia presso la Northwestern University. La ricerca ha monitorato per giorni l’attività delle cellule di posizione nell’ippocampo di topi, rivelando che la rappresentazione degli spazi familiari cambia continuamente.
Fino al 2013, gli scienziati credevano che specifiche cellule cerebrali, chiamate place cells, fossero deputate a memorizzare luoghi precisi. Ogni neurone aveva il suo “indirizzo” specifico da custodire per sempre. Poi arrivò uno studio rivoluzionario che mostrò come questi neuroni potessero variare la loro attività nel tempo. Ma restava un dubbio: forse cambiavano perché cambiavano gli odori dell’ambiente, i rumori di sottofondo o la velocità di movimento degli animali?
Per risolvere questa incertezza, Dombeck e il suo team hanno progettato un esperimento di controllo totale. I topi correvano su tapis roulant immersi in labirinti di realtà virtuale, con schermi che mostravano sempre le stesse immagini. Per garantire odori identici, i ricercatori hanno persino messo coni sui nasi degli animali. Rumore bianco in sottofondo per eliminare variazioni sonore.
Solo il 5% dei neuroni rimane fedele alla memoria spaziale
I risultati hanno stupito gli stessi autori dello studio. Anche controllando ogni singola variabile ambientale, i neuroni continuavano a “migrare” tra rappresentazioni diverse dello stesso spazio. Solo una piccola percentuale, tra il 5% e il 10% delle cellule monitorate, si comportava come le classiche cellule di posizione, attivandosi consistentemente negli stessi punti del percorso.
Eravamo convinti che avremmo ottenuto il risultato opposto e dimostrato che i ricordi sono davvero identici per lo stesso spazio. Ma non è così. Un gruppo leggermente diverso di neuroni si attiva ogni volta
spiega Dombeck in un comunicato della Northwestern University. La scoperta suggerisce che la memoria spaziale è intrinsecamente dinamica, indipendentemente dalla stabilità dell’ambiente circostante.

I neuroni più eccitabili conservano meglio la memoria spaziale
Un dettaglio particolarmente interessante riguarda quale tipo di neuroni riesce a mantenere rappresentazioni stabili nel tempo. Il team ha scoperto che i neuroni più eccitabili, quelli che si attivano più facilmente, tendono a conservare meglio i ricordi spaziali. Al contrario, le cellule meno reattive sono quelle che “derivano” più spesso verso nuove rappresentazioni.
Questa osservazione potrebbe spiegare alcuni aspetti del deterioramento cognitivo legato all’età. Con l’invecchiamento, i neuroni tendono a diventare meno eccitabili. Se i neuroni più stabili sono proprio quelli più reattivi, la perdita di eccitabilità potrebbe contribuire ai problemi di memoria degli anziani.
Il fenomeno osservato potrebbe avere una funzione precisa. Come suggerisce Jason Climer, coautore dello studio ora all’Università dell’Illinois, questa fluidità della memoria potrebbe essere legata alla capacità del cervello di distinguere esperienze simili che avvengono in momenti diversi.
La deriva rappresentazionale non è un difetto del sistema nervoso, ma probabilmente un meccanismo adattivo. Permette al cervello di separare ricordi di esperienze molto simili, rendendo possibile accedere separatamente a ciascuna memoria specifica. È il motivo per cui riusciamo a distinguere la gita di ieri in montagna da quella della settimana scorsa, anche se abbiamo percorso lo stesso sentiero.
Implicazioni per intelligenza artificiale e invecchiamento
Le implicazioni di questa ricerca vanno oltre la neurobiologia pura. Climer suggerisce che questa fluidità della memoria potrebbe essere collegata a capacità che il cervello umano possiede e che l’intelligenza artificiale moderna fatica ancora a replicare, come l’apprendimento continuo senza dimenticare conoscenze precedenti.
La scoperta apre anche nuove prospettive per comprendere condizioni neurodegenerative come l’Alzheimer. L’ippocampo è tra le prime regioni colpite dalla malattia, e i deficit di orientamento spaziale sono spesso sintomi precoci. Capire come la deriva neuronale influenzi questi processi potrebbe suggerire nuovi approcci terapeutici.
Lo studio, pubblicato su Nature il 23 luglio 2025, è stato sostenuto dai National Institutes of Health e rappresenta un’evoluzione significativa nella comprensione dei meccanismi della memoria. Non si tratta solo di una curiosità scientifica: questa dinamicità dei ricordi potrebbe essere la chiave per capire come il cervello riesce a essere flessibile e adattivo, mantenendo al tempo stesso la capacità di navigare in un mondo complesso.
La prossima volta che percorrerete la strada per il lavoro, ricordatevi che il vostro cervello sta probabilmente usando un “equipaggio” di neuroni leggermente diverso rispetto a ieri. Una danza silenziosa di cellule che, cambiando continuamente posto, ci permettono di ricordare e al tempo stesso di distinguere ogni singola esperienza della nostra vita.