Guardare Brazil nel 2025 fa un effetto strano. Terry Gilliam l’ha girato 40 anni fa immaginando un futuro distopico, ma oggi sembra un documentario sul presente. Jonathan Pryce nei panni di Sam Lowry, burocrate intrappolato in un sistema kafkiano, potrebbe essere ognuno di noi alle prese con moduli digitali, password dimenticate e chatbot che non capiscono le nostre richieste.
La cosa inquietante è che allora sembrava esagerato, oggi è cronaca quotidiana.

Brazil, la profezia che non volevano vedessimo
Il mondo di Brazil è governato dal Ministero dell’Informazione, dove un errore di battitura può costare la vita a un innocente. Sam Lowry lavora in uffici claustrofobici pieni di schermi minuscoli che richiedono lenti d’ingrandimento per essere letti, circondato da tecnologie che promettono efficienza ma producono solo frustrazione.
Non vi ricorda niente? Ogni volta che un sistema automatizzato vi nega un servizio per un “errore tecnico”, ogni volta che un algoritmo vi categorizza male, ogni volta che la burocrazia digitale vi intrappola in loop infiniti di moduli e verifiche, state vivendo l’incubo lucido di Terry Gilliam.
Nel film, Archibald Buttle viene arrestato al posto del terrorista Archibald Tuttle a causa di una mosca morta che cade su una macchina da scrivere. Un banale errore tipografico diventa una sentenza di morte. Oggi chiamiamo queste cose “bias degli algoritmi” o “errori di sistema”, ma il risultato è lo stesso: vite rovinate da macchine che sbagliano.
La battaglia epica contro Universal Pictures
Prima ancora che Brazil diventasse profetico, Terry Gilliam dovette combattere una guerra contro Universal Pictures. Lo studio considerava il film troppo cupo, troppo lungo, troppo complesso. Sid Sheinberg, presidente di Universal, fece rimontare il film senza il permesso di Gilliam, creando una versione di 94 minuti con un finale felice chiamata “Love Conquers All”. Era l’antitesi di tutto quello che Gilliam voleva dire. Il regista reagì con una mossa audace che resta leggendaria nella storia di Hollywood: comprò una pagina intera su Variety con un annuncio che diceva semplicemente “Caro Sid Sheinberg: quando uscirà il mio film Brazil?”
Mentre Universal teneva il film in ostaggio, Gilliam organizzò proiezioni clandestine per critici e studenti di cinema. La Los Angeles Film Critics Association vide il montaggio del regista e lo premiò come Miglior Film dell’anno prima ancora che uscisse ufficialmente al cinema.
Brazil e la burocrazia moderna
Quello che rende Brazil così attuale non è solo la tecnologia malfunzionante, ma il modo in cui descrive la burocrazia come un organismo che si autoalimenta. Nel film, nessuno sa più perché esistano certe procedure, ma tutti le seguono religiosamente. I cittadini pagano per essere torturati, la violenza di stato viene presentata come routine amministrativa. Quando un attentato terroristico esplode in un ristorante, i camerieri si limitano a mettere un paravento per nascondere i corpi e la cena continua indisturbata.
Mi piace molto come Gilliam abbia creato un mondo dove l’incompetenza è sistematizzata. Nel 1985 sembrava una satira esagerata del capitalismo burocratico. Nel 2025 in cui dobbiamo compilare moduli digitali per ogni cosa, le chat sono controllate prima che partano i messaggi e i call center ci rimandano da un operatore robotico all’altro senza mai risolvere il problema, quando la tecnologia promette semplificazione ma produce complicazione, quel mondo non sembra più tanto fantastico.

Se la distopia diventa documentario
Lo stesso Terry Gilliam, intervistato per i 40 anni del film, ha ammesso:
“Non sembra datato. La gente mi chiede sempre come ho fatto a capire che il mondo sarebbe diventato così. Vi bastava tenere gli occhi aperti”.
Il regista ha ragione: Brazil non predice il futuro, fotografa dinamiche già presenti negli anni 80 che si sono semplicemente amplificate.
Harry Tuttle, il tecnico che ripara i condizionatori senza permessi burocratici, è un po’ il Neo di Matrix prima di Matrix: l’eroe che aggira il sistema, ma nel mondo di Brazil anche gli eroi sono destinati a soccombere. Tuttle scompare letteralmente, inghiottito dalla carta burocratica che si accumula ovunque. È una metafora perfetta del destino di chi prova a ribellarsi al sistema.
Il ritorno di Brazil in 4K
Il Film Forum di New York ha ospitato una settimana di proiezioni della nuova versione restaurata in 4K di Brazil, curata dalla Criterion Collection con la supervisione di Gilliam stesso. Le immagini sono più nitide che mai, ma è il contenuto che colpisce per la sua precisione profetica. Ogni dettaglio del design produttivo sembra costruito per il 2025.
La cosa più inquietante è che Brazil oggi sembra ottimista. Nel mondo di Sam Lowry almeno esistono ancora i sogni, anche quando finiscono male. Il protagonista può ancora immaginare di volare via da tutto questo, di salvare la donna dei suoi sogni. Nel nostro 2025, anche l’immaginazione sembra delegata alle macchine.
Terry Gilliam ha vinto la sua battaglia contro Universal Pictures, ma ha perso la guerra contro il futuro che aveva immaginato. Brazil è diventato un manuale metaforico di istruzioni che qualcuno ha seguito troppo alla lettera.
E la cosa più spaventosa è che manca il finale.