Stamattina, mentre leggete questo articolo, da qualche parte in Cina una fabbrica sta producendo uno smartphone ogni tre secondi. Non c’è nessun operaio al lavoro, nessun supervisore che controlla, nessuna luce accesa per illuminare le operazioni. È una delle cosiddette dark factories: l’evoluzione finale dell’automazione industriale. Le regole della manifattura globale sono già state superate, e milioni di lavoratori si chiedono quale sarà il loro posto in questo mondo nuovo.
Quando i robot spengono definitivamente le luci
Le dark factories non sono più un esperimento di laboratorio. Sono stabilimenti produttivi completamente automatizzati dove l’intervento umano è ridotto praticamente a zero. Il termine “oscure” deriva dal fatto che questi impianti possono letteralmente funzionare al buio: senza operai che necessitano di illuminazione, le luci diventano superflue. Un paradosso industriale che sa di distopia ma promette efficienza record.
Il concetto non è del tutto nuovo. FANUC, azienda giapponese di robotica, gestisce dal 2001 stabilimenti dove robot costruiscono altri robot in completa autonomia per periodi che possono estendersi fino a 30 giorni consecutivi. Ma quello che sta accadendo oggi ha una scala e una sofisticazione completamente diverse.
L’intelligenza artificiale moderna ha trasformato questi impianti in organismi quasi viventi. Sensori avanzati, visione artificiale e algoritmi di machine learning permettono alle macchine di percepire l’ambiente, prendere decisioni e persino auto-ottimizzarsi durante la produzione. Non si limitano a eseguire: imparano, si adattano, evolvono.
Xiaomi e l’impero delle dark factories cinesi
La Cina sta guidando questa rivoluzione con investimenti miliardari. Xiaomi ha inaugurato nel 2024 uno stabilimento da 81.000 metri quadrati a Changping, investendo 2,4 miliardi di yuan (330 milioni di dollari) per creare quella che definisce una “fabbrica intelligente” completamente autonoma.
La fabbrica di Xiaomi produce un dispositivo ogni tre secondi, 24 ore su 24, per una capacità annuale di 10 milioni di smartphone. L’impianto utilizza 11 linee di produzione completamente automatizzate e può diagnosticare autonomamente i problemi, ottimizzare i processi e persino evolversi da solo attraverso la piattaforma proprietaria Xiaomi HyperIMP.
Ma Xiaomi non è sola. Foxconn, il gigante taiwanese dell’elettronica, ha sostituito 60.000 operai con robot in un solo stabilimento di Kunshan nel 2016, puntando ad automatizzare il 30% delle sue operazioni entro il 2025. BYD, leader nella produzione di veicoli elettrici, utilizza sistemi robotici per l’assemblaggio di batterie e telai negli impianti di Shenzhen e Xi’an.
Il fenomeno risponde alla strategia nazionale “Made in China 2025”, lanciata nel 2015 per trasformare il paese in una potenza manifatturiera high-tech. I risultati sono tangibili: secondo l’International Federation of Robotics, la Cina ha installato 290.367 robot industriali nel 2022: è il 52% del totale mondiale.

Il club esclusivo dei pionieri globali
Fuori dalla Cina, altri giganti tecnologici stanno abbracciando il modello dark factory con approcci diversi. Tesla ha implementato livelli elevati di automazione nelle sue Gigafactory, anche se Elon Musk ha imparato a sue spese che “troppa automazione” può essere controproducente quando i sistemi non sono sufficientemente flessibili. Siemens ha trasformato lo stabilimento di Amberg in Germania in un modello di automazione avanzata, raggiungendo l’80% di automazione nei processi produttivi con tassi di errore quasi pari a zero. Amazon ha aumentato il numero di robot nei suoi centri logistici da 350.000 nel 2021 a oltre 750.000 nel 2023, introducendo robot come Digit, alto 1,75 metri e capace di sollevare pacchi fino a 16 kg.
Come spiega Lei Jun, CEO di Xiaomi: “Quello che colpisce di più è che questa piattaforma può identificare e risolvere problemi, aiutando anche a migliorare il processo produttivo. La fabbrica ha capacità di auto-percezione, auto-decisione ed auto-esecuzione, diventando una vera smart factory che può evolversi da sola.”
I numeri che ridisegnano il mercato delle dark factories
L’espansione delle dark factories non è solo una questione tecnologica: è un mercato in rapida crescita che attira investimenti miliardari. Secondo le proiezioni di mercato più recenti, il settore passerà da 47,3 miliardi di dollari nel 2024 a 94,8 miliardi entro il 2034, con un tasso di crescita annuo del 7,2%.
Altri studi parlano di crescite ancora più aggressive: il mercato potrebbe schizzare a 44,89 miliardi di dollari entro il 2031 con un tasso di crescita del 20% annuo. L’Asia-Pacifico domina con il 44,8% del mercato, seguita dall’America Latina che si profila come la regione a crescita più rapida.
Il settore automobilistico guida la domanda con il 40,8% del mercato, spinto dalla necessità di produrre veicoli elettrici, autonomi e connessi. La robotica industriale rappresenta il 45,3% delle tecnologie implementate, mentre i progetti “greenfield” (fabbriche costruite da zero) costituiscono il 53,7% dei nuovi investimenti.
Luci e ombre di una rivoluzione senza ritorno
I vantaggi delle dark factories sono evidenti: produzione continua 24/7, eliminazione degli errori umani, riduzione drastica dei costi operativi, maggiore sicurezza (nessun rischio di incidenti sul lavoro), e accelerazione dei processi innescata anche dalla pandemia. L’efficienza energetica migliora grazie all’eliminazione di illuminazione, riscaldamento e sistemi di ventilazione per gli umani.
Ma le implicazioni sociali sono profonde. Milioni di posti di lavoro nel settore manifatturiero rischiano di scomparire. La Cina, che impiega nella manifattura più persone dell’intera popolazione tedesca, sta già sostituendo decine di migliaia di lavoratori con robot. Ogni nuovo robot industriale può eliminare 2-3 posti di lavoro, colpendo principalmente la classe media operaia.
Le dark factories sollevano questioni etiche cruciali: come gestire la transizione occupazionale? Quali competenze dovranno sviluppare i lavoratori? Come bilanciare efficienza tecnologica e coesione sociale? Le tendenze per il 2025 indicano robot sempre più intelligenti, ma anche la necessità di nuovi modelli di sicurezza e interoperabilità.
La sfida non è fermare il progresso, ma guidarlo. Aziende e governi devono investire nella riqualificazione dei lavoratori, sviluppare nuovi modelli economici e garantire che i benefici dell’automazione non restino concentrati nelle mani di pochi.
Perché se è vero che le macchine hanno imparato a lavorare al buio, l’umanità non può permettersi di rimanere all’oscuro del proprio futuro.