Trentasette anni con il diabete tipo 1. Una vita di iniezioni, controlli, ansie per l’ipoglicemia. Poi un trapianto che potrebbe cambiare tutto: cellule pancreatiche che producono insulina senza essere attaccate dal sistema immunitario. Non è uno scenario futuro, è medicina del 2025. L’Università di Uppsala ha dimostrato che l’editing genetico può rendere i trapianti sicuri come non mai.
Cellule pancreatiche invisibili, il trucco genetico
Il team di Per-Ola Carlsson dell’Università di Uppsala ha realizzato qualcosa che sembrava impossibile: un trapianto di cellule pancreatiche senza farmaci immunosoppressori. La ricerca, pubblicata sul New England Journal of Medicine, racconta di un paziente di 42 anni che ha ricevuto cellule pancreatiche geneticamente modificate con CRISPR.
Le cellule fanno parte del protocollo sperimentale UP421 e sono state modificate con tre interventi precisi. Due modifiche hanno ridotto gli antigeni HLA di classe I e II, quelli che normalmente permettono al sistema immunitario di riconoscere i tessuti estranei. La terza ha aumentato la produzione della proteina CD47, che funziona come un “segnale di non attaccare” per le cellule immunitarie innate.
Il risultato? Dopo 12 settimane, le cellule pancreatiche erano ancora vitali e producevano insulina, senza che il paziente dovesse assumere nemmeno un farmaco immunosoppressore. È la prima volta nella storia della medicina che questo accade.
Trapianto nell’avambraccio, una scelta strategica
Le cellule pancreatiche sono state impiantate nel muscolo dell’avambraccio del paziente, non nel fegato come avviene di solito. Non è una scelta casuale: l’avambraccio permette un monitoraggio preciso attraverso risonanza magnetica e, se necessario, di rimuovere le cellule. Perfetto per uno studio clinico di fase iniziale.
La quantità di cellule pancreatiche trapiantate era molto bassa, meno del 10% di quella normalmente necessaria per ottenere l’indipendenza dall’insulina. L’obiettivo non era curare il diabete, ma dimostrare che cellule modificate possono sopravvivere senza rigetto. E ci sono riusciti.
Il paziente ha mostrato una secrezione minima di C-peptide, il biomarcatore che indica la produzione di insulina delle cellule beta. Non abbastanza per cambiare la sua terapia, ma sufficiente per dimostrare che questo trapianto stava funzionando.

Perché le cellule pancreatiche modificate cambiano tutto
Finora, il trapianto di cellule pancreatiche era limitato a pazienti con diabete molto grave. Il motivo? I farmaci immunosoppressori necessari per evitare il rigetto comportano rischi: infezioni, tumori, tossicità. Per molti diabetici, questi rischi superano i benefici.
Se questo approccio verrà confermato, potrà rendere il trapianto di isole o di cellule pancreatiche una possibilità concreta per un numero molto più ampio di pazienti, migliorando la sicurezza e la qualità della vita, grazie all’eliminazione dei rischi legati all’immunosoppressione e alla possibilità di liberarsi dalle iniezioni quotidiane di insulina
Lo sottolinea Raffaella Buzzetti, presidente della Società Italiana di Diabetologia. Le cellule pancreatiche geneticamente modificate potrebbero aprire il trapianto a milioni di persone che oggi non possono accedervi.
Lorenzo Piemonti, direttore del Diabetes Research Institute dell’Ospedale San Raffaele di Milano, è cauto ma ottimista: si tratta di una prova di principio, non di una terapia efficace. Però le cellule pancreatiche sono sopravvissute e funzionano senza farmaci immunosoppressori. È un risultato che apre una prospettiva completamente nuova.
La strada verso cellule pancreatiche su scala industriale
Adesso la vera sfida è trasferire questo approccio alle cellule staminali. Come vi raccontavo in questo articolo sulle insuline intelligenti, la ricerca sul diabete tipo 1 sta facendo passi enormi. Le cellule pancreatiche da donatore sono limitate, ma quelle derivate da staminali potrebbero essere prodotte in quantità industriali.
Diversi centri stanno lavorando in questa direzione. La Vertex Pharmaceuticals ha già trattato 12 pazienti con cellule pancreatiche derivate da staminali, ottenendo l’indipendenza dall’insulina in alcuni casi. Il problema? Servono ancora immunosoppressori.
L’approccio di Uppsala potrebbe cambiare le regole del gioco. Se riuscissero ad applicare le stesse modifiche genetiche alle cellule pancreatiche derivate da staminali, avremmo una fonte praticamente illimitata di cellule sicure per i trapianti.
Serviranno altri studi, altri pazienti, tempi più lunghi di osservazione. Ma la strada è segnata: cellule del pancreas invisibili al sistema immunitario, capaci di produrre insulina senza farmaci che compromettono le difese dell’organismo. Per milioni di persone con diabete tipo 1, potrebbe essere l’inizio della fine delle iniezioni quotidiane.