Il nome dice tutto della loro ambizione: “Perplexity”, che in inglese significa perplessità. Ed è esattamente quello che stanno seminando nei quartieri generali di Google, Microsoft e Meta. Una manciata di startup nate negli ultimi tre anni sta ridisegnando la mappa del potere tecnologico mondiale. Con un’offerta da 34,5 miliardi per Chrome, Perplexity ha appena mostrato quanto siano cambiati i rapporti di forza: non più David contro Golia, ma nuovi giganti che crescono alla velocità della luce grazie all’intelligenza artificiale. È una notizia, certo, ma è soprattutto un segnale. Di cosa? Ci arrivo con calma.
Quando i nuovi big dell’AI sfidano i vecchi imperi
La storia del 12 agosto 2025 rimarrà negli annali: Aravind Srinivas, il giovane CEO di Perplexity, ha inviato una “chiamata” da 34,5 miliardi di dollari a Sundar Pichai per acquisire Chrome dal colosso di Mountain View. Non è solo un’offerta commerciale, è la dichiarazione di guerra di una nuova generazione di giganti tecnologici. Mentre Google combatte cause antitrust e perde pezzi del suo impero, startup come Perplexity mostrano una fame di conquista che ricorda i primi giorni di internet.
I numeri parlano chiaro: OpenAI vale 300 miliardi di dollari, Anthropic punta ai 170 miliardi, Perplexity ha toccato i 18 miliardi. Sono valutazioni che fino a ieri associavamo solo a Apple, Microsoft o Google. La rivoluzione dell’intelligenza artificiale non sta solo cambiando il modo in cui usiamo la tecnologia, sta creando un’intera nuova classe di colossi digitali.
La strategia di questi nuovi big dell’AI è chirurgica: non competere sui terreni consolidati di Big Tech, ma ridefinire completamente le regole del gioco. Perplexity non vuole essere “il nuovo Google”, vuole che Google diventi “la vecchia Perplexity”. Non so se ho reso l’idea.

I corsi e ricorsi della storia tecnologica
Sono certo che molti di voi riconoscono il wpattern. Dagli anni ’80 in poi, Microsoft ha sbaragliato IBM trasformando il personal computer da strumento aziendale a elettrodomestico. Google ha detronizzato Microsoft portando tutto sul web. Apple ha fatto fuori Nokia e Blackberry cambiando il mobile, e così via. Potrei continuare a lungo. Ora tocca all’intelligenza artificiale, e la velocità di questa transizione è senza precedenti.
Aravind Srinivas lo sa bene. Cresciuto a Chennai leggendo le gesta di Larry Page e Sergey Brin, ha imparato che ogni generazione tecnologica ha i suoi re, e nessun regno dura per sempre. Come racconta l’analista Ben Thompson di Stratechery, stiamo assistendo al “checking in” delle Big Five: alcune si adatteranno, altre soccomberanno.
La differenza stavolta è la scala temporale: se Google ha impiegato dieci anni per diventare dominante, i nuovi big dell’AI ci stanno riuscendo in tre. OpenAI è passata da laboratorio di ricerca a colosso da 300 miliardi in meno di sette anni. Anthropic, fondata nel 2021, vale già quanto molte multinazionali centenarie. E Perplexity, nata nel 2022, offre cifre che farebbero tremare le mani anche ai più navigati CEO della Silicon Valley. Già, Perplexity. Ma perché accidenti si chiama così?

Perplexity: il nome che confonde ma conquista
C’è un’ironia deliziosa nella storia del nome Perplexity. Durante un’intervista con il podcaster Raj Shamani, Aravind Srinivas ha ammesso con disarmante onestà:
“È uno dei peggiori nomi che puoi scegliere per un’azienda consumer. Sono perfettamente consapevole di questo problema”.
La scelta del nome ha una storia tutta da startup in bootstrapping: il dominio Perplexity.ai costava solo 120 dollari per due anni, e i fondatori non avevano molti soldi a disposizione. Ma c’è di più: “perplexity” è un termine tecnico dell’intelligenza artificiale che misura quanto bene un modello comprende qualcosa. Più bassa è la perplexity, più il modello è sicuro delle sue previsioni.
Quando scegli un nome per la tua azienda, prendi qualcosa di cool e facile da cui ottenere un dominio. Non avevo molti soldi all’inizio, quindi Perplexity AI era disponibile per 120 dollari per due anni. L’ho preso e basta. Perplexity è una metrica nell’AI che misura quanto bene capisci qualcosa. Molto nerd, lo ammetto.
Il paradosso è che questo “pessimo nome” è diventato il simbolo della sfida ai giganti. Srinivas ha rivelato che stanno considerando un rebranding: “Forse l’azienda rimarrà Perplexity, ma il prodotto potrebbe chiamarsi diversamente”. Vorrei ben dire. Intanto, quel nome impronunciabile confonderà pure i consumatori, ma continua a conquistare investitori miliardari come Jeff Bezos e Nvidia.
Il nuovo browser Comet e la rivoluzione silenziosa
A parte l’offerta per Chrome, comunque, Perplexity stava già costruendo il futuro con Comet, il suo browser alimentato dall’intelligenza artificiale. Non un semplice browser, ma una nuova filosofia di navigazione: invece di aprire mille tab, Comet ti permette di conversare con internet come se fosse una persona.
Ed è in buona compagnia: la competizione è feroce. OpenAI sta per lanciare il suo browser che integrerà ChatGPT direttamente nell’esperienza di navigazione. Microsoft ha potenziato Edge con Copilot. Google ha aggiunto funzionalità AI a Chrome. Come osserva Axios, questi browser AI stanno “lasciando indietro il web” trasformando la navigazione da esperienza di scoperta a conversazione assistita.
I numeri di Perplexity sono impressionanti: 30 milioni di query giornaliere, crescita del 20% mese su mese, 150 milioni di dollari di ricavi annui. Come nota SaaStr, la startup genera 211 dollari per utente mensile, otto volte più di OpenAI. Non male per un’azienda con “il peggior nome consumer” della storia.
Fusioni fantascientifiche: chi sposerà chi?

Immaginate per un momento le possibili fusioni tra i nuovi big dell’AI e le vecchie glorie di Big Tech. Perplexity potrebbe davvero diventare la nuova Google? E se Apple acquisisse Anthropic per dare finalmente un cervello degno di questo nome a Siri? Apple AI è stata una figuraccia fino ad ora, dobbiamo prenderne atto. Giochiamo a immaginare? Il ballo delle acquisizioni potrebbe ridisegnare completamente la mappa del potere tecnologico.
Scenario 1: Perplexity + Samsung. I coreani stanno già trattando per preinstallare Perplexity sui Galaxy S26. Immaginate se andassero oltre: una fusione creerebbe il primo colosso hardware-AI indipendente dalle Big Tech americane. Samsung potrebbe liberarsi dalla dipendenza da Google e creare un ecosistema completamente autonomo.
Scenario 2: OpenAI + Tesla. Elon Musk ha già xAI, ma se Sam Altman convincesse Tesla a mollare la guida autonoma per abbracciare l’AI generativa? Sarebbe, per Musk, un “ritorno del figliol prodigo”, peraltro. I veicoli diventerebbero uffici mobili con ChatGPT integrato. “Portami a Milano: nel frattempo scrivi la presentazione per domani e fammi vedere Il Trono di Spade su Netflix”. Ho detto Netflix?
Scenario 3: Anthropic + Netflix. Se l’AI è più empatica degli umani, perché non usarla per creare contenuti personalizzati? Claude potrebbe scrivere serie TV su misura per ogni abbonato, analizzando le sue emozioni in tempo reale. La fine dell’intrattenimento di massa, l’inizio dell’intrattenimento personale.
Scenario 4: Perplexity + TikTok. Srinivas ha già provato a salvare TikTok dalla chiusura con un’offerta di fusione. Se ci riuscisse, avremmo la prima piattaforma social completamente AI-native: video generati in tempo reale basati sulle domande degli utenti, influencer virtuali indistinguibili dagli umani, trend creati da algoritmi che conoscono i nostri desideri prima di noi.
Che probabilità c’è che si avverino proprio questi scenari? Forse lo 0%. Che probabilità c’è che si avverino scenari simili a questi? 100%. Ve lo dico io. Poi mi direte.
Non solo Perplexity: la guerra dei nuovi big dell’AI è appena iniziata
Cosa rende questi nuovi big dell’AI così pericolosi per i “dinosauri” di oggi? La risposta sta nella loro natura: sono nati per l’AI, non l’hanno aggiunta come feature. Google deve integrare l’AI nel suo motore di ricerca senza cannibalizzare il business pubblicitario. Microsoft deve far convivere Copilot con Office senza spaventare i clienti enterprise. Apple deve rendere Siri intelligente senza perdere il controllo sui dati.
I nuovi big dell’AI non hanno questi vincoli. Possono correre liberi, sperimentare, fallire, ripartire. Perplexity può permettersi di rendere obsoleto il concetto stesso di motore di ricerca. OpenAI può sostituire intere suite di produttività con un singolo chatbot. Anthropic può puntare tutto sulla sicurezza dell’AI senza preoccuparsi dei ricavi a breve termine.
Il dato più scioccante? Anthropic sta regalando Claude al governo americano per un dollaro, mentre OpenAI fa lo stesso con ChatGPT Enterprise. Non è filantropia, è strategia: conquistare le istituzioni per diventare indispensabili. Quando il governo dipenderà dall’AI di queste aziende, chi oserà regolarle?
L’offerta di Perplexity per Chrome è solo l’inizio. Non importa se Google rifiuterà: il messaggio è arrivato forte e chiaro. I nuovi big dell’AI hanno i muscoli, la visione e l’audacia per ridisegnare il panorama tecnologico. La perplessità che seminano oggi potrebbe diventare la chiarezza di domani: un mondo dove l’intelligenza artificiale non è più uno strumento, ma il substrato stesso dell’esperienza digitale.
E mentre noi dibattiamo se questi cambiamenti siano un bene o un male, loro continuano a crescere, acquisire, innovare. La nuova guardia dell’AI non sta bussando alla porta: è già entrata in casa.