Quando Elon Musk ha iniziato a twittare contro i dazi di Trump (ma non erano amici per la pelle?) i mercati hanno capito che qualcosa era cambiato per sempre. Il miliardario più potente del mondo stava litigando pubblicamente con il presidente, minacciando anche di fare un nuovo partito, ma non tanto per ideali o principi, quanto per soldi. Puri e semplici. Quella mattina di aprile 2025 è nata una nuova era economica. Il nuovo capitalismo non segue più le regole del libero mercato che abbiamo conosciuto per due secoli. Ora (qualcuno dice non da ora) anche negli USA “comanda” lo Stato, e chi non si adegua viene schiacciato. Anche se possiedi Tesla e SpaceX.
Il nuovo capitalismo dirigista conquista l’America
Non chiamatelo protezionismo. Quello che sta accadendo negli Stati Uniti è una trasformazione radicale cui gli economisti danno una ortodossa definizione di dirigismo: uno Stato che non si limita a regolare il mercato, ma lo controlla direttamente. Donald Trump ha fatto quello che nessun presidente americano aveva mai osato fare dalla Grande Depressione: ha trasformato la Casa Bianca nel quartier generale dell’economia mondiale.
I numeri parlano chiaro. Dazi al 30% verso l’Europa, controllo diretto delle catene di approvvigionamento, minacce esplicite ai CEO che non si allineano. Il nuovo capitalismo americano ha cancellato d’un colpo le teorie di Adam Smith che per oltre due secoli hanno guidato l’economia occidentale.
Il 2 aprile 2025 è stato definito dal presidente come il “Liberation Day”: l’abbandono definitivo delle politiche commerciali globaliste. Con un dazio medio che passa dall’1,4% al 13%, gli Stati Uniti sono tornati ai livelli di protezionismo degli anni Trenta. Ma questa volta il contesto è diverso: il commercio mondiale vale il 29% del PIL globale, contro l’8% di un secolo fa.
Come il nuovo capitalismo spaventa anche Wall Street
La cosa più sorprendente, o forse no, è che sono proprio i mercati finanziari a fare opposizione al nuovo capitalismo trumpiano. Come riportato da diverse analisi, Wall Street è diventata l’unica vera forza di resistenza alle politiche dirigiste della Casa Bianca.
I CEO di Home Depot, Target e Walmart hanno dovuto spiegare personalmente a Trump nello Studio Ovale che i prezzi sarebbero aumentati e gli scaffali sarebbero rimasti vuoti. Non è normale che i capitalisti debbano supplicare il presidente di cambiare politica. Eppure sta succedendo.
Il ruolo dei giganti della tecnologia
La battaglia più feroce del nuovo capitalismo si sta combattendo nella Silicon Valley. Elon Musk, Mark Zuckerberg e Jeff Bezos si sono dovuti “inginocchiare” davanti a Trump, come ha notato Il Foglio. Non si tratta più di lobbying tradizionale: è sottomissione diretta.
Il fenomeno ricorda quello che l’economista Yanis Varoufakis ha definito “tecno feudalesimo”: un sistema dove i giganti tecnologici diventano vassalli del potere politico. Solo che questa volta i ruoli sono invertiti. Non sono le Big Tech a controllare lo Stato, ma lo Stato a controllare le Big Tech.
Il paradosso del nuovo capitalismo: Trump sta usando metodi dirigisti per riportare la produzione negli Stati Uniti, ma rischia di distruggere il sistema che ha reso grande l’economia americana. Come ha osservato The Economist, “molte corporazioni sembrano essere miopi nel misurare i costi del nuovo capitalismo trumpiano”.
Il ruolo dell’Europa
L’impatto sull’Europa è devastante. Come ha sottolineato un’analisi dell’Unità, il nuovo capitalismo americano sta “sospendendo il liberismo” nei rapporti internazionali. Una bottiglia di vino da 10 euro ora costa 13 euro negli USA: quei tre euro vanno dritti al fisco americano.
Non è solo una questione commerciale. Il nuovo capitalismo dirigista minaccia di contagiare l’intero Occidente. Se gli Stati Uniti possono abbandonare il libero mercato e prosperare, perché gli altri paesi non dovrebbero fare lo stesso?
Ursula von der Leyen ha dichiarato che l’Europa è “aperta a un compromesso”, ma la realtà è che Bruxelles non ha strumenti per contrastare il nuovo capitalismo americano. L’UE può imporre contro-dazi fino a 26 miliardi, ma è una goccia nell’oceano rispetto alla potenza economica USA.

Il nuovo capitalismo è davvero sostenibile?
Gli esperti si dividono. Alessandro Volpi ha definito Trump “l’autodistruzione del capitalismo”, sottolineando come un paese con un debito di 37mila miliardi di dollari non possa permettersi di essere guidato da un presidente che “fa del tutto a meno del fariseismo tipico del capitalismo”.
Ma c’è chi vede nel nuovo capitalismo una necessità storica. Come vi scrivevo in questa analisi, la fine del capitalismo tradizionale potrebbe portare a sistemi alternativi. Il punto è che non tutti saranno necessariamente migliori.
La Dottrina Miran, dal nome dell’economista Stephen Miran che consiglia Trump, prevede una “ristrutturazione del sistema economico mondiale” basata sul controllo statale diretto degli scambi internazionali. Non è improvvisazione: è un piano studiato per trasformare gli accordi commerciali in strumenti di politica estera.
Il nuovo capitalismo e il futuro dell’Occidente
Quello che stiamo vedendo non è solo un cambiamento economico, ma una mutazione antropologica. Come avevamo anticipato, il mondo sta scivolando verso forme di capitalismo sempre più autoritarie.
Il nuovo capitalismo trumpiano assomiglia più al modello cinese che a quello occidentale tradizionale. Sissignore, è l’occidente a “copiare” il modello provando ad adattarlo. Lo Stato decide chi può fare affari, con chi e a quali condizioni. Forse in tanti dovrebbero abbandonare le illusioni di “superiorità” morale, e di maggior democrazia, anche visto ciò che si prepara in seno alla UE.
“Il capitalismo è un sistema evolutivo che risponde alle crisi trasformando radicalmente sia le relazioni economiche che le istituzioni politiche”, ha scritto l’economista Anatole Kaletsky. “Ma questa trasformazione potrebbe non essere quella che ci aspettiamo”.
Questo riassetto economico partito con i dazi potrebbe essere l’inizio di un’era post-liberale che cambierà per sempre il volto dell’economia mondiale. O potrebbe essere l’ultimo sussulto di un sistema che non riesce ad accettare la propria obsolescenza.
Una cosa è certa: i prossimi mesi ci diranno se il nuovo capitalismo dirigista americano riuscirà a riportare la produzione negli Stati Uniti o se finirà per distruggere il sistema che ha reso grande l’America. E con essa, tutto l’Occidente.