Il dodo è sempre stato il simbolo dell’estinzione definitiva. “Farà la fine del dodo” è un modo per dire che qualcosa è spacciato per sempre: ma Colossal Biosciences sta dimostrando che neanche l’estinzione è più quella di una volta.
Ora, con 320 milioni di dollari freschi di finanziamento e cellule germinali di piccione che crescono come non mai, la startup texana punta a trasformare il proverbio in bugia scientifica.
Il piccione che diventa dodo
Mercoledì scorso, l’Avian Genetics Group di Colossal ha annunciato di aver coltivato per la prima volta cellule germinali primordiali (PGC) di piccione. Può sembrare un dettaglio tecnico da laboratorio, ma è la chiave per aprire una porta che sembrava sigillata per sempre. Queste cellule, precursori di spermatozoi e ovociti, erano state coltivate con successo solo in polli e oche. Il team ha testato oltre 300 combinazioni di fattori di crescita molecolari per superare questa barriera evolutiva.
“Il nostro risultato nel coltivare cellule germinali primordiali di piccione è un progresso significativo per la de-estinzione del dodo”, ha dichiarato Ben Lamm, CEO di Colossal. Con il recente turno di finanziamenti, la valutazione totale dell’azienda ora si attesta sui 10,3 miliardi di dollari. Un bel po’ più che una boutade.
Il piano: modificare geneticamente le cellule germinali del piccione di Nicobar, il parente vivente più prossimo al dodo, per far esprimere loro le caratteristiche dell’uccello estinto. Queste cellule verranno poi inserite in polli “portatori” geneticamente modificati, privi delle proprie cellule germinali, che faranno da “genitori surrogati“.
La lezione di Church e i limiti della perfezione
George Church, il genetista di Harvard che ha co-fondato Colossal insieme a Lamm nel 2021, ha sempre sottolineato una distinzione cruciale: non si tratta di “resurrezione” ma di “de-estinzione funzionale”. Il risultato non sarà un dodo identico a quello che beccava frutti nelle foreste di Mauritius nel 1600, ma una creatura ibrida che ne condividerà molte caratteristiche.
È un po’ come ricostruire un’auto d’epoca usando il telaio di un modello moderno. Funzionerà, somiglierà all’originale, ma non sarà mai esattamente la stessa cosa. Church e il suo team lo sanno bene: hanno già applicato questa filosofia ai “topi lanosi” geneticamente modificati per assomigliare ai mammut e ai lupi modificati per richiamare i dire wolf preistorici.

Dodo, Mauritius e il ritorno a “casa”
Ma dove vivrebbe un dodo del XXI secolo? Colossal ha stretto una partnership con la Mauritian Wildlife Foundation per identificare habitat adatti sull’isola che fu la casa originale della specie. Il problema è che Mauritius di oggi non è più quella del XVII secolo (anche se i ratti e gli altri predatori che contribuirono all’estinzione del dodo sono ancora lì).
L’azienda ha anche formato il Mauritius Dodo Advisory Committee, un gruppo di esperti locali che dovrà guidare i futuri sforzi di conservazione. Come riportato dalla CNN, l’obiettivo è creare un clima di “ottimismo conservazionista” (vabbè) in un’epoca segnata dai cambiamenti climatici e dalla perdita di biodiversità.
Secondo le stime di Colossal, il primo “dodo funzionale” potrebbe vedere la luce entro 5-7 anni. Il processo richiederà generazioni successive di incroci selettivi per affinare le caratteristiche desiderate: dalla corporatura robusta all’incapacità di volare, fino al comportamento mansueto (diciamo pure “pesceabrodo”, per usare un termine napoletano) che rese questi uccelli delle prede così facili.
Oltre la nostalgia: le tecnologie che contano
Al di là dell’aspetto spettacolare, i veri benefici di questi progetti potrebbero arrivare dai sottoprodotti tecnologici. Le tecniche sviluppate per il dodo stanno già trovando applicazione nella conservazione di specie esistenti a rischio. Beth Shapiro, Chief Science Officer di Colossal, sta utilizzando metodi simili per reintrodurre diversità genetica nel piccione rosa di Mauritius, ridotto a soli 10 individui due volte nell’ultimo secolo.
Più in generale, gli studi sulle cellule germinali primordiali potrebbero rivoluzionare la biologia riproduttiva aviaria, offrendo strumenti per salvare specie come l’Hawaiian Honeycreeper, minacciato dalla malaria aviaria, o per sviluppare resistenze alle malattie in popolazioni vulnerabili.
Scettici e sostenitori: il dibattito continua
Non tutti sono convinti che riportare in vita (o de-estinguere) il dodo sia una priorità. Anche Julian Hume, paleontologo del Natural History Museum di Londra, avverte che anche in caso di successo il risultato sarà “solo una creatura simile al dodo”, non l’animale originale. Altri ricercatori sollevano domande più profonde: come si comporterà un animale “resuscitato” in un ecosistema che è evoluto senza di lui per tre secoli?
Again: come abbiamo raccontato per i topi lanosi di Colossal, questi progetti rappresentano banchi di prova fondamentali per tecnologie che potrebbero fare la differenza nella conservazione del presente, non solo nella “de-estinzione” del passato.
Il dodo che tornerà a camminare (forse) su Mauritius non sarà quello dipinto nei bestiari del Seicento. Ma potrebbe insegnarci abbastanza sulla vita e sulla morte delle specie da aiutarci a evitare che altri animali facciano davvero “la fine del dodo”.
Un paradosso che Church e i suoi colleghi sembrano disposti ad abbracciare: e con loro i tanti investitori. Chi vivrà, o si de-estinguerà, vedrà.