Il Corythosaurus abbassa la testa, sistema le cose con cura, poi si inginocchia. Un atterraggio controllato, quasi educato. Poi emette un suono. Non il ruggito che ti aspetti, ma qualcosa di più sottile: una conversazione a bassa voce, un borbottio melodioso. Courtney Brown preme il sensore e dalla stampa 3D del cranio fossilizzato esce una nota che attraversa 70 milioni di anni. Ascoltare le voci dei dinosauri, in fondo, è un po’ come sentire la voce di un vicino di casa da piccolo. Solo un po’ più lontano nel tempo. Ok: MOLTO lontano nel tempo.
Il suono che esce, però, non è quello che Hollywood ci ha abituato a immaginare. I dinosauri, a quanto pare, erano più conversatori che mostri. E forse è ora di smettere di pensarli come bestie che lanciano ruggiti spaventosi. Merito della paleoacustica: vi dico di più, leggete il seguito :)
Quando i fossili diventano strumenti
Courtney Brown della Southern Methodist University ha passato più di dieci anni a costruire quello che definisce il “Dinosaur Choir”: strumenti musicali ricavati da scansioni CT di teschi fossili. Il progetto combina paleontologia, acustica e stampa 3D per ricreare le voci dei dinosuri, creature scomparse 66 milioni di anni fa. Studi recenti confermano che i dinosauri del genere Parasaurolophus utilizzavano le loro creste ossee come camere di risonanza naturali.
Il funzionamento è più semplice di quello che sembra. Brown prende le scansioni di un cranio di Corythosaurus, stampa in 3D le cavità nasali e le creste, poi aggiunge sensori che captano i movimenti della voce. Il risultato non è un suono preconfezionato, ma una voce che risponde in tempo reale: più forte se alzi la voce, più dolce se sussurri. Un po’ come suonare un flauto, se il flauto fosse il teschio di un dinosauro di 5 metri.
La ricerca della New York University, presentata al 187° incontro della Acoustical Society of America, ha dimostrato che il Parasaurolophus poteva modulare i suoi suoni attraverso le creste ossee, producendo frequenze che variavano a seconda delle dimensioni dell’animale. Il team guidato da Hongjun Lin sta sviluppando un plug-in software che permetterà di aggiungere suoni di dinosauri alla musica.

L’evoluzione del canto preistorico
Ma c’è di più. Una scoperta recente in Cina ha portato alla luce il fossile di Pulaosaurus qinglong, un piccolo dinosauro erbivoro del Giurassico con una laringe fossilizzata straordinariamente conservata. Gli studiosi cinesi hanno dimostrato che questo dinosauro poteva “cinguettare” come un uccello moderno, con toni acuti e modulazioni raffinate. Una prova che l’evoluzione del canto aveva iniziato a sperimentare molto prima di quanto immaginassimo.
La laringe di Pulaosaurus presenta strutture cartilaginee simili a quelle degli uccelli attuali, con la capacità di produrre vibrazioni complesse. Non il ruggito territoriale di un predatore, ma qualcosa di più simile a una conversazione sociale. I ricercatori ipotizzano che questi suoni servissero per mantenere uniti i branchi, segnalare pericoli o corteggiare durante la stagione degli amori.
Il confronto con gli uccelli moderni è inevitabile: corvi e pappagalli dimostrano già oggi come i discendenti dei dinosauri abbiano mantenuto voci sofisticate. Ma quello che emerge dalle ricostruzioni paleoacustiche suggerisce che i loro antenati fossero ancora più versatili di quanto pensassimo.
Le voci dei dinosauri: Hollywood ci ha ingannato per trent’anni?
Evidentemente sì. I ruggiti di Jurassic Park, creati mixando versi di elefanti, leoni e alligatori, non hanno davvero nulla a che vedere con le ricostruzioni scientifiche. I suoni ricostruiti del Parasaurolophus tubicen assomigliano più al suono di uno strumento a fiato che al ruggito di un predatore.
Brown ha scoperto questo quasi per caso durante un viaggio nel 2011, quando sentì per la prima volta la ricostruzione del richiamo di un Parasaurolophus in un museo del New Mexico. “Il suono era profondamente musicale”, racconta. “Ho pensato che anche i dinosauri fossero cantanti, perché anch’io sono una cantante. Per la prima volta mi sono sentita davvero connessa ai dinosauri”.
Ma perché i dinosauri “cantavano”? La risposta è nella biologia sociale. Come evidenzia uno studio dell’evoluzione preistorica, i dinosauri erbivori vivevano in branchi complessi che richiedevano una comunicazione sofisticata. Le creste risonanti permettevano di mandare le voci dei dinosauri anche a notevole distanza, coordinare spostamenti e mantenere coeso il gruppo durante le migrazioni.
Voci dei dinosauri, il futuro del passato sonoro
Il progetto della Brown non si ferma qui. Insieme a Cezary Gajewski dell’Università di Alberta, ha sviluppato una versione senza contatto degli strumenti, che utilizza sensori di movimento e telecamere per trasformare i gesti in suoni. Il risultato è un’orchestra preistorica in cui performer umani “suonano” le voci di dinosauri estinti.
Il Dinosaur Choir ha vinto il terzo posto alla Guthman Musical Instrument Competition del Georgia Tech, dimostrando che la paleoacustica può essere sia rigore scientifico che arte sperimentale. Brown prevede di rendere open source i progetti di stampa 3D e il software, permettendo la creazione di “cori di dinosauri” in tutto il mondo.
L’idea di espandere il progetto ad altre specie è già in programma: dal nodosauro pesantemente corazzato ai grandi predatori del Cretaceo. Ogni specie con le sue caratteristiche anatomiche, ogni cranio con la sua voce unica.
Alla fine, quello che emerge da anni di ricerca paleoacustica è un mondo sonoro preistorico molto diverso da quello che immaginavamo. Non il fracasso di mostri primitivi, ma una sinfonia complessa di voci, richiami e conversazioni. I dinosauri non erano mostri muti: erano musicisti inconsapevoli che hanno riempito la Terra di suoni per 165 milioni di anni.
E forse la prossima volta che guarderete Jurassic Park, vi chiederete come sarebbe stato diverso il film con dinosauri che cantano invece di ruggire. Probabilmente meno spaventoso, ma decisamente più vicino alla realtà.