Immagina un robot grande come una foglia che scivola sulla superficie di uno stagno. Non affonda, non si bagna, ma si muove. Un po’ come i gerridi, quegli insetti con le zampe lunghe che sembrano pattinare sull’acqua senza sforzo. Ma questo non è un insetto: è una macchina sottile quanto un capello, per giunta fabbricata direttamente sull’acqua. Fino a ieri, costruire robot acquatici così delicati era un incubo: pellicole flessibili create sul vetro, poi staccate (magari rompendole) e trasferite sull’acqua. Un processo fragile che falliva spesso. Adesso c’è HydroSpread, e l’acqua stessa diventa il banco da lavoro.
Quando il vetro diventa il nemico
Baoxing Xu, professore di ingegneria meccanica all’Università della Virginia, ha passato anni a chiedersi perché i robot acquatici più sofisticati finissero per rompersi prima ancora di toccare l’acqua. Il problema? La fabbricazione tradizionale. Le pellicole ultra-sottili necessarie per costruire dispositivi morbidi e galleggianti venivano create su superfici rigide come il vetro, poi delicatamente staccate e trasferite sull’acqua. Ogni passaggio era un’occasione per lacerare il materiale, vanificare settimane di lavoro, ricominciare da capo.
“Fabbricare la pellicola direttamente sul liquido ci dà un livello di integrazione e precisione senza precedenti” spiega Xu. “Invece di costruire su una superficie rigida e poi trasferire il dispositivo, lasciamo che sia il liquido a fare il lavoro, fornendo una piattaforma perfettamente liscia che riduce i fallimenti a ogni passaggio”. Lo studio pubblicato su Science Advances dimostra che l’intuizione funziona: gocce di polimero liquido si espandono naturalmente sulla superficie dell’acqua, formando fogli uniformi e ultrasottili. Un laser li incide con precisione millimetrica. Niente vetro, niente trasferimenti, niente rotture.
Il metodo HydroSpread sfrutta la tensione superficiale dell’acqua come supporto naturale. Quando una goccia di polimero liquido (PDMS, per la precisione) tocca l’acqua, si diffonde spontaneamente in una pellicola sottilissima. Secondo i ricercatori dell’UVA, il processo richiede circa 10 minuti per stabilizzarsi, poi 8 ore di solidificazione completa. Il risultato? Una pellicola galleggiante che può essere intagliata in forme complesse: cerchi, strisce, persino il logo dell’università.

HydroFlexor e HydroBuckler: i prototipi che camminano
Il team di Xu ha costruito due prototipi per dimostrare le potenzialità di HydroSpread. Il primo, HydroFlexor, usa movimenti simili a pinne per remare sulla superficie. Il secondo, HydroBuckler, “cammina” con zampe che si piegano, imitando l’andatura delle gerride. In laboratorio, i dispositivi sono alimentati da un riscaldatore a infrarossi sospeso sopra di loro. Quando le pellicole si scaldano, la struttura a strati si piega o si incurva, creando movimento. Accendendo e spegnendo il calore, i robot acquatici regolano velocità e direzione.
È fisica applicata con intelligenza. I gerridi, quegli insetti che danzano sull’acqua senza mai affondare, esercitano una forza massima appena sotto la soglia che romperebbe la tensione superficiale (circa 144 mN/m). I robot acquatici di Xu fanno lo stesso: usano zampe curve rivestite di materiale superidrofobico, distribuite in modo da non perforare mai la superficie. Il movimento rotatorio delle zampe durante il “salto” o il passo aumenta del 42% la forza applicabile senza sprofondare.
Oltre i robot acquatici: il futuro è liquido
Le applicazioni di HydroSpread vanno ben oltre i robot acquatici bioispirati. Sensori medici indossabili, elettronica flessibile, monitor ambientali: tutti questi dispositivi hanno bisogno di essere sottili, morbidi e resistenti in ambienti dove i materiali rigidi falliscono. La capacità di fabbricare pellicole delicate senza danneggiarle potrebbe trasformare il modo in cui progettiamo tecnologie leggere e adattabili. Come racconta un nostro recente articolo, l’idea di usare fluidi come componenti attivi sta rivoluzionando la robotica morbida.
Le versioni future di questi robot acquatici potrebbero essere progettate per rispondere alla luce solare, a campi magnetici o a minuscoli riscaldatori integrati. Questo aprirebbe le porte a robot autonomi capaci di esplorare zone allagate, monitorare inquinanti o raccogliere campioni d’acqua in aree pericolose. Flotte di dispositivi miniaturizzati che scivolano sulla superficie, invisibili e instancabili.
Il lavoro di Xu si inserisce in un filone di ricerca decennale. Dal 2007, quando il Nanorobotics Lab della CMU presentò i primi prototipi ispirati alle gerride, fino ai recenti robot acquatici della Washington State University (che pesano 55 milligrammi e si muovono a 6 millimetri al secondo), la robotica bioinspirata ha fatto passi enormi. Ma nessuno prima d’ora aveva risolto il problema della fabbricazione diretta su liquido.

Robot acquatici, il limite è solo tecnico. Per ora
Per adesso, HydroFlexor e HydroBuckler sono prototipi da laboratorio. Non hanno autonomia energetica, dipendono da fonti esterne di calore o luce. Ma la direzione è tracciata. Il prossimo passo sarà integrare batterie miniaturizzate o sistemi di raccolta energetica (pensiamo a piccoli pannelli solari o celle a combustibile catalitiche). Quando questi robot acquatici diventeranno completamente autonomi, potranno operare per ore o giorni senza intervento umano.
Xu e il suo team, finanziati dalla National Science Foundation e dal programma 4-VA, continuano a perfezionare il metodo. Il sostegno istituzionale è importante: significa che qualcuno crede che questa tecnologia possa uscire dal laboratorio e arrivare nel mondo reale. E forse ci arriverà prima del previsto.
L’acqua non è più solo l’ambiente dove i robot nuotano. È diventata la superficie dove vengono costruiti, il supporto perfetto per una nuova generazione di macchine morbide. Se un insetto può camminare sull’acqua, perché non dovrebbe farlo anche un robot? La risposta di Xu è semplice: ora può.