Cosa hanno in comune una vecchia musicassetta e il futuro dell’archiviazione dati? Più di quanto si possa immaginare. I ricercatori della Southern University hanno sviluppato un dispositivo biologico che usa DNA sintetico per conservare informazioni. Un nastro biologico capace di memorizzare una mole mostruosa di dati: 375 petabyte teorici contro i 18 terabyte delle cassette LTO-9 attuali.
In sintesi: una cassetta che non suona musica, ma potrebbe salvare tutti i dati del mondo in uno spazio microscopico. Il formato è familiare, la tecnologia è anni avanti.
Un nastro che dura per secoli
Il team guidato da Xingyu Jiang della Southern University of Science and Technology di Shenzhen ha pubblicato su Science Advances un prototipo che lascia a bocca aperta. Un nastro in poliestere-nylon ricoperto di codici a barre microscopici che creano 545.000 partizioni per chilometro. Dentro ogni partizione, molecole di DNA sintetico custodiscono dati digitali tradotti nel linguaggio della vita: le quattro basi adenina, guanina, citosina e timina diventano i nuovi zero e uno dell’informatica.
La dimostrazione pratica è stata modesta ma significativa: 156,6 kilobyte sotto forma di quattro tessere di un puzzle raffigurante una lanterna cinese. Un po’ come se facessimo un test della prima automobile facendo solo un giro dell’isolato. Ma quel giro ha funzionato perfettamente.
La densità di archiviazione attuale è di 74,7 gigabyte per chilometro di nastro. Sembra poco? Il potenziale teorico raggiunge 362 petabyte per chilometro. Tradotto: una cassetta lunga quanto quelle LTO-9 attuali (1.035 metri) potrebbe contenere 375 petabyte di dati, l’equivalente di circa 80 milioni di DVD.

La velocità è il tallone d’Achille
Recuperare quei 156 kilobyte ha richiesto 150 minuti. Un’eternità per gli standard informatici, dove ci aspettiamo che i dati arrivino in millisecondi. I ricercatori stimano di poter ridurre il tempo a 47 minuti ottimizzando il processo, ma resta comunque una velocità che renderebbe nervoso anche il più paziente degli archivisti.
Il problema sta nella sintesi del DNA, che deve essere creato molecola per molecola in laboratorio. È un po’ come scrivere un libro intagliando ogni lettera nel legno: preciso, duraturo, ma decisamente lento. Il nastro deve essere immerso in soluzioni chimiche, trattato con enzimi e sigillato con uno strato protettivo cristallino che preserva le informazioni per secoli.
Quando il nastro incontra la biologia
La parte interessante, se vogliamo anche romantica del progetto sta nell’aver mantenuto la forma familiare della cassetta, aggiungendo però funzionalità che nessun walkman degli anni ’80 avrebbe potuto immaginare. Il sistema può riscrivere, cancellare e recuperare dati specifici grazie ai codici a barre che funzionano come un indice. Niente più ricerca lineare dall’inizio alla fine del nastro: ogni partizione ha il suo indirizzo preciso.
La protezione dei dati avviene attraverso un rivestimento di framework zeolitico imidazolato, un materiale che suona complicato ma fa una cosa semplice: mantiene il DNA al sicuro da calore, umidità e agenti chimici. I test di invecchiamento accelerato suggeriscono una durata di 345 anni a temperatura ambiente, molto più lunga in condizioni di refrigerazione.
Il confronto con gli standard attuali è impietoso sul fronte capacità: le cassette LTO-9 raggiungono 18 terabyte nativi, mentre il prototipo DNA promette 375 petabyte teorici. Sul fronte velocità, invece, vince ancora la tecnologia magnetica tradizionale con trasferimenti a 300 megabyte al secondo.
Il futuro è scritto (ancora) nel codice della vita
I data center consumano già fin troppa energia, e la domanda cresce con l’espansione dell’intelligenza artificiale. Il DNA storage potrebbe offrire una soluzione sostenibile: nessun consumo energetico per la conservazione, densità straordinaria e durata millenaria.
Microsoft ha già investito nella ricerca, comprando 10 milioni di basi di DNA sintetico da Twist Bioscience per i suoi esperimenti. L’azienda di Redmond ha dimostrato di poter conservare 200 megabyte in una porzione di DNA grande quanto una capocchia di spillo.
Il prototipo cinese è un passo avanti nella direzione di sistemi utilizzabili. Non siamo ancora al punto di sostituire gli hard disk del computer, ma per l’archiviazione a lungo termine di grandi quantità di dati la strada sembra tracciata.
Serviranno ancora anni di sviluppo per rendere la tecnologia economicamente competitiva e abbastanza veloce per usi pratici. Ma l’idea di conservare l’intero sapere umano in una cassetta biologiche non è più fantasia. È ingegneria.
Solo, per ora, un po’ più lenta del previsto.