Ferrara, gennaio 2025. Un esame di psicobiologia viene annullato per tutti perché qualcuno ha usato ChatGPT. I professori non riescono a identificare i colpevoli, gli studenti protestano, la media voti era troppo alta per essere vera.
Cronache alla mano, l’esame consisteva in domande a risposta multipla sulla piattaforma Google, svolto dagli studenti usando computer e tablet personali. Una media voti di 28 ha fatto scattare i sospetti.
Questa storia italiana racconta un fenomeno globale: l’intelligenza artificiale sta riscrivendo per sempre le regole della scuola. Perché, vedete, la vicenda dell’Università di Ferrara non è un caso isolato. È la punta di un iceberg che affonda le radici in un problema molto più ampio: il rapporto tra tecnologia e apprendimento è cambiato, e nessuno sa bene come gestirlo.
Studenti, docenti e AI: tutti i numeri del ribaltone
Il 65% degli studenti italiani tra 16 e 18 anni utilizza ChatGPT o altri strumenti di intelligenza artificiale generativa per studiare e fare i compiti. È quanto emerge da una recente indagine promossa da NoPlagio.it, startup italiana specializzata nell’identificazione di plagi e contenuti generati dall’IA. Un dato che fa riflettere, soprattutto se confrontato con quello americano: secondo il Pew Research Center, negli Stati Uniti solo il 26% degli studenti usa questi strumenti, anche se il numero è raddoppiato rispetto al 2023.
La crescita è vertiginosa anche guardando ai dati più recenti. Secondo l’edizione 2025 della ricerca “Dopo il diploma” condotta da Skuola.net su 2.500 alunni delle superiori, il 51% degli intervistati utilizza strumenti basati sull’IA generativa “molto spesso” o “spesso”, contro il 34% del 2024. Gli studenti “immacolati” che non hanno mai utilizzato questi strumenti si sono dimezzati: dal 25% al 16%.
L’esperienza americana: un insegnante contro l’IA
Casey Cuny insegna inglese da 23 anni alla Valencia High School in California, e quello che racconta fa venire i brividi: “Il cheating è fuori controllo. È il peggior momento che abbia mai visto in tutta la mia carriera”. La sua esperienza è emblematica di quello che sta succedendo ovunque: “Qualsiasi cosa mandi a casa, devi dare per scontato che passi per l’IA”.
Cuny ha dovuto ripensare completamente il suo modo di insegnare. Ora fa scrivere gli studenti solo in classe, monitora i loro schermi dal desktop usando software che permettono di “bloccare” i loro computer o limitare l’accesso a certi siti. Ma soprattutto ha capito una cosa: non si può più combattere la tecnologia, bisogna integrarla. “Cerco di far imparare i ragazzi con l’IA invece di farli imbrogliare con l’IA”, spiega. Ha ragione? Probabilmente si.
Quando copiare diventa invisibile
Il problema non è solo che gli studenti copiano. Il problema è che non si riesce più a capire dove finisce lo studio e inizia l’imbroglio. Lily Brown, studentessa di psicologia in un college della East Coast americana, racconta la sua esperienza:
“A volte mi sento in colpa usando ChatGPT per riassumere le letture, perché mi chiedo: questo è imbrogliare?”
La confusione è comprensibile. ChatGPT può aiutare a strutturare un saggio, spiegare concetti difficili, creare outline per i temi. Ma quand’è che l’aiuto diventa sostituzione? Molti studenti iniziano chiedendo supporto a ChatGPT e finiscono per farsi fare il compito intero.
Il paradosso della scuola moderna: mentre il 62% degli studenti usa l’IA principalmente per cercare informazioni utili alla preparazione di verifiche, solo 1 su 10 ha ricevuto una formazione adeguata dai propri docenti su come utilizzarla responsabilmente. E tra i docenti, quanti sanno davvero usare questo strumento?

Professori spiazzati, studenti scoperti
I docenti stanno provando diverse strategie per smascherare l’uso improprio dell’intelligenza artificiale. Francesco Amato, professore di geografia, ha escogitato un trucco ingegnoso: inserisce volutamente errori geografici nelle tracce delle verifiche. Se uno studente sottopone le domande a ChatGPT, il chatbot fornirà la risposta geograficamente corretta ma sbagliata secondo il testo della verifica, permettendo di individuare immediatamente chi ha utilizzato aiuti esterni.
Ma non tutti i professori sono così creativi. Kelly Gibson, insegnante in Oregon, racconta: “Una volta davo una traccia e dicevo: ‘Fra due settimane voglio un saggio di cinque paragrafi’. Oggi non posso più farlo. Sarebbe come chiedere esplicitamente agli studenti di imbrogliare”. La soluzione? Tutto in classe, con controllo diretto.
L’Italia tra sperimentazione e incertezza
Nel nostro Paese, il Ministero dell’Istruzione e del Merito ha avviato una fase sperimentale dell’uso dell’intelligenza artificiale che durerà due anni, coinvolgendo quindici scuole in Calabria, Lazio, Toscana e Lombardia. Al termine del biennio si confronteranno i risultati delle prove Invalsi degli studenti che hanno partecipato all’esperimento con quelli delle classi tradizionali.
Ma la realtà supera spesso la sperimentazione. Per questo, accettate l’apparente digressionen: come abbiamo raccontato in un precedente articolo, esiste già un protocollo dettagliato per gestire un contatto alieno, forse è il momento di applicare lo stesso approccio all’IA nelle scuole: accettare che il cambiamento è irreversibile e costruire nuove regole.
Studenti copioni: si, ma quindi alla fine come la mettiamo?
Rebekah Fitzsimmons della Carnegie Mellon University è stata chiara: “Una proibizione totale dell’IA non è una politica praticabile, a meno che gli insegnanti non cambino il modo in cui insegnano e valutano gli studenti”. Il futuro dell’educazione richiede un ripensamento totale: dai compiti a casa ai sistemi di valutazione, dalle competenze richieste al ruolo stesso dell’insegnante.
Emily DeJeu, che insegna comunicazione alla business school di Carnegie Mellon, ha eliminato completamente i compiti scritti a casa, sostituendoli con quiz in classe svolti su computer con “browser bloccato” che impedisce agli studenti di uscire dalla schermata del test. “Aspettarsi che un diciottenne eserciti grande autocontrollo è irragionevole”, osserva. “Per questo tocca agli insegnanti mettere dei paletti”.
La domanda che nessuno vuole fare
Se per superare un esame basta copiare da ChatGPT, forse il problema non sono gli studenti che copiano, ma gli esami che non servono a nulla. Come osserva il saggista Antonio Gurrado:
“Se per superare un esame basta scopiazzare da ChatGPT, allora probabilmente quell’esame non serve a nulla”.
La scuola è di fronte a una scelta: continuare a combattere una guerra già persa contro la tecnologia, oppure ripensare completamente cosa significhi imparare nell’era dell’intelligenza artificiale. I compiti a casa come li conoscevamo sono morti. Il libro di testo tradizionale è in via di estinzione. Deve essere necessariamente un male?
La vera sfida non è impedire agli studenti di usare l’IA. È insegnare loro a usarla bene. Perché il futuro appartiene a chi saprà collaborare con le macchine, non a chi riuscirà a evitarle. E la scuola, se vuole sopravvivere, dovrà imparare a stare al passo. O no?