Venticinque anni dopo Matrix, qualcuno ha finalmente fatto i conti. E i conti dicono che Morpheus si sbagliava: questa è la realtà “base”, non una realtà simulata all’interno di un’altra realtà. Il professor Mir Faizal e i suoi colleghi hanno pubblicato uno studio che usa la matematica pura per dimostrare l’impossibilità che viviamo in una simulazione.
Il loro approccio combina il teorema di Gödel con la fisica quantistica e arriva a una conclusione netta: l’universo opera secondo principi che nessun algoritmo può catturare. Le implicazioni? Enormi. Per qualcuno definitive.
Il teorema che chiude Matrix
Lo studio, pubblicato sul Journal of Holography Applications in Physics, parte da una domanda che ossessiona la cultura pop dal 1999: potremmo vivere in una simulazione computerizzata creata da una civiltà avanzata?
Nick Bostrom ci ha costruito una carriera accademica. Elon Musk ha addirittura sovvertito la tesi, dichiarando che le probabilità di vivere nella “realtà base” sono “una su miliardi”. Ma il team guidato da Faizal, che include Lawrence M. Krauss, Arshid Shabir e Francesco Marino, ha dimostrato che la questione non è probabilistica. È logica.
Il loro ragionamento si basa sul teorema di incompletezza di Gödel, che stabilisce che in qualsiasi sistema logico esistono verità che non possono essere dimostrate all’interno di quel sistema. Applicato alla fisica, questo significa che non tutti gli aspetti della realtà possono essere descritti attraverso la computazione.
“Abbiamo dimostrato che è impossibile descrivere tutti gli aspetti della realtà fisica usando una teoria computazionale della gravità quantistica”, spiega Faizal. In altre parole: ci sono cose che un computer, per quanto potente, semplicemente non può, e non potrà mai calcolare.
La fisica quantistica moderna suggerisce che spazio e tempo non sono fondamentali, ma emergono da qualcosa di più profondo: l’informazione pura. Questa informazione esiste in quello che i fisici chiamano “regno platonico”, una fondazione matematica più reale dell’universo fisico che sperimentiamo.
Anche questa base informazionale, comunque, non può essere completamente descritta attraverso algoritmi.
La comprensione non algoritmica
Il concetto chiave dello studio è la “comprensione non algoritmica”. Un computer segue ricette, per quanto complesse. Ma alcune verità possono essere comprese solo attraverso una forma di conoscenza che non deriva da una sequenza di passaggi logici. È tipo un collega che risolve problemi per intuizione piuttosto che per procedura: funziona, ma non puoi programmarlo.
“Le leggi fondamentali della fisica non possono essere contenute nello spazio e nel tempo, perché sono esse stesse a generarli”, sottolinea Krauss. “Una descrizione completa e coerente della realtà richiede qualcosa di più profondo: una forma di comprensione nota come comprensione non algoritmica”.
Tradotto: nessuna simulazione può replicare l’universo perché l’universo stesso opera secondo principi che vanno oltre il calcolo.
E se il regno platonico fosse simulato?
C’è un’obiezione apparentemente logica: se le regole del “regno platonico” potrebbero assomigliare a quelle di una simulazione computerizzata, non potrebbe essere simulato anche quel regno stesso? I ricercatori sono netti: no. “Una descrizione completamente coerente e completa della realtà non può essere raggiunta solo attraverso la computazione”, spiega Faizal. “Richiede una comprensione non algoritmica che per definizione va oltre il calcolo algoritmico e quindi non può essere simulata”.
Qualsiasi simulazione è intrinsecamente algoritmica: deve seguire regole programmate. Ma poiché il livello fondamentale della realtà si basa su una comprensione non algoritmica, l’universo non può essere e non potrà mai essere una simulazione. Fine della storia. O meglio: inizio della storia vera. Vi convince?
Niente realtà simulata: cosa significa per noi
Lo studio di Faizal e colleghi sposta la questione dalla speculazione filosofica alla scienza verificabile. Non è più “crediamo di vivere in una simulazione?” ma “è matematicamente possibile?” E la risposta è no.
Questo non rende l’universo meno misterioso. Anzi. Se la realtà richiede una forma di comprensione che va oltre qualsiasi algoritmo, significa che c’è qualcosa di fondamentale nella natura dell’esistenza che sfugge alla computazione.
La ricerca pubblicata sul Journal of Holography Applications in Physics rappresenta un importante risultato scientifico: quello che era considerato un’ipotesi filosofica, relegata alla fantascienza, viene portato nel dominio della matematica e della fisica, con una risposta chiara e definitiva.
Per chi sperava in un reset del sistema o in un modo per uscire dalla simulazione, la notizia potrebbe deludere. Ma c’è un lato positivo: ogni esperienza, ogni scelta, ogni relazione è autentica. Non c’è codice da hackerare, nessun programmatore da convincere. Solo la realtà, con tutte le sue imperfezioni e possibilità.
Matrix resta un capolavoro cinematografico. Ma quella pillola rossa che Neo ingoiava per svegliarsi a quanto pare non ci serve. Siamo già svegli.
E sempre lo siamo stati. Giusto?