Il regno di Urartu controllava il Caucaso meridionale 2.500 anni fa. La sua capitale, Tushpa, sorgeva vicino al lago di Van. Le sue fortezze punteggiavano le montagne delle attuali Armenia, Turchia e Iran. Poi crollò. Gli Sciti invasero. I Medi conquistarono. E le sue città divennero rovine silenziose.
Ora, gli scavi nella fortezza di Argishtikhinili stanno riportando alla luce frammenti di quella civiltà. Case, ceramiche, strumenti. E un idolo di pietra che nessuno sa più chi rappresenti. Alto mezzo metro, scolpito nella roccia vulcanica, con un volto dai tratti marcati: naso allungato, occhi ravvicinati, labbra sottili. Era un dio? Un antenato? La risposta potrebbe trovarsi nella cassa di pietra accanto a lui, che verrà presto analizzata per trovare tracce di offerte rituali.
Armenia, il volto emerso dalla polvere
Gli archeologi del team polacco-armeno guidato da Mateusz Iskra dell’Università di Varsavia stavano lavorando nella seconda stagione di scavi sulla collina di Surb Davti Blur. La fortezza di Argishtikhinili, fondata dal re Argishti I nell’VIII secolo a.C., occupava una posizione strategica sulla piana di Ararat. Le case terrazzate emergevano una dopo l’altra: pavimenti in pietra, magazzini con grandi giare conficcate nel terreno. Poi, in una di queste stanze, qualcosa di diverso. L’idolo era appoggiato contro una cassa di pietra, nella stessa posizione in cui era stato lasciato 2.500 anni prima. Il tufo vulcanico di cui è fatto si trova in abbondanza nella regione.
I tratti del volto sono stilizzati ma precisi: sopracciglia definite, occhi molto ravvicinati, un naso lungo e diritto, labbra sottili. È come un guardiano immobile che ha attraversato i millenni senza muoversi di un millimetro.

Un dio locale o un antenato venerato?
Idoli simili sono stati trovati in altri siti armeni. L’interpretazione più comune li collega a culti locali, forse dedicati agli antenati o a divinità della fertilità. Ma identificare con precisione questa figura è un’altra storia.
Il regno di Urartu aveva un pantheon complesso. La divinità suprema era Haldi, dio della guerra spesso raffigurato in piedi su un leone. Poi c’era Teisheba, dio delle tempeste e dei tuoni, derivato dall’hurrita Teshub. E Shivini, dio del sole, rappresentato con un disco solare alato che ricorda molto da vicino il Ra egiziano. Oltre a questi, esistevano divinità locali legate a specifici insediamenti, chiamate semplicemente “il dio della città di…”.
Una lista di ben 79 divinità urartee è stata trovata incisa in una nicchia montana vicino alla capitale Tushpa. Accanto ai nomi, le istruzioni sui sacrifici da compiere per ciascun dio. Se le analisi chimiche della cassa di pietra rivelassero residui compatibili con quei sacrifici, potremmo finalmente dare un nome all’idolo.
La necropoli che riscrive la storia dell’Armenia
L’idolo non è stata l’unica scoperta della stagione. Il team ha portato alla luce una vasta necropoli ai margini dell’insediamento. Decine di urne cinerarie, molte in stato eccezionale di conservazione. Le ceneri dei defunti erano depositate con cura nei recipienti ceramici, spesso accompagnate da piccoli corredi funerari. La bioarcheologa Hasmik Simonyan dell’Accademia Nazionale delle Scienze d’Armenia ha definito la scoperta “un traguardo per l’archeologia nazionale”.
Si tratta probabilmente del campo di urne più esteso e meglio conservato mai trovato in Armenia. Le urne appartenevano a adulti e bambini, segno di un sistema funerario codificato e sviluppato. Alcune contenevano oggetti personali, altre solo le ceneri. La varietà offre uno spaccato delle gerarchie sociali e delle credenze sull’aldilà in una comunità che viveva nel periodo di transizione dopo il declino del potere centrale urarteo.

Cosa ci dice questo dio senza nome
La fortezza di Argishtikhinili non era solo un baluardo militare. Era un centro abitato dove le famiglie vivevano in case di 400 metri quadrati, con stanze di stoccaggio e sistemi di drenaggio avanzati.
La presenza dell’idolo in una di queste case suggerisce che la religione permeava la vita quotidiana degli Urartei. Non c’erano templi domestici separati. Gli dèi abitavano le stesse stanze in cui si conservava il grano. Come spiega Iskra: “Ogni casa racconta la storia di come gli esseri umani affrontano la fine del loro mondo e continuano a vivere”.
Il regno di Urartu crollò nel VI secolo a.C., ma le comunità locali mantennero le loro tradizioni spirituali. L’idolo ne è testimone. Stava lì, nella stanza, a guardare. Forse proteggeva il raccolto, forse garantiva la fertilità. Forse semplicemente ricordava chi era venuto prima. Come altre scoperte archeologiche recenti, questo ritrovamento ci ricorda che le civiltà antiche avevano vite spirituali più complesse di quanto immaginiamo.
Le analisi chimiche della cassa di pietra inizieranno presto. Potrebbero rivelare residui di vino, oli, piante allucinogene o altri materiali usati nei rituali. Se i risultati corrispondono ai sacrifici prescritti per una specifica divinità nella lista di Tushpa, avremo finalmente un nome per quel volto.
Fino ad allora, l’idolo resta quello che è sempre stato: un guardiano silenzioso di segreti che nessuno ricorda più.