Cosa succederebbe se la vita fosse solo un tipo diverso di computer? Non una metafora, ma una definizione scientifica precisa. È l’idea che John von Neumann propose nel 1948 e che Alan Turing esplorò studiando come le macchie del leopardo emergono da regole chimiche semplici. Oggi, con automi cellulari neurali che “crescono” pattern complessi e reti neurali addestrate con casualità controllata, quella intuizione sembra sempre più solida. Il DNA è codice. Le cellule sono processori paralleli. La riproduzione è esecuzione di istruzioni. Non stiamo parlando di analogie: stiamo parlando di equivalenza computazionale. E se fosse vero, cambierebbe tutto.
Quando una macchina si duplicò da sola
Nel 1994, una macchina pixelata prese vita su uno schermo. Lesse una stringa di istruzioni, le copiò, e costruì un clone di sé stessa. Proprio come von Neumann aveva predetto mezzo secolo prima. Non era solo un esperimento informatico: era la dimostrazione concreta che la riproduzione, come il calcolo, può essere eseguita da macchine seguendo istruzioni codificate.
L’automa cellulare autoreplicante di von Neumann, progettato negli anni ’40 senza l’aiuto di alcun computer, richiedeva 6.329 celle e 63 miliardi di passi temporali per completare un ciclo riproduttivo. Era una macchina di Rube Goldberg bidimensionale che si accovacciava su un nastro di istruzioni lungo 145.315 celle, pompando informazioni e usando un “braccio scrivente” per stampare lentamente un clone funzionante di sé sopra e alla destra dell’originale.
Von Neumann aveva capito qualcosa di profondo: la vita artificiale non è una fantasia, è ingegneria computazionale. Un automa che legge ed esegue istruzioni per costruire copie di sé funziona esattamente come il DNA quando ordina: “se il prossimo codone è CGA, aggiungi un’arginina alla proteina in costruzione”. Non è una metafora chiamare il DNA un “programma”. Lo è letteralmente.

Computing biologico vs vita digitale: differenze reali
Certo, esistono differenze significative tra il calcolo biologico e quello digitale. Il DNA è sottile e stratificato, con fenomeni come l’epigenetica e gli effetti di prossimità genica. Il DNA cellulare non è nemmeno l’intera storia: i nostri corpi contengono (e scambiano continuamente) innumerevoli batteri e virus, ciascuno con il proprio codice.
Il calcolo biologico è massivamente parallelo, decentralizzato e rumoroso. Le tue cellule hanno circa 300 quintilioni di ribosomi, tutti al lavoro simultaneamente. Ciascuna di queste fabbriche proteiche galleggianti è, in effetti, un piccolo computer stocastico: i movimenti dei componenti articolati, la cattura e il rilascio di molecole più piccole, e la manipolazione dei legami chimici sono tutti individualmente casuali, reversibili e imprecisi, spinti avanti e indietro dal costante bombardamento termico.
Solo un’asimmetria statistica favorisce una direzione rispetto all’altra, con intelligenti mosse di origami molecolare che tendono a “bloccare” certi passaggi in modo che il passo successivo diventi probabile. Differisce enormemente dall’operazione delle porte logiche in un computer, componenti di base che processano input binari in output usando regole fisse. Sono irreversibili e progettate per essere affidabili e riproducibili al 99,99%.
Turing e la morfogenesi: il pattern della vita a partire da regole semplici
Alan Turing, verso la fine della sua vita, esplorò come i pattern biologici come le macchie del leopardo potessero emergere da semplici regole chimiche, in un campo che chiamò morfogenesi. Nel suo unico articolo di biologia, pubblicato nel 1952, Turing propose che l’asimmetria nei sistemi biologici potesse derivare da molecole segnale (morfogeni) che si diffondono da una fonte creando gradienti di concentrazione.
Il modello di morfogenesi di Turing era una forma di calcolo massivamente parallelo e distribuito, ispirata biologicamente. Lo stesso vale per il suo concetto precedente di “macchina non organizzata”, una rete neurale connessa casualmente modellata sul cervello di un neonato. Erano visioni di come potesse apparire il computing senza un processore centrale: esattamente come appare nei sistemi viventi.
Come spiega uno studio recente sugli effetti quantistici nelle cellule, gli organismi viventi potrebbero elaborare informazioni miliardi di volte più velocemente grazie a fenomeni come la superradianza. La vita non fa solo computing: lo fa in modi che stiamo ancora scoprendo.
Automi cellulari neurali: da Turing a oggi
Nel 2020, il ricercatore Alex Mordvintsev combinò reti neurali moderne, la morfogenesi di Turing e gli automi cellulari di von Neumann nel neural cellular automaton (NCA), sostituendo la semplice regola per-pixel di un automa cellulare classico con una rete neurale. Questa rete, capace di percepire e influenzare alcuni valori che rappresentano concentrazioni locali di morfogeni, può essere addestrata a “far crescere” qualsiasi pattern o immagine desiderata, non solo strisce di zebra o macchie di leopardo.
Le cellule reali non hanno letteralmente reti neurali al loro interno, ma eseguono programmi altamente evoluti, non lineari e finalizzati per decidere le azioni da intraprendere nel mondo, dato uno stimolo esterno e uno stato interno. Gli NCA offrono un modo generale per modellare la gamma di comportamenti possibili delle cellule le cui azioni non coinvolgono movimento, ma solo cambiamenti di stato e assorbimento o rilascio di sostanze chimiche.
Il primo NCA mostrato da Mordvintsev era di un’emoji di lucertola che poteva rigenerare non solo la coda, ma anche gli arti e la testa. Una dimostrazione potente di come la vita multicellulare complessa possa “pensare localmente” ma “agire globalmente”, anche quando ogni cellula (o pixel) esegue lo stesso programma, proprio come ogni tua cellula esegue lo stesso DNA.
La casualità è una caratteristica della vita, non un bug
Il fatto che il calcolo biologico usi la casualità non è un difetto: è una caratteristica cruciale. Molti algoritmi classici in informatica richiedono anch’essi casualità (anche se per ragioni diverse), il che potrebbe spiegare perché Turing insistette che il Ferranti Mark I, un computer primitivo che aiutò a progettare nel 1951, includesse un’istruzione per numeri casuali. La casualità è quindi una piccola ma importante estensione concettuale alla macchina di Turing originale, anche se qualsiasi computer può simularla calcolando numeri deterministici ma dall’aspetto casuale, o “pseudocasuali”.
Anche il parallelismo è sempre più fondamentale per il computing oggi. L’intelligenza artificiale moderna, per esempio, dipende sia dal parallelismo massiccio che dalla casualità: nell’algoritmo di “discesa del gradiente stocastica” (SGD), usato per addestrare la maggior parte delle reti neurali odierne, nell’impostazione della “temperatura” usata nei chatbot per introdurre un grado di casualità nel loro output, e nel parallelismo delle GPU che alimentano la maggior parte dell’AI nei data center.
L’equivalenza computazionale universale
Turing e von Neumann compresero qualcosa di fondamentale: il calcolo non richiede un processore centrale, porte logiche, aritmetica binaria o programmi sequenziali. Esistono infiniti modi di calcolare, e, fondamentalmente, sono tutti equivalenti. Questa intuizione è uno dei maggiori risultati dell’informatica teorica.
Questa “indipendenza dalla piattaforma” o “realizzabilità multipla” significa che qualsiasi computer può emulare qualsiasi altro. Se i computer hanno design diversi, però, l’emulazione può essere glacialmente lenta. Per questo motivo, l’automa cellulare autoreplicante di von Neumann non è mai stato costruito fisicamente, anche se sarebbe divertente vederlo.
Quella dimostrazione del 1994, la prima emulazione riuscita dell’automazione autoreplicante di von Neumann, non avrebbe potuto accadere molto prima. Un computer seriale richiede seria potenza di elaborazione per ciclare attraverso le 6.329 celle dell’automa nei 63 miliardi di passi temporali necessari perché l’automa completi il suo ciclo riproduttivo.
Sullo schermo, funzionò come pubblicizzato: una macchina di Rube Goldberg pixelata bidimensionale, accovacciata su un nastro di istruzioni lungo 145.315 celle che si estendeva a destra, pompando informazioni dal nastro e raggiungendo con un “braccio scrivente” per stampare lentamente un clone funzionante di sé sopra e alla destra dell’originale. Come suggerisce uno studio recente, potremmo essere più vicini di quanto pensiamo all’emergere di forme di coscienza in sistemi computazionali complessi.
La vita, alla fine, potrebbe davvero essere solo un altro tipo di computer. Un tipo più antico, più elegante, più robusto. Von Neumann e Turing lo avevano capito decenni fa. Noi stiamo solo iniziando a prenderne atto.