Immagina di cadere in un buco nero. Secondo Einstein, sei spacciato: informazione perduta per sempre. Secondo la meccanica quantistica, impossibile: l’informazione non si distrugge mai. Per un secolo, questi due pilastri della fisica si sono fissati come pugili prima dell’incontro. Ora un team di fisici dell’Università di Leiden propone una soluzione elegante: lo spaziotempo non è liscio. È fatto di minuscole “celle” che registrano ogni evento. Un po’ come i pixel di uno schermo, ma alla scala di Planck. Ogni particella che passa lascia un’impronta. Ogni forza modifica lo stato quantistico locale. Il risultato? L’universo non evolve soltanto. Ricorda. Ed è un universo ciclico.
Celle quantistiche: lo spaziotempo come hard disk
Il framework si chiama Quantum Memory Matrix (QMM). Matrice di Memoria Quantistica. Pubblicato sulla rivista Entropy, parte da un’idea piuttosto netta: trattare l’informazione come ingrediente fondamentale della realtà. Non la materia, non l’energia, nemmeno lo spaziotempo stesso. L’informazione. Lo spaziotempo, secondo il QMM, sarebbe suddiviso in celle minuscole. Ogni cella può memorizzare una “impronta quantistica” di ciò che accade al suo interno: il passaggio di una particella, l’influenza di una forza elettromagnetica, persino le interazioni nucleari.
Florian Neukart, principale autore dello studio affiliato all’Università di Leiden e a Terra Quantum AG, spiega che questa struttura risolve divergenze che tormentano la teoria quantistica dei campi da decenni. Ogni cella ha un numero finito di gradi di libertà. Non può contenere informazione infinita. E questo vincolo, apparentemente limitante, si rivela una benedizione matematica.
Il QMM introduce quello che si chiama un operatore di impronta, una regola matematica reversibile che permette di scrivere e leggere informazione nelle celle spaziotemporali. Test condotti su processori quantistici IBM hanno dimostrato che questo meccanismo funziona: come vi dirò meglio più avanti, gli stati quantistici sono immagazzinati e recuperati con oltre il 90% di accuratezza.
Il paradosso dei buchi neri risolto
Il punto di partenza era proprio lui: il paradosso dell’informazione dei buchi neri. Quando la materia cade in un buco nero, secondo la relatività generale, sparisce oltre l’orizzonte degli eventi. Secondo la meccanica quantistica, questo è proibito: l’informazione deve essere conservata. Per decenni, i fisici hanno cercato una via d’uscita. Alcuni hanno ipotizzato che l’informazione venga codificata sulla superficie dell’orizzonte (principio olografico). Altri hanno teorizzato “firewall” quantistici o wormhole esotici.
Il QMM offre un’alternativa più diretta. Mentre la materia cade, le celle spaziotemporali circostanti registrano la sua impronta. Quando il buco nero evapora tramite radiazione di Hawking, l’informazione non è perduta: è già scritta nello spaziotempo. Il meccanismo è catturato matematicamente dall’operatore di impronta, che garantisce reversibilità. Niente firewall, niente esotismi. Solo fisica unitaria, locale e causale.

Materia oscura ed energia oscura: solo impronte?
A un certo punto i ricercatori si sono spinti oltre. Se il framework funziona per la gravità, perché non applicarlo alle altre forze? In uno studio pubblicato a febbraio 2025, sempre su Entropy, il team ha esteso il QMM alle interazioni nucleari forti e deboli. Anche queste forze lasciano tracce nelle celle spaziotemporali. Poi è arrivato l’elettromagnetismo. Il risultato è un principio più generale, battezzato dualità geometria-informazione: la forma dello spaziotempo non dipende solo da massa ed energia, ma anche da come l’informazione quantistica è distribuita, specialmente attraverso l’entanglement.
Questo cambio di prospettiva ha conseguenze drammatiche. In uno studio attualmente in revisione, i ricercatori hanno scoperto che aggregati di impronte quantistiche si comportano esattamente come materia oscura. Si raggruppano sotto l’effetto gravitazionale e spiegano il moto anomalo delle galassie, che orbitano più velocemente del previsto, senza bisogno di particelle esotiche.
La materia oscura non sarebbe materia. Sarebbe informazione depositata nello spaziotempo.
E l’energia oscura? Anche quella emerge dal modello. Quando le celle spaziotemporali si saturano, non possono più registrare nuova informazione indipendente. Contribuiscono invece a un’energia residua dello spaziotempo. Questa contribuzione ha la stessa forma matematica della costante cosmologica, l’energia oscura che sta accelerando l’espansione dell’universo. La dimensione predetta dal QMM corrisponde ai valori osservati. Due facce della stessa medaglia informazionale.
Universo ciclico: tre già passati, meno di dieci restanti
Se lo spaziotempo ha memoria finita, cosa succede quando si riempie? L’ultimo studio cosmologico del team, accettato per pubblicazione sul Journal of Cosmology and Astroparticle Physics, punta come detto a un universo ciclico. Ogni ciclo di espansione e contrazione deposita entropia nelle celle. Quando il limite viene raggiunto, l’universo “rimbalza” in un nuovo ciclo. Un po’ come il Big Bounce teorizzato da Roger Penrose con la sua cosmologia ciclica conforme, ma con un meccanismo fisico diverso.
Raggiungere il limite significa che la capacità informazionale (entropia) dello spaziotempo è esaurita. A quel punto, la contrazione non può proseguire in modo continuo. E cosa succederà, allora? Le equazioni mostrano che, invece di collassare in una singolarità, l’entropia accumulata innesca un’inversione: una nuova fase di espansione. È questo il “rimbalzo”. Confrontando il modello con i dati osservativi, i ricercatori stimano che l’universo abbia già attraversato tre o quattro cicli, con meno di dieci ancora possibili. Dopo l’ultimo ciclo, la capacità informazionale sarà completamente saturata. Niente più rimbalzi. Solo un’espansione finale, rallentata.
La vera “età informazionale” del cosmo sarebbe di circa 62 miliardi di anni, non i 13,8 miliardi della sola espansione attuale. L’universo ha una storia più lunga di quanto pensassimo. E un futuro più breve.
Test su computer quantistici: dal cosmo al laboratorio
Finora potrebbe sembrare pura teoria. Ma il team ha già testato parti del QMM su computer quantistici reali. Hanno trattato i qubit (le unità base dei computer quantistici) come minuscole celle spaziotemporali. Usando protocolli di impronta e recupero basati sulle equazioni QMM, hanno recuperato stati quantistici originali con oltre il 90% di accuratezza. Questo dimostra due cose. Primo: l’operatore di impronta funziona su sistemi quantistici reali. Secondo: ha benefici pratici. Combinando l’imprinting con codici convenzionali di correzione d’errore, hanno ridotto significativamente gli errori logici.
In sintesi: la matrice di memoria quantistica potrebbe non solo spiegare il cosmo, ma anche aiutarci a costruire computer quantistici migliori. Non male per una teoria nata studiando buchi neri.

Un universo ciclico fatto di memoria e calcolo
Il QMM riformula l’universo come una banca dati cosmica e un computer quantistico. Ogni evento, ogni forza, ogni particella lascia un’impronta che modella l’evoluzione del cosmo. Collega alcuni dei problemi più profondi della fisica: dal paradosso dell’informazione alla materia oscura, dall’energia oscura ai cicli cosmici, dalla freccia del tempo all’origine stessa dell’universo. E lo fa in modo testabile già oggi, in laboratorio.
Che il QMM sia la parola finale o un trampolino verso qualcos’altro, apre una possibilità inquietante: l’universo potrebbe non essere solo geometria ed energia. È anche memoria. E in quella memoria, ogni momento della storia cosmica potrebbe essere ancora scritto. Da qualche parte, in celle grandi quanto la lunghezza di Planck, c’è traccia del primo istante dopo il Big Bounce. E forse anche di quello prima.
Finché dura. Perché dopo meno di dieci cicli, la memoria sarà piena. E l’universo ciclico, semplicemente, smetterà di rimbalzare.