In un grattacielo di Manila, 60 ragazzi fissano schermi che mostrano scaffali dall’altra parte del Pacifico. Non stanno guardando: stanno lavorando. Monitorano robot che riempiono frigoriferi nei negozi FamilyMart e Lawson di Tokyo. Lì dentro, il lavoro fisico è affidato a dei robot, e ogni tanto uno di loro sbaglia: un pacco cade, un lattina rotola via. Allora uno di loro indossa un visore VR, afferra i joystick, e per qualche minuto diventa il robot. Muove le sue mani metalliche a 3.000 chilometri di distanza. Recupera la lattina. Torna alla postazione.
Il Giappone ha pochi lavoratori. Le Filippine ne hanno troppi, e costano poco. I robot sono il ponte. O forse la trappola. È così che il lavoro fisico diventa remoto, trasformando scaffali giapponesi in un’estensione delle mani filippine. Per quanto tempo ancora?
Quando il lavoro fisico attraversa gli oceani
La startup di Tokyo Telexistence ha trovato un modo elegante per aggirare la carenza di manodopera giapponese: mettere i robot nei negozi, gli operatori nelle Filippine, e collegare tutto via satellite. Dal 2022, oltre 300 convenience store FamilyMart e Lawson nella capitale nipponica usano questi bracci meccanici per riempire scaffali. Presto arriveranno anche nei 7-Eleven. I robot funzionano su piattaforme Nvidia e Microsoft, e si muovono autonomamente il 96% del tempo. Il resto? Serve un umano.
È qui che entrano in scena i sessanta ragazzi di Astro Robotics, l’azienda che gestisce il lavoro fisico a distanza. Ognuno di loro controlla circa 50 robot contemporaneamente. Stipendio: tra 250 e 315 dollari al mese, più o meno quanto un operatore di call center. Forse meno. Ma il lavoro è diverso. Non parli con persone. Sei il backup di una macchina.
Come spiega Juan Paolo Villonco, fondatore di Astro Robotics, trovare lavoratori disposti a riempire scaffali in Giappone è complicato. Se ci riesci, costa troppo. Il salario minimo è alto. Nelle Filippine, invece, è facile trovare giovani laureati in informatica, tecnologicamente preparati, che accettano turni da otto ore per una frazione del costo.

Come funziona il lavoro fisico remoto
I robot usano un modello di intelligenza artificiale per calcolare distanze, angoli, posizioni. Afferrano lattine, bottiglie, confezioni. Le mettono sullo scaffale. Di solito funziona. Quando il bot sbaglia (capita circa il 4% delle volte), l’operatore indossa il visore e prende il controllo manuale.
Il problema più difficile della robotica? Replicare la presa umana. La frizione. La sensazione del metallo nella mano. Far sì che un robot riprenda una lattina caduta è più complicato di quanto sembri. Per questo servono ancora gli umani. Per ora.
In un turno di otto ore, un operatore prende il controllo del robot circa 50 volte. Ogni intervento dura fino a cinque minuti. Totale: oltre quattro ore al giorno dentro un visore VR.
Gli effetti? Studi scientifici sulla cybersickness documentano nausea, vertigini, affaticamento visivo, disorientamento. Sintomi che possono persistere fino a 12 ore dopo la rimozione del visore.
Come spiega Rowel Atienza, professore di machine learning all’Università delle Filippine, “può essere davvero duro. Immagina di teletrasportarti, la disconnessione improvvisa dall’ambiente circostante, l’elevazione: tutto può causare problemi”. I tele-operatori lo confermano: spesso si sentono storditi, con la vista offuscata. È il prezzo del lavoro fisico fatto da seduti.
Il boom dei robot tele-operati
Le Filippine stanno vivendo un’ondata di assunzioni legate ad automazione e intelligenza artificiale. Mentre nei paesi ricchi si licenziano tecnici specializzati, nelle Filippine le aziende internazionali assumono. Operatori di robot industriali, piloti di veicoli autonomi, costruttori di “agenti AI”, programmi che permettono azioni autonome.
Jose Mari Lanuza, direttore del Sigla Research Center di Manila, lo dice chiaramente: “Le aziende IT sono in una corsa al ribasso alla ricerca di manodopera economica”. Questi ruoli richiedono più competenze tecniche della semplice moderazione di contenuti o addestramento di modelli linguistici. Ma i lavoratori filippini vengono comunque pagati meno dei loro colleghi nei paesi sviluppati. E spesso senza contratti stabili, senza assistenza sanitaria, senza pensione.
Lionel Robert, professore di robotica all’Università del Michigan, definisce questa situazione “un doppio colpo economico”. Prima si pensava che l’automazione riducesse i posti di lavoro localmente ma aumentasse la domanda di lavoratori qualificati con salari più alti. Invece, delocalizzando quei lavori, si ottiene il peggio di entrambi i mondi. Per gli Stati Uniti e l’Europa, meno lavoro. Per le Filippine, lavoro precario e sottopagato.
Addestrare il proprio sostituto
Ecco il paradosso. Ogni movimento degli operatori filippini serve ad addestrare l’intelligenza artificiale. I dati raccolti da Telexistence negli ultimi anni (movimenti, prese, correzioni) vengono ora forniti alla startup californiana Physical Intelligence. L’obiettivo? Sviluppare robot completamente autonomi con “intelligenza fisica”, capaci di afferrare e manipolare oggetti senza bisogno di supervisione umana.
Un comunicato stampa di giugno 2024 è esplicito: “La partnership mira a spostare queste operazioni di teleoperazione manuale verso operazioni completamente autonome”.
Gli operatori lo sanno. Come dice uno di loro: “Ogni volta che vengo chiamato in riunione, ho paura che mi dicano che non servo più”. Hanno ragione ad avere paura? Forse. L’arrivo dei robot umanoidi completamente autonomi potrebbe essere questione di anni, non decenni.
Secondo qualcuno, invece, l’automazione completa potrebbe non arrivare mai. Il futuro potrebbe essere fatto di forza lavoro ibrida: robot, AI, automazione e umani insieme. La domanda è: in che ruolo rimarranno gli umani? Come supervisori o come supplenti temporanei di macchine eternamente “poco meno che perfette”?
Il costo umano del lavoro fisico offshore
Il World Economic Forum ha intervistato mille datori di lavoro globali quest’anno. Il 41% prevede tagli occupazionali perché le competenze dei lavoratori diventeranno obsolete. La quota di lavori svolti esclusivamente da umani è destinata a calare rapidamente, sostituita da lavori fatti insieme alle macchine o esclusivamente dalle macchine.
Nelle Filippine, questo futuro è già presente. Marc Escobar, chief technology officer della startup filippina Sofi AI, ha ricevuto un’offerta da Anthropic (la società dietro Claude) per lavorare come ingegnere AI. Stipendio: 1.500 dollari al mese, altissimo per un neolaureato di 22 anni. Ha rifiutato. Sofi AI paga la metà, ma è filippina.
“Non posso farlo perché voglio vedere i nostri sforzi locali, la nostra azienda, avere successo. Voglio dimostrare che anche noi possiamo crescere con l’AI nelle Filippine”.
Altri non fanno questa scelta. Lavorano per aziende straniere perché pagano meglio di quelle locali. Xian Guevarra, segretario generale della Computer Professionals Union, che rappresenta ingegneri informatici filippini, è categorico:
“I filippini vengono usati per massimizzare i profitti delle aziende internazionali. Stanno costruendo gli strumenti che potrebbero essere usati per sostituirli più avanti. La tecnologia dovrebbe aumentare il loro lavoro ed efficienza, non essere qualcosa per massimizzare profitti all’estero”.
Il lavoro fisico senza corpo
Robert solleva un punto inquietante: perdere il lavoro a causa dell’automazione è una cosa. Diventare il guardiano della macchina che fa il tuo lavoro è un’altra. “Sei tipo il sostituto del robot”, dice. Non è solo una questione di salario. È una questione di dignità.
I tele-operatori di Astro Robotics affrontano una pressione immensa. Quando un robot si ferma, devono riportarlo online immediatamente. Nel frattempo, sperano che nessun altro robot si blocchi contemporaneamente. È un lavoro fisico che non coinvolge muscoli, ma nervi e riflessi. E la certezza di essere sostituibili.
Il Giappone risolve il suo problema demografico e le aziende riducono i costi. Le Filippine creano occupazione, anche se precaria. I robot imparano. Tutti vincono, apparentemente. Tranne forse chi, indossando un visore VR in un ufficio di Manila, muove braccia metalliche a Tokyo sapendo che ogni suo gesto serve a rendere quelle braccia più intelligenti.
Finché un giorno quelle braccia non avranno più bisogno di lui.