Immagina Raffaello nel suo studio romano, 1518: luce da una finestra alta illumina la tela, lui mescola pigmenti con un allievo curvo accanto. Il pennello passa di mano, un volto abbozzato in fretta. Quattro secoli dopo, un server in Inghilterra ronza: quel volto non quadra. Non è infamia: è solo la matematica che incontra storia.
Il ronzio del server
Lo schermo nel laboratorio di Bradford si accende piano, linee di codice che scorrono come vene sotto la pelle di un corpo digitale. L’algoritmo, un ResNet50 modificato, ingoia dozzine di immagini: la Scuola di Atene, la Fornarina, ogni pennellata scomposta in strati di colore e ombra. Poi arriva la Madonna della Rosa, tela del Prado, 1518-1520. I volti si allineano: Maria serena, il Bambino che tende la mano, San Giovanni con lo sguardo perso. Tutto fila, curve fluide, rossi che sfumano nel carnato come un respiro trattenuto.
Ma il quarto volto… San Giuseppe, in alto a sinistra, inclinato verso il basso, barba rada e occhi che sembrano distratti. L’algoritmo rallenta lì, processa: transizioni troppo nette, ombreggiature che non si fondono. Non è un errore di scansione. È una crepa.

Lo studio, guidato da Hassan Ugail dell’Università di Bradford, ha addestrato il modello su opere autenticate di Raffaello: accuratezza del 98 per cento, un numero che suona preciso, quasi troppo per l’arte. Hanno usato una Support Vector Machine per classificare, pixel per pixel, brushstroke e palette. Risultato: il quadro intero oscilla, ma quel volto no. Non è suo. Heritage Science, dicembre 2023, lo mette nero su bianco.
La crepa nel Rinascimento
Il dibattito non è nuovo. Dal 1800, esperti borbottano sul Madonna della Rosa: tela arrivata al Prado nel 1813, attribuita a Raffaello ma con un’ombra di dubbio. San Giuseppe, sempre lui, sembrava meno rifinito, un abbozzo che strideva con il resto. Critici come Giovanni Morelli, a fine Ottocento, notavano dettagli anatomici stonati: dita troppo rigide, proporzioni che vacillano. Ma era intuito, confronti ad occhio nudo, discussioni da caffè romani.
Ora la crepa si allarga. L’algoritmo non esita: pennellate diverse, forse di Giulio Romano, allievo di Raffaello morto giovane, 1530, con uno stile più secco, meno lirico. O un altro, ignoto. Il quadro, valutato milioni, perde un pezzo di aura? Non esattamente. Ma la storia si incrina, come una tela che assorbe umidità.
Ugail lo dice chiaro, in interviste del 2023: il computer vede al microscopio, oltre l’occhio umano. Eppure, non sostituisce. Serve per il provenance, i pigmenti, lo stato della tela. Un tool, non un giudice. E se il volto fosse davvero di Romano? Un po’ come un cuoco che passa il mestolo all’aiutante: il piatto esce lo stesso, ma il sapore ha una nota diversa.
Gli uomini dietro la macchina
Il team anglo-americano ha iniziato nel 2022, con grant dal British Academy. Ugail, matematico con un debole per l’arte, ha unito informatica e storia: ResNet50, pre-addestrato su Microsoft, poi fine-tunato su Raffaello. Immagini ad alta risoluzione dal Prado, dal Louvre, da collezioni private. Hanno testato volti interi, non solo il quadro: la Sistina passa, la Trasfigurazione pure. Solo lì, in quel santo distratto, il sistema inciampa.
Reazioni? Caute. Il Prado conferma: analisi in corso, ma l’AI aggiunge dati. Esperti come Carmen Garrido, restauratrice del museo, parlano di integrazione: non buttare via secoli di studio per un algoritmo. E in Italia, su Futuro Prossimo, si discute etica: l’AI riscrive la storia, ma chi decide il canone? Un paradosso da laboratorio, dove umani programmano macchine per giudicare umani.
“Questi segnali potrebbero fungere da segno universale di vita intelligente.” No, scusa: quello era per radar aliéni. Per l’arte: “L’AI vede dettagli che sfuggono, ma l’arte resta umana.” Ugail, sempre lui, in un paper del 2023.
Il metodo in breve: Addestramento su 50 opere note di Raffaello, focus su texture e composizione. Test su Madonna della Rosa: 92% match per il resto, 65% per San Giuseppe. Basso, sospetto. Ipotesi: intervento di allievo per accelerare, comune nei botteghe rinascimentali.
Il paradosso del viso
Ecco il nodo: l’AI, creata per imitare l’umano, smaschera l’umano nel suo caos. Raffaello, genio multitasking, delegava: Romano finiva volti, altri sfondi. Quel San Giuseppe goffo? Forse stanco, dopo ore di pose. O frettoloso, un allievo che copia ma non cattura l’anima. Ironia: la macchina, priva di fatica, nota la stanchezza altrui.
E il valore? Un quadro “puro” Raffaello varrebbe di più, ma questo ibrido racconta di più: botteghe come catene di montaggio ante-litteram, maestri e allievi in un valzer di mani. L’AI lo evidenzia, ma non spiega il perché: era urgenza, o economia? Un dettaglio umano, in un’era di perfezione digitale, che stride come una pennellata fuori posto.
Penso che sia questo il guaio: guardiamo l’arte per l’ideale, ma è sempre stata imperfetta, collaborative. L’algoritmo ce lo rammenta, senza pietà. O forse con troppa: vede solo dati, non il sudore del pittore.

Una regola per il futuro
Nel 2025, con update su ScienceAlert, il caso torna a galla: l’AI non ferma i dibattiti, li alimenta. Esperti ibridi, storici con laptop, usano tool come questo per cataloghi digitali. Ma la regola resta: l’arte non è un file, è un accumulo di mani, dubbi, epoche.
E se San Giuseppe fosse l’eroe silenzioso? Quello che guarda via, sapendo di non essere al centro. Meglio un quadro con crepe, che uno liscio come uno schermo. Almeno, respira.
La tela resta al Prado, volti intatti. L’algoritmo dorme, in attesa del prossimo mistero. Quattrocento anni, e ancora inciampiamo su un viso distratto.