Il fegato accumula grasso. Silenzioso, costante, senza dolore. Fino a quando il problema non diventa sistemico e il cuore inizia a fare i conti con una pressione che sale, un diabete che insidia, un colesterolo che crolla. Per decenni i medici hanno guardato al diabete come al nemico principale di chi soffre di MASLD (malattia epatica steatosica associata a disfunzione metabolica), il fegato grasso metabolico che colpisce un terzo della popolazione mondiale.
Ora, un nuovo studio americano pubblicato su Clinical Gastroenterology and Hepatology ribalta tutto: l’ipertensione uccide più del diabete. E lo fa con una differenza che non lascia dubbi: +40% contro +25%. Il dato emerge dall’analisi di oltre 21.000 pazienti seguiti per trent’anni. Un campanello d’allarme che cambia le priorità terapeutiche.
I tre killer del fegato grasso
Il fegato grasso si sviluppa quando l’organo immagazzina più del 5% del suo peso in grasso. Non è una condizione rara: colpisce il 38% della popolazione adulta mondiale, con percentuali che salgono fino al 65% nei pazienti con diabete di tipo 2. In Italia, secondo le stime più recenti, ne soffre circa un adulto su cinque, con un impatto economico stimato in 7,7 miliardi di euro all’anno.
Il team guidato da Matthew Dukewich della Keck Medicine dell’University of Southern California ha utilizzato i dati del National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES), che ha raccolto informazioni sanitarie su oltre 134.000 adulti americani dal 1988 al 2018. Di questi, circa 21.000 presentavano fegato grasso. I ricercatori hanno monitorato i tassi di mortalità per tutti i fattori di rischio cardiometabolici associati alla malattia: obesità, diabete di tipo 2, ipertensione, glicemia alta e colesterolo HDL basso.
I risultati hanno sorpreso gli stessi autori dello studio. L’ipertensione arteriosa aumenta il rischio di morte del 40%, seguita dal pre-diabete o diabete di tipo 2 (+25%) e dal colesterolo HDL basso (+15%). Questi dati sono indipendenti dal numero o dalla combinazione di fattori di rischio presenti nel paziente e si mantengono costanti indipendentemente da sesso, età, razza o etnia.
Come spiega Norah Terrault, epatologa della Keck Medicine e autrice senior dello studio:
“Il fegato grasso è una malattia complessa, e questa ricerca getta nuova luce su dove i medici potrebbero voler concentrare i loro sforzi nel trattamento dei pazienti. Sapere quali aspetti portano a esiti peggiori ci aiuta a offrire la migliore assistenza possibile”.
La sorpresa dell’ipertensione
La scoperta più inaspettata riguarda proprio la pressione alta. “Fino ad ora si pensava comunemente che il diabete fosse il problema di salute più pressante per i pazienti con fegato grasso”, afferma Dukewich. Il dato ribalta le convinzioni consolidate e impone un ripensamento delle strategie terapeutiche.
Ma c’è dell’altro. Lo studio ha rilevato che l’obesità, il fattore di rischio più comune associato al fegato grasso, può aumentare sostanzialmente il rischio di mortalità a seconda dell’indice di massa corporea (BMI) del paziente. Più alto è il BMI, maggiore è l’associazione con la morte. Una ricerca parallela del Karolinska Institutet, pubblicata su The Journal of Hepatology, ha confermato che le persone con fegato grasso hanno un tasso di mortalità quasi doppio rispetto alla popolazione generale.

Ogni fattore conta: l’effetto accumulo
La ricerca ha documentato anche un altro aspetto preoccupante: il rischio di morte aumenta del 15% per ogni ulteriore fattore di rischio cardiometabolico presente. Un paziente con fegato grasso che presenta contemporaneamente ipertensione, diabete e obesità ha quindi prospettive significativamente peggiori rispetto a chi ha un solo fattore di rischio.
Il fegato grasso non è solo un problema epatico. Come evidenziato da uno studio dell’Università di Verona pubblicato sul New England Journal of Medicine, la malattia rappresenta un pericoloso fattore di rischio sistemico. Tra le complicanze più frequenti figurano infarto miocardico, scompenso cardiaco, insufficienza renale cronica e un’aumentata incidenza di tumori extraepatici, come quelli al colon e alla mammella.
In Italia, secondo il 57° Congresso Nazionale dell’Associazione Italiana per lo Studio del Fegato, la prevalenza del fegato grasso è particolarmente elevata in alcune regioni: lo studio ABCD eseguito in Sicilia ha documentato una prevalenza del 48%. Il rischio di danni epatici gravi, come cirrosi o tumore al fegato, aumenta in modo significativo nei pazienti con diabete e livelli elevati di transaminasi, arrivando fino al 60% nei casi più critici.
Fegato grasso, pressione alta: cosa fare ora
Le implicazioni cliniche dello studio sono immediate. I medici dovranno rivedere le priorità nel trattamento dei pazienti con fegato grasso, ponendo maggiore attenzione al controllo della pressione arteriosa. Il monitoraggio regolare diventa cruciale: come sottolineato dal Club Epatologi Ospedalieri, la diagnosi precoce attraverso esami del sangue (transaminasi, GGT, fosfatasi alcalina) e imaging (ecografia addominale, elastografia epatica) può fare la differenza.
La terapia principale resta la modifica dello stile di vita: perdita di peso del 7-10% per chi è obeso, attività fisica aerobica regolare (3-4 volte a settimana per mezz’ora), dieta mediterranea. Ma ora sappiamo che il controllo pressorio deve salire in cima alla lista delle priorità. Nuove molecole sperimentali stanno mostrando risultati promettenti nel ripristinare la funzionalità epatica, mentre farmaci già utilizzati per diabete e obesità hanno mostrato risultati anche per il fegato grasso.

Gli autori dello studio sperano di condurre ulteriori ricerche che esaminino il background genetico dei pazienti, le abitudini alimentari e il consumo di alcol in relazione agli esiti del fegato grasso, per fornire profili di rischio più completi. “Più riusciamo a capire i fattori che guidano la malattia, più possiamo identificare chi ha maggiormente bisogno di interventi e dare priorità alle nostre risorse per ottenere risultati migliori”, conclude Terrault.
Il fegato grasso non è più solo una questione epatica. È un problema sistemico che richiede un approccio integrato. E ora sappiamo con certezza dove guardare per primo: la pressione arteriosa. Perché un cuore che pompa troppo forte può uccidere un fegato già in difficoltà. E viceversa.