Sarah ha ventotto anni e non riesce a ricordare dove ha parcheggiato la macchina. Di nuovo. Non è la prima volta questa settimana. Ieri ha dimenticato un appuntamento importante, la settimana scorsa il compleanno di sua sorella. “Sto diventando come mia nonna”, scherza con gli amici. Ma forse non è uno scherzo. Secondo uno studio dell’University of Utah Health pubblicato su Neurology, Sarah fa parte di una statistica preoccupante: dal 2013 al 2023, il numero di giovani adulti sotto i 40 anni con gravi problemi di memoria e concentrazione è quasi raddoppiato, passando dal 5,1% al 9,7%. Praticamente uno su dieci. E no, non è normale.
Problemi di memoria: quando il cervello di un ventenne funziona come quello di un settantenne
I ricercatori hanno sottoposto la stessa domanda a ben 4,5 milioni di persone sotto i 40 anni: “Hai serie difficoltà a concentrarti, ricordare o prendere decisioni dovute a una condizione fisica, mentale o emotiva?” I risultati, pubblicati sulla rivista dell’American Academy of Neurology, hanno sorpreso gli stessi autori. “All’inizio sono rimasto scioccato”, ha dichiarato Ka-Ho Wong, ricercatore di neuroimmunologia e primo autore dello studio. Le segnalazioni sono quasi raddoppiate in dieci anni.
Elizabeth Kensinger, professoressa di psicologia al Boston College che studia la memoria, ha un indiziato speciale: il multitasking.
“Uno dei modi migliori per far sembrare un ventenne un settantenne in termini di prestazioni mnemoniche è far sì che quel ventenne faccia più cose contemporaneamente”.
Il cervello può reggere per cinque secondi, forse dieci. Dopo pochi minuti, il contenuto è sparito. Non si tratta di un problema biologico del cervello giovane. È un problema di come lo stiamo usando.
Stress economico, smartphone e notti insonni
Lo studio ha identificato alcuni fattori di rischio. Gli adulti con redditi familiari inferiori a 35.000 dollari mostrano tassi più alti di problemi di memoria e concentrazione. Ma qui si innesca un circolo vizioso: avere deficit cognitivi rende più difficile trovare e mantenere un lavoro ben pagato, peggiorando la situazione economica. Anche le condizioni di salute contano. Ipertensione, ictus pregressi, malattie croniche aumentano il rischio. E poi c’è il sonno.
Kensinger non ha dubbi:
“Ora ci sono bambini di dieci e undici anni che stanno svegli con i loro telefoni fino a tardi e che passano troppo tempo davanti allo schermo. Questo interferisce pesantemente con la qualità del sonno”.
L’ippocampo, la parte del cervello fondamentale per la memoria, è quella più colpita dagli ormoni dello stress. Meno dormi, più stress accumuli, peggio funziona la memoria. Un copione che si ripete ogni notte, per anni.
Gli autori dello studio indicano tra le cause principali “lo stress economico, le incertezze nel mercato del lavoro, i cambiamenti negli ambienti di lavoro e una maggiore dipendenza dagli strumenti digitali”.
Il 76% dei lavoratori manifesta almeno un disturbo collegato al lavoro: stanchezza, perdita di energie, disturbi del sonno, stress e ansia. I giovani riportano percentuali di disagio simili a quelle della popolazione più anziana.
Giovani e problemi di memoria: e in Italia? I dati mancano, ma i segnali ci sono
In Italia non esistono studi paragonabili a quello americano. Non ci sono statistiche nazionali dedicate ai problemi di memoria negli under 40. I dati dell’Istituto Superiore di Sanità riguardano principalmente gli over 65: circa 900.000 italiani con disturbo cognitivo lieve e un milione con demenza. Ma parliamo di anziani, non di ventenni che dimenticano dove hanno parcheggiato.
Quello che sappiamo, però, è che oltre 700.000 giovani italiani soffrono di disagio mentale, con il 49,4% dei ragazzi tra 18 e 25 anni che dichiara di aver sofferto di ansia e depressione anche dopo la pandemia. E i centri specializzati italiani segnalano “una condizione sempre più frequente” di giovani con disturbi cognitivi soggettivi legati proprio ad ansia e depressione. Non sono numeri ufficiali sui problemi di memoria, ma il quadro è coerente.
La memoria si allena, ma serve disciplina
La buona notizia è che non si tratta di un cambiamento biologico irreversibile. Studi recenti sulla plasticità cerebrale mostrano che il cervello crea molteplici copie di ogni ricordo, ciascuna con caratteristiche diverse. I neuroni “precoci” consolidano la memoria a lungo termine, quelli “tardivi” la rendono accessibile nell’immediato. Il sistema funziona, ma va alimentato correttamente.
Kensinger suggerisce alcune strategie concrete: dare alle informazioni sufficiente attenzione, dormire abbastanza, gestire lo stress cronico, mangiare bene. Niente di nuovo, tutto già sentito. Ma la parte difficile è l’esecuzione. Spegnere il telefono. Chiudere le tab. Fare una cosa alla volta. Sembra banale, ma per una generazione cresciuta con lo smartphone in mano è tipo chiedere di disimparare a respirare.
Wong, l’autore dello studio, è chiaro: “Se le persone riportano questi problemi, dobbiamo affrontarli”. Il primo passo sarebbe raccogliere dati anche in Italia, capire quanto il fenomeno sia diffuso anche qui. Il secondo passo è più complicato: convincere milioni di giovani adulti che no, non è normale dimenticare tutto a ventotto anni. E che forse vale la pena rallentare, prima che il cervello si afflosci davvero.
Perché una cosa è certa: i genitori di Sarah ricordavano a memoria almeno dieci numeri di telefono. Sarah fatica a ricordare anche il suo.
E non è colpa della genetica.