La banana OGM che non annerisce dopo il taglio non è più un esperimento di laboratorio. È un prodotto commerciale che arriverà sugli scaffali di Stati Uniti e Canada nel 2026, e TIME l’ha appena inserita nella lista delle Best Inventions 2025.
Sviluppata dalla britannica Tropic Biosciences, questa varietà rimane gialla e compatta anche dopo essere stata sbucciata o affettata. Il merito è di una modifica genetica precisa che spegne il gene responsabile della polifenolossidasi, l’enzima che fa scurire la frutta. Niente DNA estraneo, niente organismi geneticamente modificati nel senso classico del termine. Solo un interruttore biologico disattivato con la tecnologia CRISPR. Ma è davvero così diverso da un OGM tradizionale? La risposta breve è: tecnicamente sì, praticamente le due cose sono zuppa e pan bagnato.
Banana OGM: la tecnologia dietro l’innovazione
Il sistema utilizzato da Tropic si chiama GEiGS® (Gene Editing induced Gene Silencing), una piattaforma proprietaria che combina editing genetico CRISPR con interferenza RNA. Secondo il comunicato ufficiale, la tecnologia modifica regioni non codificanti del genoma della banana per produrre piccole molecole di RNA che silenziamo il gene bersaglio.
Nel caso specifico, come detto, viene disattivato il gene che codifica per la polifenolossidasi, l’enzima responsabile dell’ossidazione dei fenoli quando la polpa viene esposta all’aria.
Invece di inserire DNA estraneo nel genoma, come avviene nei classici OGM transgenici, CRISPR fa modifiche puntuali che potrebbero (teoricamente) verificarsi anche in natura. Uno studio pubblicato su Frontiers in Bioengineering and Biotechnology spiega come l’editing genetico nelle banane offra soluzioni precise per problemi agronomici senza ricorrere alla transgenesi classica.
La differenza normativa tra gene editing e OGM tradizionali è sottile ma cruciale. Negli USA e in Canada, le piante gene-edited che non contengono DNA estraneo non sono classificate come OGM e non richiedono l’etichettatura specifica. In Europa la situazione è più complessa: la Corte di Giustizia Europea nel 2018 ha stabilito che anche il gene editing ricade sotto la normativa OGM, creando un paradosso regolatorio difficile da gestire.
Il problema che risolve (e quello che ignora)
Oltre il 60% delle banane esportate finisce nella spazzatura prima di raggiungere il consumatore. L’imbrunimento enzimatico è uno dei principali responsabili di questo spreco. Tropic stima che la sua banana “non OGM” potrebbe ridurre gli sprechi alimentari e le emissioni di CO2 del 25% lungo tutta la filiera. In termini pratici, significa rimuovere l’equivalente di 2 milioni di automobili dalla circolazione ogni anno.
Ma c’è un aspetto che passa in secondo piano. La varietà Cavendish, quella che costituisce oltre il 90% del mercato mondiale delle banane da esportazione, è sterile e si riproduce per clonazione. Questo la rende particolarmente vulnerabile a malattie fungine come la Panama Disease Tropical Race 4 (TR4), che sta decimando intere piantagioni. Tropic sta lavorando anche su varietà resistenti a TR4, ma la banana anti-ossidazione arriva prima sul mercato. Perché? Semplice: è più facile vendere una banana che non annerisce che spiegare al consumatore perché dovrebbe preoccuparsi di un fungo che minaccia l’80% della produzione globale.
Approvazioni e commercializzazione
La banana OGM di Tropic ha ottenuto approvazioni normative in Filippine, Colombia, Honduras, Stati Uniti e Canada. Le Filippine sono state il primo paese al mondo ad autorizzare un prodotto gene-edited attraverso il loro nuovo framework regolatorio, stabilendo che queste banane possono essere importate e propagate liberamente. Il Department of Agriculture-Bureau of Plant Industry filippino ha determinato che il prodotto è tecnicamente non-OGM.
Il lancio commerciale è previsto per il 2026 in Nord America. Tropic non ha ancora annunciato il prezzo al dettaglio, ma l’azienda ha dichiarato che la tecnologia potrebbe ridurre i costi di trasporto refrigerato e imballaggio grazie alla maggiore durata di conservazione del frutto. Come avevamo anticipato a febbraio, questa è la prima di una serie di innovazioni che Tropic sta sviluppando per il settore delle colture tropicali.
Il riconoscimento di TIME arriva dopo oltre vent’anni di selezione delle migliori invenzioni globali. La banana ogm è stata valutata secondo criteri di originalità, efficacia, ambizione e impatto. TIME ha sollecitato candidature dai propri redattori e corrispondenti in tutto il mondo, prestando particolare attenzione a settori in crescita come l’assistenza sanitaria e l’intelligenza artificiale.
Banana OGM. Anzi, non OGM. La questione rimane aperta
Definire questa banana come “non-OGM” è un esercizio semantico che ha più a che fare con la regolamentazione che con la biologia. Il DNA è stato modificato usando tecniche di laboratorio per ottenere un tratto che non esisteva in natura nella varietà Cavendish. Che lo si chiami gene editing, cisgenesi o editing genomico, il risultato finale è un organismo con caratteristiche genetiche alterate dall’intervento umano.
La vera sfida non è tecnica, è culturale. Settantacinque anni dopo l’ultima vera innovazione commerciale nelle banane, il mercato deve decidere se è pronto ad accettare un frutto modificato geneticamente che promette meno sprechi ma porta con sé tutte le domande irrisolte sulla sicurezza a lungo termine e sull’impatto ambientale delle monocolture gene-edited.
Nel frattempo, la banana di Tropic resta un prodotto notevole dal punto di vista tecnico. Resta gialla, riduce gli sprechi, mantiene il sapore. E sarà nei supermercati tra meno di un anno. Io la proverei, beninteso, ma evitiamo il solito circo, per favore. Che la si chiami OGM, gene-edited o semplicemente “banana migliorata”, la sostanza cambia poco. Zuppa o pan bagnato, dipende solo da quale lato del regolamento ci si trova.