Un rene di gruppo sanguigno A è stato convertito in gruppo O universale e trapiantato in un essere umano per la prima volta. L’organo ha funzionato per due giorni senza rigetto acuto, il tipo di reazione immunitaria che può distruggere un trapianto incompatibile in pochi minuti. Ne abbiamo parlato molto di recente, ora abbiamo (e vi diamo) qualche dettaglio in più.
Il risultato, pubblicato su Nature Biomedical Engineering, arriva da una collaborazione tra l’University of British Columbia e ospedali cinesi. La tecnica usa enzimi che rimuovono gli antigeni di tipo A dai vasi sanguigni del rene, trasformandolo in un donatore universale. In Italia, un morto ogni due giorni in attesa di un rene: negli Stati Uniti addirittura 11 al giorno. Questa svolta potrebbe cambiare tutto.
Come funzionano le forbici molecolari
Il gruppo sanguigno è determinato dagli antigeni sulla superficie delle cellule. Tipo un’etichetta che dice al sistema immunitario chi sei. Se il rene ha antigeni di tipo A e il ricevente ha tipo O, il corpo vede l’organo come estraneo e lo attacca. La soluzione classica è sopprimere il sistema immunitario del paziente per giorni, con trattamenti pesanti che aumentano rischi di infezioni ed emorragie. Oppure aspettare anni che arrivi un rene compatibile.
Il team guidato da Stephen Withers della University of British Columbia, insieme a Turun Song del West China Hospital e Keqin Zhang dell’Università di Chongqing, ha invertito il problema. Invece di modificare il paziente, hanno modificato l’organo. Gli enzimi sviluppati a Vancouver agiscono come forbici molecolari: tagliano gli antigeni A dai vasi sanguigni del rene, lasciando solo la base neutra che caratterizza il gruppo O.
“È come rimuovere la vernice rossa da un’auto e scoprire il primer neutro sotto”, spiega Withers con una metafora efficace. “Una volta fatto, il sistema immunitario non vede più l’organo come estraneo”.
Il rene convertito è stato chiamato ECO kidney (Enzyme-Converted type-O). La conversione avviene durante la perfusione ipotermia, quando l’organo è mantenuto in una macchina che fa circolare liquido ossigenato a temperatura controllata. Gli enzimi lavorano per ore, rimuovendo sistematicamente tutti gli antigeni A accessibili.
Il primo test sull’uomo
Il trapianto è stato eseguito in Cina su un uomo di 68 anni con morte cerebrale, con il consenso della famiglia. Il paziente aveva gruppo O e alti livelli di anticorpi anti-A: esattamente il tipo di scenario che normalmente porterebbe a un rigetto fulminante. Il rene convertito è stato trapiantato usando protocolli clinici standard.
Per due giorni l’organo ha funzionato perfettamente. Nessun segno di rigetto iperacuto, quella reazione violenta che può distruggere un trapianto incompatibile in minuti. Il rene produceva urina, i parametri erano stabili. Al terzo giorno sono ricomparsi alcuni marcatori del gruppo A originale, innescando una lieve reazione immunitaria. Ma il danno è stato molto meno grave rispetto a una tipica incompatibilità, e i ricercatori hanno osservato segnali che l’organismo stava iniziando a tollerare l’organo.
Perché il gruppo O è un problema
Più della metà delle persone in lista d’attesa per un trapianto di rene ha gruppo sanguigno O. Il paradosso è che i reni di tipo O, essendo donatori universali, vengono assegnati anche a pazienti con altri gruppi sanguigni. Risultato: chi ha tipo O deve aspettare che arrivi un rene O e che non venga dato a qualcun altro.
I dati sono chiari. I pazienti con tipo O aspettano da due a quattro anni in più rispetto agli altri gruppi. Negli Stati Uniti, 11 persone muoiono ogni giorno in attesa di un trapianto di rene, e la maggioranza sta aspettando un organo di tipo O. In Italia, secondo la Fondazione Trapianti, i tempi di attesa variano significativamente in base al gruppo sanguigno, con i pazienti O e A che affrontano le attese più lunghe.
Se si potesse convertire qualsiasi rene in tipo O, il problema si risolverebbe. Più organi utilizzabili, liste d’attesa più corte, meno sprechi. Ogni rene di gruppo A, B o AB potrebbe diventare universale.
I numeri della crisi dei trapianti: più di 3.500 canadesi e 100.000 americani sono in lista d’attesa per un trapianto salvavita. Molti organi vengono scartati per incompatibilità di gruppo sanguigno. Con la conversione enzimatica, questi organi potrebbero essere recuperati e utilizzati.
Cosa succede dopo
Il fatto che alcuni antigeni A siano ricomparsi al terzo giorno non è necessariamente un problema. Indica che le cellule dell’organo continuano a produrre antigeni, ma la reazione immunitaria è stata gestibile. Il sequenziamento delle cellule ha mostrato un’espressione elevata di geni legati all’accomodamento, quel processo per cui il corpo impara a tollerare un organo parzialmente incompatibile.
Il prossimo passo è ottenere l’approvazione per trial clinici su pazienti viventi. La startup Avivo Biomedical, spin-off della University of British Columbia, sta sviluppando gli enzimi per l’applicazione commerciale. L’obiettivo non è solo i trapianti di rene, ma anche la creazione di sangue universale per le trasfusioni.
“Questo è ciò che succede quando anni di ricerca di base finalmente si collegano alla cura dei pazienti”, commenta Withers. “Vedere le nostre scoperte avvicinarsi all’impatto nel mondo reale è ciò che ci spinge ad andare avanti”.
I precedenti e le alternative
Non è la prima volta che si tenta di aggirare il problema dell’incompatibilità. Gli enzimi per convertire il sangue da tipo A a O furono identificati già nel 2019 dallo stesso team. Nel 2022 avevano dimostrato che un polmone di tipo A poteva essere convertito in tipo O, ma l’organo non era stato trapiantato in una persona. Ricercatori di Cambridge avevano modificato con successo tre reni umani, ma senza procedere al trapianto.
Parallelamente, altri team stanno esplorando strade diverse. C’è chi lavora sui trapianti di reni di maiale geneticamente modificati (xenotrapianti), chi sviluppa nuovi anticorpi per bloccare il rigetto, chi cerca di coltivare cellule staminali renali dalle urine per evitare del tutto il trapianto. Tutte queste ricerche si muovono verso lo stesso obiettivo: rendere disponibili più organi a più persone.
Ma la conversione enzimatica ha un vantaggio pratico: funziona con organi da donatori deceduti, non richiede preparazione del ricevente, e può essere integrata nei protocolli esistenti senza stravolgere le procedure. Se i trial clinici confermeranno sicurezza ed efficacia a lungo termine, potrebbe diventare lo standard.
Il futuro dei trapianti
Resta da capire quanto durerà la conversione. Gli antigeni A hanno iniziato a ricomparire dopo due giorni: servirà ottimizzare la tecnica per renderla più duratura, o sviluppare strategie per gestire la rigenerazione degli antigeni. Forse con dosi aggiuntive di enzimi, forse con terapie immunosoppressive mirate.
Ma il principio è dimostrato. Cambiare l’organo invece del paziente funziona. Non è più fantascienza, è chimica applicata. Un rene può essere riprogrammato, la sua identità molecolare modificata, e il corpo lo accetterà. Almeno per un po’. Almeno abbastanza da aprire una strada.
Dieci anni di ricerca, decine di esperimenti, un’idea apparentemente semplice che si scontra con la complessità del sistema immunitario umano. Ora abbiamo la prova che è possibile. Il resto è ingegneria: perfezionare, scalare, rendere accessibile.
Le liste d’attesa sono lunghe. Le persone continuano a morire aspettando. Forse questa è una via d’uscita. O forse solo un pezzo del puzzle. Serve che funzioni anche al centesimo giorno, non solo al secondo. Ma intanto, per due giorni, un rene impossibile ha funzionato. E questo conta.