Cosa serve per far parlare due potenze che non si parlano mai? Migliaia di satelliti in orbita bassa e la certezza che, prima o poi, qualcuno si scontrerà con qualcun altro. Ottobre 2025: la Cina contatta la NASA per coordinare una manovra anti collisione. È la prima volta.
Non è un summit, e neanche un accordo diplomatico: è una semplice comunicazione tecnica, diretta, pragmatica. “Vediamo una congiunzione tra i nostri satelliti. Vi consigliamo di restare fermi, manovriamo noi.” Poche righe che Alvin Drew, direttore NASA per la sostenibilità spaziale, ha definito “un motivo per festeggiare”. Perché quando lo spazio diventa troppo affollato, anche il silenzio tra Washington e Pechino diventa troppo rischioso.
Quando i ruoli si invertono
Per anni la dinamica era stata chiara: la NASA avvertiva la China National Space Administration (CNSA) ogni volta che un satellite americano rischiava di incrociare un’orbita cinese. Washington inviava i dati, suggeriva le traiettorie, e Pechino eseguiva. Un protocollo unidirezionale, basato su necessità tecnica più che su fiducia diplomatica. Poi è arrivato il messaggio di ottobre. Breve, asciutto, ma chiaro: la Cina aveva identificato una possibile collisione tra satelliti e si offriva di gestire la manovra correttiva.
Drew l’ha raccontato al Congresso Astronautico Internazionale di Sydney con un tono che mescolava sorpresa e soddisfazione:
“Per la prima volta, la CNSA ci ha contattato dicendo: ‘Vediamo una congiunzione, rimanete fermi, ci occupiamo noi della manovra’. È la prima volta che accade.” Un cambio di registro che conta più di molti comunicati ufficiali.
Il Wolf Amendment del 2011 impedisce alla NASA qualsiasi collaborazione bilaterale diretta con enti cinesi senza approvazione del Congresso e dell’FBI. Motivo: sicurezza nazionale, rischio di spionaggio, trasferimento tecnologico.
Eppure, lo scambio di informazioni tecniche per la sicurezza orbitale non è mai stato bloccato: troppo rischioso lasciare che i satelliti “si parlino” solo tramite il silenzio.

L’orbita bassa è diventata un’autostrada trafficata
Il contesto spiega perché un messaggio tecnico diventa notizia. Tra il 2019 e il 2023, i satelliti Starlink hanno effettuato oltre 50.000 manovre di evitamento. Le proiezioni dicono che entro il 2028 potrebbero arrivare a un milione ogni sei mesi. Non è una iperbole: ogni sei mesi il numero raddoppia, seguendo una curva esponenziale che non lascia molto margine di errore.
La Cina sta costruendo le megacostellazioni Guowang e Thousand Sails. Gli Stati Uniti continuano a lanciare Starlink a ritmo sostenuto. L’orbita bassa terrestre (LEO), quella fascia tra 160 e 2.000 chilometri di altitudine, è diventata un ambiente congestionato dove anche una vite può causare danni catastrofici viaggiando a 28.000 km/h. Un po’ come guidare in autostrada senza specchietti retrovisori: puoi farlo, ma prima o poi qualcuno si fa male.
La sindrome di Kessler, teorizzata nel 1978 dall’astrofisico NASA Donald Kessler, descrive esattamente questo scenario: collisioni che generano detriti, detriti che causano altre collisioni, fino a rendere alcune orbite inutilizzabili per decenni.
Collisioni orbitali, pragmatismo orbitale
Il messaggio della CNSA suggerisce che Pechino ha raggiunto un livello di consapevolezza situazionale spaziale tale da poter identificare le collisioni e coordinarsi con altri operatori. Un salto tecnico non da poco. La Cina lo aveva indicato come priorità nel suo white paper spaziale del 2022, che delineava le ambizioni per il periodo 2021-2026. Ora sembra che le capacità siano all’altezza delle dichiarazioni.
Michael Garrett, coautore dello studio presentato al National Astronomy Meeting 2025 della Royal Astronomical Society, sottolinea come “imparare come i nostri segnali viaggiano nello spazio ci dà intuizioni preziose su come proteggere lo spettro radio e progettare futuri sistemi radar”. I metodi sviluppati per rilevare segnali deboli possono essere usati anche per il monitoraggio orbitale e la difesa planetaria.
Non si tratta di fiducia reciproca, almeno non nel senso tradizionale. È pragmatismo puro: meglio coordinarsi oggi che raccogliere detriti domani. Quando hai investito miliardi in hardware che gira a velocità supersoniche sopra la testa di tutti, il calcolo dei rischi cambia. E forse, in un ambiente dove non esistono semafori né corsie preferenziali, anche due potenze che si guardano in cagnesco possono decidere che vale la pena scambiarsi un messaggio.
Drew ha chiuso il suo intervento con una considerazione che suona più realistica che ottimistica: questa cooperazione tecnica potrebbe diventare il primo passo verso protocolli condivisi, forse anche verso missioni congiunte. O forse no.
Intanto, per la prima volta, il telefono ha squillato dall’altra parte. E qualcuno ha risposto.
