Quanto inquina parlare di clima? Se la domanda sembra assurda, i numeri dicono il contrario. I siti web delle conferenze COP emettono fino a dieci volte più CO2 di un portale medio. Lo certifica uno studio dell’Università di Edimburgo pubblicato ORA (non scherzo, ero lì in attesa) su PLOS Climate. Dal 1995, anno della prima Conference of the Parties, le emissioni digitali delle COP sono cresciute del 13.000%. La homepage della COP29 ha generato 116 chilogrammi di anidride carbonica: servono dieci alberi maturi che lavorano un anno per compensarli. Il sito della COP30, che apre i battenti proprio oggi a Belém, emette 0.52 grammi per visita e non gira su infrastrutture rinnovabili. Un dettaglio? Forse. Ma rivela una contraddizione.
COP30, trent’anni di crescita digitale
Il team guidato dalla professoressa Melissa Terras dell’Institute for Design Informatics di Edimburgo ha scavato negli archivi web dal 1995 al 2024. L’analisi pubblicata su PLOS Climate mostra che fino al 2008 le emissioni restavano contenute: 0.02 grammi di CO2 per pagina vista. Poi il salto. Video, animazioni, contenuti multimediali hanno fatto lievitare il consumo energetico. Oggi un sito COP emette in media 2.4 grammi per visita. Un sito web normale ne emette 0.36.
Il paradosso sta nei numeri. Nel 1997, durante la COP3 di Kyoto, le visite al sito generarono 0.14 kg di CO2 totali: la quantità che un albero maturo assorbe in due giorni. Nel 2024, la sola homepage della COP29 a Baku ha prodotto 116.85 kg di emissioni. Serve un anno a dieci alberi per assorbirli. Un aumento dell’83.000%.
L’aumento corrisponde alla crescita esponenziale di internet stesso, che oggi vale il 3% delle emissioni globali. Ma i ricercatori scozzesi sottolineano che i siti COP inquinano comunque molto più della media. Il problema non è solo il traffico. È come sono costruiti.
Multimedia e potenza di calcolo
Cosa rende un sito web più inquinante? La potenza di calcolo richiesta per caricarlo. Video in autoplay, animazioni complesse, gallerie fotografiche ad alta risoluzione. Ogni elemento pesa sui server. E i server consumano energia. Dal 2008 in poi, le COP hanno iniziato a usare portali sempre più elaborati, con contenuti pensati per attirare attenzione mediatica. Il risultato è una crescita delle emissioni che supera quella del web nel suo complesso.
David Mahoney, dottorando coinvolto nello studio, spiega che i siti web restano la forma più diffusa di interazione uomo-computer. Più ancora dell’intelligenza artificiale, che oggi cattura tanta attenzione. «I siti sono uno dei maggiori contributori all’impatto ambientale di internet. Il nostro lavoro mostra come riutilizzare gli archivi web possa esporre questo punto cieco, anche tra organizzazioni come COP30, al centro delle discussioni sul clima».
COP30 parte male
Lo studio non include ancora, ovviamente, dati definitivi sul sito dell’ultima conferenza di Belém, COP30, in programma fino al 21 novembre 2025. Ma i ricercatori hanno rilevato dati preliminari che parlano da soli. Il sito emette 0.52 grammi di CO2 per visita. Meno della media COP, ma comunque sopra lo standard web. E non è ospitato su server alimentati da energie rinnovabili. Questo significa che ogni megabyte trasferito pesa sull’atmosfera più di quanto potrebbe.
Si stima che circa 50.000 persone visiteranno il sito ufficiale solo tra i partecipanti alla conferenza. Il traffico pubblico sarà superiore. Usando il metodo dello studio, le visite dei soli delegati alla homepage genererebbero circa 313 kg di CO2. L’equivalente di quello che quindici alberi maturi assorbono in un anno. Ancora una volta, per carità, dettagli. Giusto?
Come ridurre le emissioni digitali
I ricercatori propongono soluzioni pratiche. Limitare le dimensioni delle pagine. Ottimizzare i layout riducendo elementi grafici pesanti. Ospitare i server su infrastrutture alimentate da rinnovabili. Misure banali, in teoria. Difficili da applicare quando la logica è quella della visibilità a tutti i costi.
Lo studio è il primo esempio di utilizzo degli archivi web per tracciare l’impatto ambientale nel tempo. Il codice sviluppato dal team sarà disponibile gratuitamente e potrà essere usato per valutare l’impronta storica di qualsiasi sito. Un metodo che potrebbe applicarsi ad aziende, istituzioni, enti pubblici. Forse alla fine non è affatto un dettaglio.
I simboli contano
Certo, 116 kg di CO2 per un sito web sono una frazione rispetto alle emissioni complessive di una conferenza internazionale. Gli aerei dei delegati, gli alberghi, la logistica pesano molto di più. Ma i simboli contano. Quando un evento che dovrebbe rappresentare l’impegno globale contro il cambiamento climatico inquina (anche) digitalmente più del necessario, il messaggio si indebolisce.
Melissa Terras lo dice chiaramente:
«L’impronta digitale dei siti web merita maggiore attenzione. Il costo ambientale della presenza online viene spesso ignorato anche da chi si occupa di proteggere l’ambiente. Speriamo che le nostre raccomandazioni, e il nostro strumento, possano aiutare le istituzioni a identificare e affrontare questo problema».
Internet non è neutro. Ogni clic ha un peso. E se chi predica la transizione ecologica non riesce a rendere sostenibile nemmeno un sito web, il rischio è che il messaggio suoni vuoto.
Piccole contraddizioni, certo. Certo.