Ti svegli con quel mal di schiena che ti accompagna da mesi. Durante la giornata si aggiunge la cervicale, poi l’anca. Sei abituato, ormai: è il tuo dolore cronico, quello che gestisci tra antidolorifici e fisioterapia. Quello che però probabilmente ignori è che ogni singolo punto dolente nel tuo corpo sta contribuendo, in silenzio, ad aumentare la tua pressione arteriosa.
Uno studio dell’Università di Glasgow ha analizzato oltre 206.000 adulti per 13 anni, scoprendo che chi convive con dolore diffuso ha il 75% di probabilità in più di sviluppare ipertensione. Il meccanismo? Un circolo vizioso dove dolore, depressione e infiammazione si alimentano a vicenda, spingendo la pressione sempre più in alto.
Quando il dolore diventa un fattore di rischio cardiovascolare
La ricercatrice Jill Pell dell’Università di Glasgow ha coordinato un’analisi massiccia su 206.963 adulti britannici presenti nella UK Biobank, seguiti mediamente per 13 anni e mezzo. I risultati, pubblicati il 17 novembre 2025 sulla rivista Hypertension dell’American Heart Association, mostrano correlazioni che nessuno studio precedente aveva quantificato con questa precisione.
Il dolore cronico localizzato (una singola zona del corpo, che persiste oltre tre mesi) aumenta il rischio di ipertensione del 20%. Il dolore cronico diffuso (più aree del corpo) lo fa schizzare al 75%.
Ma è la scoperta sul “come” che cambia le carte in tavola. L’11,7% di questo rischio aggiuntivo passa attraverso due mediatori specifici: depressione e infiammazione. Un po’ come se il dolore innescasse una cascata biochimica che, passando per il cervello, finisce per danneggiare il cuore.
Nei 13 anni di follow-up, quasi il 10% dei partecipanti ha sviluppato ipertensione. Chi soffriva di dolore cronico diffuso mostrava un rischio aumentato del 75%, contro il 10% del dolore acuto temporaneo e il 20% del dolore cronico localizzato.
La depressione era presente nell’11,3% dei casi, l’infiammazione (misurata tramite proteina C-reattiva) nello 0,4%.
La geografia del dolore cronico: non tutti i punti sono uguali
Lo studio ha mappato anche quali aree del corpo, se doloranti cronicamente, influenzano di più la pressione arteriosa. Il dolore addominale cronico aumenta il rischio del 43%. Le cefalee croniche del 22%. Collo, spalle e cervicale del 19%. L’anca del 17%, la schiena del 16%. Non è casuale: alcune zone sono più ricche di terminazioni nervose legate al sistema nervoso autonomo, quello che regola anche la pressione sanguigna.
Come spiega Pell:
“Più diffuso è il dolore, più alto è il rischio di sviluppare ipertensione. Parte della spiegazione sta nel fatto che avere dolore cronico rende più probabili episodi depressivi, e avere depressione rende più probabile lo sviluppo di pressione alta. Questo suggerisce che il riconoscimento precoce e il trattamento della depressione nelle persone con dolore potrebbe aiutare a ridurre il rischio di ipertensione.”
Il triangolo infernale: dolore cronico, depressione, infiammazione
Il meccanismo biologico è più complesso di quanto sembri. Il dolore cronico attiva costantemente il sistema nervoso simpatico, quello della risposta “combatti o fuggi”. Questo porta a un rilascio continuo di ormoni dello stress come cortisolo e adrenalina, che nel breve termine alzano la pressione per affrontare un’emergenza. Il problema è che qui l’emergenza non finisce mai.
La risposta cronica allo stress genera depressione (il corpo si “arrende” di fronte a una minaccia che non può eliminare) e infiammazione sistemica (il sistema immunitario rimane in stato di allerta). L’infiammazione, misurata nello studio tramite proteina C-reattiva, danneggia le pareti dei vasi sanguigni, rendendoli più rigidi. I vasi rigidi offrono più resistenza al flusso del sangue. E resistenza significa pressione. È fisica, prima ancora che medicina.
Gestire il dolore per proteggere il cuore
Daniel W. Jones, presidente delle linee guida 2025 sull’ipertensione di American Heart Association e American College of Cardiology, che non ha partecipato allo studio, commenta:
“È ben noto che il dolore acuto può alzare la pressione nel breve termine. Sapevamo meno su come il dolore cronico influenzi la pressione. Questo studio aggiunge comprensione, trovando una correlazione tra il numero di siti di dolore cronico e il fatto che l’associazione possa essere mediata da infiammazione e depressione.”
Jones suggerisce trial clinici controllati per esplorare come diversi approcci alla gestione del dolore influenzino la pressione arteriosa. Come avevamo raccontato nel 2021, esistono già metodi sperimentali come la denervazione renale a ultrasuoni per abbassare la pressione quando i farmaci non bastano. Ma il nuovo studio suggerisce un approccio ancora più a monte: trattare il dolore significa prevenire l’ipertensione.
Attenzione agli antinfiammatori. Jones sottolinea l’importanza di capire come i FANS (farmaci antinfiammatori non steroidei) come l’ibuprofene possano a loro volta alzare la pressione.
Già: curare male il dolore cronico può peggiorare il rischio cardiovascolare che dovrebbe invece mitigare.

Un killer silenzioso che ne nasconde un altro
L’ipertensione è chiamata “killer silenzioso” perché non dà sintomi fino al danno avanzato. Il dolore cronico, al contrario, è tutto tranne che silenzioso. Eppure, nella sua rumorosità quotidiana, nasconde un pericolo che pochi associano: sta lentamente danneggiando il tuo sistema cardiovascolare. Lo studio di Glasgow ha coinvolto principalmente adulti bianchi britannici di mezza età, quindi i risultati potrebbero non applicarsi universalmente ad altre popolazioni. Ma la dimensione del campione (oltre 206.000 persone) e la durata del follow-up rendono i dati piuttosyo solidi.
Se il dolore non è solo un problema ortopedico o neurologico, ma anche cardiologico, forse è il caso di ripensare come lo trattiamo. Prima che sia la pressione a ricordarci che avremmo dovuto farlo.