Mi spoilero da solo l’articolo, perché la cosa è degna di nota, secondo me. Sentite qua: il capo dell’azienda che fornisce i chip per l’intelligenza artificiale a tutto il pianeta ha appena detto che gli Stati Uniti perderanno la corsa all’AI. Non ha detto “potrebbero perdere”, e non ha detto nemmeno “rischiano di perdere”. Ha detto proprio “perderanno”.
Jensen Huang non usa mezzi termini quando parla della Cina: sul ring all’angolo rosso energia sostanzialmente gratis per i data center, regolamentazione snella, metà dei ricercatori AI mondiali concentrati lì. All’altro angolo, gli USA con il loro “cinismo” (parole sue) e 50 stati che discutono 50 regolamenti diversi. La corsa all’intelligenza artificiale ha un favorito, dice Huang al Financial Times. E non è quello che Washington vorrebbe sentirsi dire.
Energia gratis contro burocrazia
Le parole di Huang arrivano a margine del Future of AI Summit di Londra, pochi giorni dopo l’incontro tra Donald Trump e Xi Jinping in cui la Casa Bianca ha confermato il blocco all’export dei chip Blackwell più avanzati verso la Cina. La strategia americana punta sul contenimento tecnologico, ma Huang non sembra essere convinto dell’efficacia di questa idea.
“in Cina l’energia è gratis”, ha detto (con una semplificazione agghiacciante ma efficace) riferendosi ai sussidi governativi cinesi per i data center di ByteDance, Alibaba e Tencent. Pechino ha aumentato gli incentivi dopo che le aziende tech si sono lamentate dei costi operativi più alti dovuti ai chip domestici Huawei e Cambricon, meno efficienti di quelli Nvidia ma funzionanti. E poi, lo chiedo sottovoce così mi sentite solo voi: QUANTO meno efficienti, esattamente?
In sintesi: mentre negli Stati Uniti si discute di potenziali nuove regole statali (non federali) sull’intelligenza artificiale, la Cina azzera i costi energetici e accelera. Il contrasto è netto: caos e frammentazione normativa contro supporto centralizzato. Cautela, o se preferite lentezza, contro spregiudicatezza: o, se preferite, velocità.
Nanosecondi, non anni
Huang ha cambiato drasticamente tono rispetto al passato. A ottobre aveva dichiarato che la Cina era “nanosecondi dietro” gli Stati Uniti, non più anni come si credeva. Ora va oltre: la Cina vincerà la corsa all’AI. Perché ha rincarato la dose?
Circa il 50% dei ricercatori AI mondiali lavora in territorio cinese, e Washington sta perdendo l’accesso a questo bacino di talenti con politiche che Huang definisce controproducenti. “Vogliamo che l’America vinca questa corsa. Ma abbiamo bisogno di essere in Cina per conquistare i loro sviluppatori. Una politica che ci fa perdere metà degli sviluppatori AI mondiali non è vantaggiosa nel lungo termine, ci danneggia di più”, ha affermato durante la conferenza Nvidia di Washington a ottobre.
Corsa all’AI, tutti i numeri della competizione
Il 2025 AI Index Report di Stanford conferma che gli Stati Uniti hanno rilasciato 40 modelli AI significativi nel 2024, contro i 15 della Cina e appena 3 dell’Europa.
Sul fronte quantitativo, Washington mantiene il vantaggio. Ma la Cina ha depositato oltre 38.000 brevetti in intelligenza artificiale generativa tra il 2014 e il 2023, sei volte più degli USA nello stesso periodo. E le performance dei modelli cinesi stanno riducendo rapidamente il gap qualitativo con quelli americani.
DeepSeek, startup cinese emersa quest’anno, ha sviluppato modelli che competono con OpenAI a costi drasticamente inferiori, dimostrando che le restrizioni sui chip non bastano a fermare l’innovazione.
Gli investimenti USA nel 2024 sono stati di 109,1 miliardi di dollari contro i 9,3 della Cina, ma Pechino compensa con una strategia nazionale centralizzata e supporto governativo diretto. Il piano Made in China 2025 ha trasformato la corsa all’AI in priorità di stato, con università d’eccellenza e infrastrutture dedicate che alimentano un ecosistema in rapida espansione.
Corsa AI, ottimismo contro cinismo
Huang, vi dicevo, ha individuato nel “cinismo” occidentale uno dei principali ostacoli. “L’Occidente, inclusi Stati Uniti e Gran Bretagna, è frenato dal cinismo. Abbiamo bisogno di più ottimismo”, ha dichiarato. Non si tratta solo di tecnologia o capitali. È una questione di approccio: la Cina può muoversi rapidamente perché il governo controlla direttamente innovazione privata, accesso ai dati e sviluppo infrastrutturale. Gli Stati Uniti devono confrontarsi con cinquanta stati che potrebbero adottare regolamentazioni diverse, rallentando l’intero sistema.
Le dichiarazioni di Huang assumono particolare peso perché Nvidia controlla ancora circa il 95% del mercato globale dei chip per intelligenza artificiale. Nessuno ha una visuale migliore su dove si sta dirigendo questa competizione. E il quadro che descrive non è rassicurante per Washington.
Trump ha risposto che i chip Blackwell più avanzati resteranno esclusiva americana, ma Nvidia non ha nemmeno chiesto licenze di export per venderli in Cina, citando la posizione di Pechino verso l’azienda. Un equilibrio instabile che riflette una verità scomoda: la corsa all’AI si gioca su più fronti, e bloccare i chip potrebbe non bastare se dall’altra parte ci sono energia illimitata, ricercatori motivati e uno stato che decide le priorità senza discussioni.
Diciamocela tutta, tanto l’articolo ve l’ho spoilerato subito. Cosa ho capito io? La tecnologia americana è superiore. Lo è, per ora. Ma quanto può durare questa superiorità quando l’altra parte corre molto più veloce, spende molto meno e ha molti meno vincoli? Dai, che il finale potete spoilerarlo voi.
Anche Huang ha dato la sua risposta. Resta da vedere se qualcuno a Washington vorrà ascoltarla.