Volevamo solo mandare messaggi ai sottomarini nucleari: abbiamo finito per costruire uno scudo planetario. Le comunicazioni VLF (Very Low Frequency), quelle che attraversano oceani e montagne per raggiungere i sommergibili in profondità, generano onde così potenti da interagire con le fasce di Van Allen. Risultato: una barriera spaziale invisibile che respinge radiazioni cosmiche e particelle solari pericolose. Non è esattamente un campo di forza, ma ci va vicino.
Le misurazioni della NASA mostrano che dal 1960 le fasce Van Allen si sono spostate verso l’esterno, spinte da questa nostra “bolla radio”. Un esperimento globale non autorizzato, partito negli anni della Guerra Fredda, che continua a “proteggere” il pianeta mentre nessuno ci fa caso.
Come funziona questa barriera spaziale
Il campo magnetico terrestre intrappola particelle cariche in due fasce di radiazioni concentriche. La fascia interna, stabile, orbita tra 1.000 e 6.000 chilometri dalla superficie. Quella esterna fluttua tra 13.000 e 60.000 chilometri. Le abbiamo scoperte nel 1958. Per decenni abbiamo pensato fossero strutture fisse, immutabili come la gravità.
Poi sono arrivate le sonde Van Allen della NASA. Tra il 2012 e il 2019 hanno mappato le fasce con precisione millimetrica, scoprendo che la barriera spaziale varia radicalmente a seconda dell’energia delle particelle. Non è una ciambella statica, è un ecosistema dinamico che respira col vento solare. E noi, senza volerlo, lo stavamo modificando.
Le onde VLF operano tra 3 e 30 kilohertz. Lunghezze d’onda enormi: fino a 100 chilometri.
Penetrano acqua salata, roccia, atmosfera. Arrivano nello spazio e interagiscono con le particelle cariche delle fasce Van Allen, modificandone traiettoria ed energia. Il risultato è una bolla protettiva con raggio di circa 2.800 chilometri intorno alla superficie terrestre.
La scoperta accidentale della barriera spaziale
“Un certo numero di esperimenti e osservazioni hanno scoperto che, nelle giuste condizioni, i segnali di radiocomunicazione nella gamma di frequenza VLF possono effettivamente influenzare le proprietà dell’ambiente di radiazioni ad alta energia attorno alla Terra”, ha spiegato Phil Erickson, vice direttore del MIT Haystack Observatory e coautore dello studio pubblicato nel 2017 che ha rivelato il fenomeno.
Il bordo interno delle fasce Van Allen corrisponde quasi perfettamente al limite esterno della bolla VLF. Troppo preciso per essere casuale. I ricercatori hanno confrontato le misurazioni degli anni ’60 con quelle attuali: la fascia di radiazioni si è spostata verso l’esterno di diverse centinaia di chilometri. La causa più probabile? L’intensificazione delle comunicazioni radio militari durante la Guerra Fredda.
Un po’ come se avessimo installato un repellente per zanzare cosmiche senza leggere le istruzioni. Funziona, ma nessuno (o solo qualcuno) sa esattamente perché l’abbiamo acceso.
Una difesa involontaria dai raggi cosmici
Le particelle cariche delle fasce Van Allen non sono innocue. Possono danneggiare satelliti, interferire con le comunicazioni, rappresentare un rischio per gli astronauti. Ma possono anche schermare la Terra da radiazioni ancora più pericolose provenienti dal Sole o dallo spazio profondo. La barriera spaziale che abbiamo creato respinge queste particelle verso orbite più alte, riducendo la loro concentrazione nelle zone dove orbitano satelliti commerciali e la Stazione Spaziale Internazionale.
I ricercatori stanno ora testando se emettitori VLF dedicati potrebbero essere usati per proteggere aree specifiche del pianeta dalle tempeste solari. L’idea è semplice: se le comunicazioni dei sottomarini creano una barriera spaziale per caso, perché non progettarne una intenzionale?
Certo, c’è un dettaglio. Le onde VLF non sono gratuite dal punto di vista energetico. Gli emettitori militari consumano megawatt per penetrare oceani e crosta terrestre. Usarli come scudo planetario richiederebbe una rete di trasmettitori globale, coordinata, costosa. E poi bisognerebbe spiegare, scusate se insisto su questo punto, perché stiamo investendo miliardi in qualcosa che già facciamo “gratis” dal 1960.
Quando gli effetti collaterali sono utili
La storia della barriera spaziale è un caso (raro) di geoingegneria involontaria a lieto fine. Volevamo comunicazioni militari affidabili, e abbiamo ottenuto uno scudo contro le radiazioni spaziali. Poteva andare peggio. Nessuno l’aveva previsto, nessuno l’aveva progettato, ma funziona.
Non è la prima volta che modifichiamo l’ambiente terrestre per sbaglio, peraltro. La differenza è che di solito gli effetti collaterali sono negativi: buco nell’ozono, riscaldamento globale, microplastiche negli oceani. Stavolta abbiamo costruito qualcosa di utile mentre cercavamo di fare altro.
Quando e come ci cambierà la vita
La barriera spaziale è già attiva e funzionante. Nei prossimi 5-10 anni potremmo vedere emettitori VLF dedicati per proteggere satelliti critici durante tempeste solari, riducendo i blackout nelle comunicazioni e i danni alle infrastrutture spaziali del 30-40%.
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Le fasce di Van Allen continueranno a spostarsi. Le comunicazioni VLF continueranno a emetterle. La barriera spaziale resterà attiva, alimentata da trasmettitori progettati per tutt’altro. Tra cinquant’anni forse qualcuno si chiederà perché abbiamo installato uno scudo planetario senza dirlo a nessuno.
La risposta sarà semplice: non lo sapevamo nemmeno noi.