L’arcipelago delle Bermuda galleggia. Non in senso poetico: l’intero complesso di 181 isole siede su un rigonfiamento del fondale oceanico che lo tiene sollevato di circa 500 metri rispetto al pavimento dell’Atlantico circostante. Per decenni, i geologi hanno cercato la sorgente di calore che tiene in piedi questo show. Un pennacchio del mantello, come quelli che alimentano le Hawaii. Un hotspot attivo, una colonna di roccia fusa che spinge dal basso. Hanno trovato qualcos’altro.
Sotto la crosta oceanica, tra i 20 e i 40 chilometri di profondità, giace uno strato di roccia mai osservato altrove con queste caratteristiche. È l’anomalia geologica più spessa mai registrata in un contesto simile: 20 chilometri di materiale meno denso del mantello, fossilizzato nella placca tettonica come una memoria sotterranea dell’ultima eruzione avvenuta 31 milioni di anni fa.
L’anomalia che non dovrebbe esistere
Le isole vulcaniche seguono uno schema prevedibile: un pennacchio caldo risale dal mantello profondo, genera eruzioni, solleva la crosta, poi si esaurisce. La placca tettonica si sposta via dall’hotspot, il rigonfiamento collassa, l’isola sprofonda. È il ciclo standard osservato alle Hawaii, alle Galápagos, in Islanda. Bermuda non segue lo schema. Il rigonfiamento geologico è ancora lì, intatto, nonostante tre decadi di milioni di anni di silenzio vulcanico. Non c’è flusso di calore anomalo, nessuna traccia di magma fresco, nessuna attività sismica profonda. Eppure l’arcipelago resta a galla, come sostenuto da una struttura invisibile.
Il team guidato da William Frazer della Carnegie Science e Jeffrey Park della Yale University ha analizzato i dati sismici raccolti dalla stazione BBSR, ancorata sul fondo delle Bermuda. Hanno usato le registrazioni di 396 terremoti di magnitudo superiore a 5.5, eventi abbastanza distanti da inviare onde sismiche pulite attraverso il mantello terrestre prima di raggiungere l’arcipelago.
Quando queste onde attraversano confini tra rocce di densità diversa, cambiano velocità e direzione. Alcune onde compressive si convertono in onde di taglio, generando echi chiamati funzioni ricevitore. Isolando questi segnali deboli, i ricercatori hanno ricostruito la stratigrafia del sottosuolo fino a 50 chilometri di profondità.
I numeri dell’anomalia geologica: Lo strato anomalo si trova a circa 21 km di profondità, misura 20 km di spessore (il doppio rispetto ad altre isole oceaniche), ha una densità inferiore di circa 50 kg/m³ rispetto al mantello circostante (1,5% in meno), potrebbe estendersi per 50-100 km dal centro del rigonfiamento.
Questo materiale, secondo le stime del team, è sufficiente a sostenere il sollevamento di 500 metri del fondale senza richiedere un pennacchio termico attivo.
Quando il mantello si congela nella placca tettonica
Lo strato identificato si chiama tecnicamente underplating: un fenomeno in cui il magma ristagna sotto la crosta oceanica invece di eruttare in superficie. Durante la fase vulcanica attiva di Bermuda, tra 45 e 30 milioni di anni fa, grandi quantità di roccia fusa potrebbero essere risalite dal mantello e aver formato una sorta di zattera solidificata appena sotto la Moho, il confine tra crosta e mantello.
Un po’ come un cuscinetto di polistirolo sotto una tavola da surf: meno denso dell’acqua attorno, galleggia, e porta con sé tutto quello che sta sopra.
Le analisi geochimiche precedenti sui campioni di lava delle Bermuda raccontano una storia coerente. La composizione è povera di silice, tipica di magmi profondi. Il contenuto di zinco indica un’origine nel mantello ricco di carbonio, probabilmente materiale riciclato durante la formazione del supercontinente Pangea, circa 900-300 milioni di anni fa. Quando Pangea si frammentò e l’Oceano Atlantico iniziò ad aprirsi, questo materiale antico potrebbe essere stato “ripescato” dal mantello e integrato nella nuova placca tettonica atlantica. Bermuda si trova esattamente dove un tempo batteva il cuore di Pangea, non ai suoi margini. Questo posizionamento geologico unico potrebbe spiegare perché l’arcipelago ha una storia così diversa dalle isole del Pacifico o dell’Oceano Indiano, nate in contesti oceanici molto più antichi.
Bermuda, la mappa sismica che riscrive i manuali
I ricercatori hanno identificato quattro interfacce sismiche principali sotto Bermuda. La prima corrisponde alla base dell’edificio vulcanico visibile in superficie. La seconda e la terza rappresentano la crosta oceanica a due strati, tipica dei fondali atlantici. La quarta, la più profonda e sorprendente, segna il confine inferiore dello strato di underplating. Questo confine è netto: le onde sismiche rallentano drasticamente passando dallo strato denso al mantello normale sottostante, segnalando un cambio di composizione mineralogica.
“Tipicamente, ci si aspetta di trovare il fondo della crosta oceanica, poi il mantello”, spiega Frazer in un’intervista a Live Science. “A Bermuda c’è questo altro strato, impiantato sotto la crosta, all’interno della placca tettonica su cui poggia l’arcipelago.” Lo studio, pubblicato sulla rivista Geophysical Research Letters il 28 novembre 2025, propone un modello radicalmente diverso dai paradigmi classici. Le anomalie geologiche di Bermuda (topografia positiva ma gravità negativa residua, flusso di calore normale invece che elevato) trovano finalmente una spiegazione coerente. Non serve invocare un pennacchio caldo: basta una zattera di roccia vecchia e fredda, leggermente più leggera del mantello circostante, per tenere l’arcipelago a galla per decine di milioni di anni.
Il paradosso dell’isola che non sprofonda
Altri arcipelaghi potrebbero nascondere strutture sotterranee simili, ma più sottili e meno dense. La Polinesia francese, ad esempio, mostra segni di underplating, ma i layer identificati sono circa la metà dello spessore di quello di Bermuda. Frazer sta ora estendendo l’analisi ad altre isole oceaniche, cercando pattern ricorrenti. Se Bermuda è un caso estremo ma non unico, significherebbe che i processi nascosti sotto la crosta hanno un ruolo molto più importante di quanto immaginato nella formazione e stabilità delle isole vulcaniche. Come abbiamo raccontato per la placca indiana sotto il Tibet, le dinamiche del mantello terrestre continuano a sorprendere: strati che si dividono, materiali che ristagnano, processi che sfidano i modelli consolidati.
C’è un dettaglio curioso: la stazione sismica BBSR raccoglie dati dal 1992, ma solo ora la tecnologia di analisi delle funzioni ricevitore ad alta frequenza ha permesso di “vedere” questa anomalia geologica con precisione. Per tre decenni, i segnali erano lì, sepolti nel rumore di fondo. Serviva la giusta combinazione di algoritmi, potenza computazionale e intuizione geologica per farli emergere. Un po’ come sviluppare una vecchia fotografia e scoprirci un dettaglio che cambia l’intera scena.
Scheda dello Studio
- Ente di ricerca: Carnegie Science (USA), Yale University (USA)
- Anno: 2025
- Pubblicazione: Geophysical Research Letters, 28 novembre 2025
- Autori principali: William D. Frazer (Carnegie Science), Jeffrey Park (Yale University)
- Metodo: Analisi di funzioni ricevitore sismiche da 396 terremoti M≥5.5
Quando e come ci cambierà la vita
Comprendere luoghi estremi come Bermuda aiuta a decifrare quelli più comuni. Se le anomalie geologiche documentate qui sono riproducibili altrove, i modelli di rischio sismico e vulcanico per altre isole atlantiche potrebbero richiedere revisioni.
La capacità di “leggere” strutture profonde tramite onde sismiche passive (senza trivellazioni o esplosivi) sta migliorando rapidamente. Tra 5-10 anni, reti di stazioni sismiche più dense potrebbero mappare il sottosuolo degli oceani con risoluzione paragonabile a quella che oggi abbiamo per i continenti. Questo significa previsioni più accurate di terremoti sottomarini, tsunami, e una comprensione migliore di come le placche tettoniche riciclano materiale nel mantello profondo su scale temporali geologiche.
Approfondisci
Ti interessa la dinamica delle placche tettoniche? Leggi anche come la placca indiana si sta dividendo sotto il Tibet, un altro caso di struttura del mantello che sfida i modelli classici.
Trent’anni di dati sismici dormivano in archivio. Bastava guardarli con l’algoritmo giusto per scoprire che sotto Bermuda c’è un pezzo di mantello congelato che fa da zattera a 181 isole. Frazer ora cerca altre zattere. Se ne trova, cambiano le regole.
Se non ne trova, Bermuda resta comunque l’eccezione che conferma quanto poco sappiamo di cosa tiene insieme il pavimento degli oceani.