Il tuo smartphone contiene terre rare: lo sapevi, no? Anche il magnete del tuo frigorifero. E il motore della tua auto elettrica ne è pieno. Sono 17 elementi con nomi impronunciabili (lantanio, neodimio, disprosio, cose così) e proprietà uniche. Senza di loro, la transizione energetica si ferma. Il problema è che per estrarle dalle rocce servono vasche di acidi tossici che rendono un deserto gli ecosistemi. E se vi dico “biomining”?
C’è un gruppo di ricercatori dell’UC Berkeley che ha deciso di provare qualcosa di completamente diverso. Hanno modificato un virus per farlo diventare una specie di spugna microscopica programmabile. Lo aggiungi all’acqua di drenaggio di una miniera, e lui “pesca” solo le terre rare ignorando tutto il resto. Quando la riscaldi, la soluzione si “affloscia” sul fondo portando con sé il bottino. Poi lo riusi, come se avessi un operaio invisibile che lavora gratis, non si lamenta mai, e non vuole nemmeno la pausa caffè.
Un batterio, due proteine, zero tossine
Il protagonista della storia (anche noto come “il Principe del biomining”) è un batteriofago, un virus che attacca solo i batteri e non fa nulla agli umani. Seung-Wuk Lee, professore di bioingegneria a Berkeley, ha passato 20 anni a trasformare questi virus in strumenti nanotecnologici. Per le terre rare, ha aggiunto due proteine speciali sulla superficie del fago. La prima si chiama lanthanide-binding peptide ed è una specie di artiglio molecolare calibrato per afferrare solo gli elementi delle terre rare. La seconda, elastin motif peptide, è l’interruttore: quando scaldi la soluzione, il virus si raggruppa e precipita.
Il processo funziona così: prendi l’acqua acida che esce dalle miniere (quella che normalmente è un problema da smaltire), ci butti dentro i virus modificati, aspetti che si attacchino agli ioni delle terre rare. Poi riscaldi leggermente. I virus si aggregano e vanno a fondo. Dreni il liquido, regoli il pH, e i virus rilasciano i metalli puri. Tutto quello che serve è un serbatoio di miscelazione e una piastra riscaldante.
Il virus preferisce le terre rare “pesanti”. Durante i test, il team di Lee ha scoperto che il batteriofago modificato per il biomining ha una spiccata predilezione per gli elementi più pesanti della serie dei lantanidi rispetto a quelli leggeri.
Questo è importante perché elementi come disprosio e terbio, utilizzati nei magneti ad alte prestazioni, sono tra i più costosi e strategici. La selettività naturale del sistema potrebbe rendere il processo ancora più efficiente di quanto immaginato.
La Cina ha un monopolio, ma potrebbe non durare
Adesso guardiamo i numeri. Nel 2023, la Cina ha estratto 240.000 tonnellate di terre rare e ne ha raffinate 189.179. Questo significa il 70% dell’estrazione mondiale e l’87% della raffinazione. Praticamente, se Pechino decide di chiudere i rubinetti, la supply chain globale si blocca. Non è solo una questione economica, ma geopolitica. Gli Stati Uniti producono abbastanza terre rare sul proprio suolo ma non hanno la capacità di raffinarle: devono spedirle in Cina e poi ricomprarle.
Il biomining con virus potrebbe cambiare l’equazione. Se un Paese riesce a estrarre terre rare dall’acqua di drenaggio delle proprie miniere senza bisogno di impianti chimici giganteschi, diventa meno dipendente dalle catene di fornitura internazionali. Non serve costruire raffinerie da miliardi di dollari. Basta coltivare virus in un bioreattore (i batteri si replicano da soli quando li infetti) e hai la tua “forza lavoro” pronta.
Biomining, non solo miniere: anche il tuo vecchio iPhone
Lee e il suo team vedono il sistema andare oltre il drenaggio minerario. Gli e-waste (rifiuti elettronici) sono pieni di terre rare. Smartphone, laptop, televisori: tutto contiene piccole quantità di questi metalli preziosi. Il problema è che recuperarli con metodi tradizionali costa più che estrarli da zero. I virus modificati potrebbero cambiare questo calcolo economico.
Immaginate di prendere le schede madri di mille telefoni dismessi, macinarle, dissolverle in una soluzione acquosa, e poi usare i virus per “pescare” selettivamente le terre rare lasciando tutto il resto. Secondo lo studio pubblicato su Nano Letters, il sistema mantiene l’efficacia anche dopo più cicli. Questo, come detto, significa che lo stesso lotto di virus può lavorare ripetutamente senza perdere potenza.
Scheda dello studio
- Ente di ricerca: UC Berkeley + Lawrence Berkeley National Laboratory
- Anno: 2025
- DOI: 10.1021/acs.nanolett.5c04468
- TRL: 4 – Tecnologia validata in laboratorio, serve scala pilota industriale
Ma funziona davvero su larga scala?
È la domanda che ci facciamo tutti: perché una cosa è far funzionare un processo in laboratorio con provette e pipette, un’altra è costruire impianti che processano tonnellate di materiale al giorno.
Lee è ottimista: dice che i virus sono facili da coltivare a livello industriale perché si replicano automaticamente quando li aggiungi ai batteri. Non serve sintetizzarli chimicamente ogni volta.
Però ci sono anche degli ostacoli da affrontare: il sistema deve funzionare con acque di drenaggio reali, che contengono centinaia di composti diversi, non solo terre rare. La selettività del virus deve reggere in condizioni “sporche” e variabili, senza distrarsi. E poi c’è il tema dei volumi: servono davvero solo “un mixer e un fornello” o ci vogliono impianti più complessi? I ricercatori di Cornell e del Lawrence Livermore National Laboratory stanno lavorando su varianti simili, testando batteri diversi e proteine alternative. La competizione accelera i progressi.
Biomining, l’ironia delle terre “rare” che tanto rare non sono
Un dettaglio che molti ignorano: le terre rare non sono affatto rare. Il cerio, ad esempio, è più abbondante del rame nella crosta terrestre. Il problema non è la scarsità ma la concentrazione. Questi elementi si trovano sparsi ovunque, ma mai in quantità che rendano conveniente l’estrazione. Le miniere tradizionali devono spostare tonnellate di roccia per ottenere pochi chili di metallo puro. E nel processo lasciano dietro bacini di scorie radioattive (le terre rare spesso coesistono con torio e uranio).
Il biomining aggira il problema. Non serve trovare giacimenti ricchissimi. Basta avere acqua con anche solo 50-300 microgrammi per litro di terre rare (che è quello che esce normalmente dalle miniere di carbone o di altri metalli) e il virus fa il lavoro sporco. È come pescare con una rete ultrasottile che cattura solo i pesci che ti interessano e lascia passare tutto il resto.
Litio, cobalto, mercurio: il virus va oltre
Lee ha spiegato che modificando le “istruzioni genetiche” del virus (cioè cambiando quali proteine esprime sulla superficie), si può fare lo stesso lavoro con altri metalli critici. Litio e cobalto per le batterie, metalli del gruppo del platino per i catalizzatori, o addirittura rimuovere metalli tossici come mercurio e piombo dalle forniture idriche contaminate.
Il team di Berkeley ha già dimostrato che lo stesso approccio funziona con gli attinidi (elementi radioattivi), con selettività persino migliore che per le terre rare. Potrebbe diventare uno strumento per la bonifica ambientale: prendi l’acqua di una miniera abbandonata piena di inquinanti metallici, ci passi dentro i virus giusti, e recuperi metalli preziosi mentre pulisci l’ambiente. Due piccioni con una fava virale. Vabbè: detto così suona strano.
Quando e Come ci cambierà la vita
Se il sistema viene industrializzato nei prossimi 5-7 anni, potremmo vedere un calo del prezzo delle terre rare e una minore dipendenza geopolitica dalla Cina. Gli smartphone potrebbero costare meno, le auto elettriche diventare più accessibili, e le turbine eoliche più economiche. Soprattutto, i Paesi occidentali potrebbero costruire supply chain locali per materiali critici senza dover devastare interi ecosistemi con miniere chimiche tradizionali.
Approfondisci
Ti interessa come la geopolitica delle terre rare sta cambiando gli equilibri globali? Leggi anche Guerra dei dazi: la Cina colpisce con i magneti.
Il vero test sarà vedere se qualche azienda avrà il coraggio di costruire il primo impianto pilota. La tecnologia c’è. I virus funzionano. Adesso serve qualcuno disposto a scommettere che un batterio modificato può davvero sostituire tonnellate di acido solforico e vasche di scorie radioattive. Finché non succede, continuiamo a dipendere da processi industriali che assomigliano più all’alchimia medievale che alla tecnologia del XXI secolo.
Con la differenza che gli alchimisti non inquinavano fiumi.
