Tyler Susko ha passato anni a costruire robot per la riabilitazione motoria. Tapis roulant divisi, esoscheletri, sistemi che aiutavano pazienti con ictus o paralisi cerebrale a recuperare l’andatura e ad alleviare la fatica che facevano a camminare. Poi, un giorno, si è chiesto se fosse davvero necessaria tutta quella complessità. Se il problema principale era la frizione, l’attrito che trasforma ogni piccolo dislivello in un inciampo, perché non ripensare proprio quella variabile? Da quella domanda sono nate le scarpe adattive Cadense, un paio di calzature che sembrano normali sneaker ma nascondono una suola capace di cambiare coefficiente di attrito mentre cammini.
Il principio funziona così: quando il piede scivola in avanti durante il passo, la scarpa “scivola” dolcemente sugli ostacoli. Quando il peso si sposta in avanti, la suola si aggancia per dare stabilità. Un po’ come camminare sul ghiaccio con lame che si attivano solo quando serve freno. Tranne che qui non c’è motore, batteria o elettronica. Solo meccanica intelligente, testata in oltre 30 iterazioni di prototipo prima di arrivare alla versione commerciale.
Dal MIT-Skywalker alla scarpa che non inciampa
Tutto comincia nel 2011, quando Susko sta sviluppando il MIT-Skywalker, un sistema robotico con tapis roulant divisi pensato per la riabilitazione neurologica. L’idea era di rimuovere l’ostacolo del pavimento durante la fase di oscillazione del passo, permettendo al paziente che fatica a camminare di concentrarsi sul movimento senza compensazioni inutili. Funzionava, ma rimaneva chiuso in laboratorio. Troppo ingombrante, troppo costoso, troppo lontano dalla vita reale.
Susko allora si rende conto che il vero collo di bottiglia non è la forza muscolare, ma l’attrito variabile. Ogni superficie (tappeto, marciapiede, piastrelle) chiede un compromesso diverso. Le persone con sclerosi multipla, Parkinson o neuropatia periferica non riescono ad adattarsi abbastanza velocemente. Risultato: fatica a camminare, compensazioni con l’anca, passo strascicato, cadute. La robotica poteva risolvere il problema in ambulatorio, ma serviva qualcosa che funzionasse anche al supermercato.
Negli Stati Uniti, circa 2,2 milioni di persone convivono con difficoltà di deambulazione legate a patologie neurologiche. In Italia, secondo i dati ISTAT, l’8,4% delle persone tra 16 e 64 anni dichiara un handicap legato alla mobilità. Le scarpe ortopediche tradizionali si concentrano su plantari e supporti, ma ignorano il problema dell’attrito dinamico durante il movimento.
Frizione variabile: come funziona davvero la scarpa “salvatrice” per chi fatica a camminare
Le Cadense hanno tre componenti chiave. Due cuscinetti rialzati in nylon sui lati della suola che offrono bassa friction. Un rocker articolato in schiuma che può assorbire i cuscinetti quando necessario, attivando la parte ad alta friction della scarpa. E infine una fascia in velcro con anello per infilarle con una mano sola.
Durante la fase iniziale del passo, quando il piede si sposta in avanti, i cuscinetti in nylon toccano terra per primi. Questo permette al piede di scivolare su piccoli ostacoli (bordi di tappeti, fessure nel pavimento, sassolini) che normalmente causerebbero un inciampo. Quando il peso si trasferisce sulla parte anteriore del piede, il rocker si comprime, i cuscinetti si ritirano e la gomma ad alta trazione entra in gioco. Il risultato è un passo più fluido con meno sforzo cognitivo per pianificare dove mettere il piede.
Tyler Susko, oggi professore all’Università della California Santa Barbara e fondatore di Cadense, spiega che il sistema non “aiuta” il movimento nel senso classico. Non c’è spinta aggiuntiva. Semplicemente rimuove l’interferenza che il pavimento crea durante la fase di swing, lasciando che sia il corpo a completare il movimento in modo più naturale.
Quattro anni di ricerca NIH per capire se funziona
Dopo il lancio commerciale, Cadense ha ottenuto un finanziamento quadriennale dai National Institutes of Health americano per uno studio in collaborazione con UC Santa Barbara e Northwestern University. L’obiettivo è misurare con precisione biomeccanica come le scarpe modificano velocità del passo, simmetria dell’andatura e consumo energetico in pazienti con diverse patologie neurologiche.
I primi test preliminari, condotti durante lo sviluppo, avevano mostrato una diminuzione nella fatica a camminare, e miglioramenti nella velocità di camminata per alcuni partecipanti. Ma erano campioni piccoli, condizioni controllate. Ora si tratta di verificare su scala più ampia e in contesti reali: casa, ufficio, marciapiedi irregolari. È come passare dal simulatore di volo alla cabina vera. La differenza conta.
Le scarpe adattive hanno attirato l’attenzione di diversi brand mainstream negli ultimi anni. Nike ha lanciato FlyEase, altri marchi hanno introdotto zip laterali che aprono completamente la tomaia, o altre soluzioni. Cadense è l’unica che lavora sulla frizione variabile come meccanismo primario di assistenza, e non solo sulla facilità di calzata.
Scarpe per chi fa fatica a camminare, il mercato che nessuno vedeva
Nel 2019 (sei anni fa, non ieri), un rapporto Coresight Research stimava che il mercato globale delle calzature e abbigliamento adattivi valesse circa 47,3 miliardi di dollari, quasi completamente inesplorato. Fino a pochi anni fa, le opzioni disponibili erano o scarpe ortopediche dall’estetica medicalizzata, o sneaker normali con zip aggiunte come espediente di marketing. Nessuno, incredibilmente, aveva ripensato la biomeccanica del passo.
Cadense vende le sue scarpe a circa 200 dollari al paio. Non economiche, ma nemmeno fuori scala rispetto a una sneaker tecnica di fascia alta. E coprono un vuoto preciso: persone che non vogliono (o non possono usare) un AFO (ankle-foot orthosis, la classica ortesi rigida per il piede cadente), ma che hanno bisogno di più di una semplice suola antiscivolo. Come nel caso delle Innomake per non vedenti, anche qui la tecnologia assistiva esce dal ghetto dell’ortopedia e prova a essere un oggetto che non ti vergogni di indossare.
Le recensioni degli utenti parlano di “vita cambiata”, “nessun inciampo da un anno”, “finalmente posso camminare senza paura”. Testimonial potenti, ma che sollevano una domanda: perché ci è voluto così tanto? La risposta, probabilmente, sta nel fatto che nessuno aveva tradotto la robotica riabilitativa in un prodotto passivo. Tutti cercavano di aggiungere motori, sensori, batterie. Susko ha tolto invece di aggiungere. E al momento ha vinto.
Quando la semplicità batte la complessità
La lezione, forse, è che non sempre serve più tecnologia. A volte serve capire quale variabile conta davvero e agire lì. Nel caso della fatica a camminare che prova chi ha difficoltà motorie, il problema non era la forza (gli esoscheletri la forniscono), né il supporto articolare (le ortesi lo danno). Era l’imprevedibilità dell’attrito. Una variabile che nessun dispositivo attivo aveva affrontato, perché troppo banale, troppo meccanica.
Ora Cadense ha oltre 30.000 clienti, tre modelli disponibili (sneaker classiche, sandali ibridi, pantofole), e un network di fisioterapisti che le prescrivono come ausili per la mobilità ridotta. Niente male per un’idea nata guardando un tapis roulant diviso e pensando: “E se invece di muovere il pavimento, cambiassimo le scarpe?”
In Italia, dove le scarpe ortopediche sono state tagliate dai Livelli Essenziali di Assistenza in diverse regioni a partire dal 2025, soluzioni come queste rischiano di rimanere fuori portata per molte famiglie. Un paio di Cadense costa quanto cinque mesi di fisioterapia privata. E non è rimborsabile dal SSN. Il paradosso è che prevenire le cadute costerebbe meno che curarne le conseguenze, ma questa è una partita che si gioca su altri tavoli.
Quando e come ci cambierà la vita
Se i risultati dello studio NIH confermeranno i dati preliminari, è possibile che entro 3-5 anni scarpe a frizione variabile diventino una categoria standard nell’offerta di brand sportivi mainstream. La tecnologia è replicabile, i brevetti scadono, e il mercato esiste. Oltre la diffusione, però, c’è il problema del prezzo: i sistemi sanitari pubblici le inseriranno nei nomenclatori degli ausili rimborsabili, o rimarranno un prodotto di nicchia per chi può permettersele?
Approfondisci
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Trent’anni di ricerca robotica condensati in un paio di suole. Niente app, niente ricarica, niente calibrazione. Solo fisica applicata dove serviva. Forse il futuro della tecnologia assistiva non è aggiungere complessità, ma togliere gli ostacoli giusti al momento giusto.